Tre racconti: Il cane del cieco - Un genio sconosciuto - Galatea. Bersezio Vittorio
al suolo come corpo morto.
Fu portato all'ospedale, insieme coi parecchi feriti di quel disastroso incendio. Le gravi scottature che aveva riportato posero in pericolo la sua vita, ma pur guarì tuttavia; i suoi occhi però furono irremissibilmente perduti.
Durante la lunga malattia, egli non chiese mai novella nè di Lucietta, nè di Pietro, nè della fonderia. Guarito, seppe che questa e la casa erano rimaste un cumulo di rovine; che Pietro, per cercare di alleviare il dolore della moglie che aveva minacciato divenirne pazza, l'aveva condotta a fare un lungo viaggio lontano, lontano; che prima di partire il padrone aveva lasciata una buona somma per lui.
Atanasio volle che questa somma fosse data ai poveri del villaggio; e senza un soldo, uscito dallo spedale, prese la prima strada che gli si parò dinanzi, per andare tanto lontano, che di lui in quel paese non si sapesse mai più novella.
Fatto poco cammino, udì un guaiolare festoso e le piote d'un cane si appoggiarono alle sue coscie: era Azor. Come aveva egli vissuto sino allora? chi può saperlo?
— Sei qui tu? — esclamò Atanasio commosso. — Il solo amico, il solo bene che mi resti.... Vuoi seguirmi nell'esilio? Vuoi essere la guida del povero cieco?... Vieni. —
Come capitasse nel villaggio in cui l'ho conosciuto, questo sciagurato non sapeva dire.
Quando il cieco morì, fu sotterrato in un cantuccio del cimitero, senza una croce, senza un segno qualunque di memoria dei sopravvivi, ma il domani Azor vecchissimo, fu trovato morto sulle zolle smosse, sotto cui avevano riposto la salma del suo padrone.
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