Da Firenze a Digione: Impressioni di un reduce Garibaldino. Ettore Socci
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Ettore Socci
Da Firenze a Digione: Impressioni di un reduce Garibaldino
Pubblicato da Good Press, 2020
EAN 4064066068448
Indice
Poche parole per capirci alla prima.
Questo libro non è per gli strategici e molto meno pei letterati; un cruscante, leggendolo, avrebbe di che arricciare il naso moltissime volte; un soldato di quelli che vanno per la maggiore, giurerebbe che lo scrivente sa di arte di guerra, quanto sa d'ortografia un'analfabeta; nè io dicerto vorrei sfegatarmi per far cambiar loro opinione; io non l'ho mai pretesa a linguista ed ho una vecchia ruggine con chi si arrovella, per studiare il sistema di ammazzare più gente che può.
I miei non sono che appunti; appunti presi al chiaro di luna, nel silenzio degli avamposti o nel cicaleggio giocondo e spigliato della caserma; tra il fischiar delle palle e le canzoni entusiastiche, tra una bestemmia e una lacrima, in mezzo alla baldoria e ai cadaveri, ai generosi proponimenti e alle continue disillusioni, nasce spontanea in chiunque abbia del cuore, una filosofia che l'arcigno e pettoruto pedante non crederebbe possibile in una vita scapigliata, chiassona, piena d'emozioni, ma sempre senza pensieri, quale è la vita del campo. E di tali riflessioni, ispirate dai fatti ora tristi, ora gloriosi, di cui fummo gran parte, può essere che qua e là se ne trovino anche in questi appunti, che raffazzonati alla meglio, ora ardisco di offrire ai miei buoni lettori, persuaso che, se non avranno altro merito, avranno certamente quello di essere dettati dalla verità, mai da rancore o da invidia.
Se arrivato all'ultima pagina, qualcuno che avrà avuto l'eroismo di seguirmi fin là, volgerà un pensiero pietoso ai poveri martiri, che ignorati si giacciono nell'estese pianure sotto Fontaine e Talant e resterà persuaso che i pochi, i quali per la causa più santa che si sia dibattuta in questi ultimi tempi lasciarono interessi e famiglia, quantunque disconosciuti e non aiutati da chi aveva il dovere di aiutarli, hanno fatto tutto quello che umanamente era loro possibile per far trionfare la idea, battendosi da prodi, e non mostrandosi indegni di quella camicia rossa, che da gente abietta e codarda si voleva condannare al Bargello, io sarò più che contento, io potrò dire che il mio povero libro ha raggiunto il suo scopo.
CAPITOLO I.
—Bada bene che domani ti aspettiamo a Livorno.
—Non ne dubitate… Brucio anche io dal desiderio di lasciar queste lastre.
—Allora siamo intesi?
—Intesisissimi.
—A domani dunque!…
E tutti, e tre ci stringemmo vicendevolmente la mano, e si stava per congedarci, quando tutto a un tratto un prolungato mormorio ci giunge all'orecchio: è un accorrere di gente, uno spalancarsi improvviso di finestre e di usciali di botteghe vicine, un domandare e un rispondere, un incomposto gridìo di ragazzi, un esclamare di donne, continuo e in tuono di spavento.
—Che ci sia la rivoluzione?—Domandò un mio compagno che da circa quindici giorni non sognava che sangue e trambusti.
Senza rispondere alla strana supposizione, mossi dalla curiosità escimmo tutti dalla bottega di caffè, nella quale eravamo seduti. Qual magnifico spettacolo non ci si offerse alla vista!
Era terminato di piovere ed il cielo era tutto rosso, infuocato, quasichè fosse avolto in un lenzuolo d'amianto; i popolani, tutti a bocca spalancata tenevano la testa all'insù, e distornavano gli sguardi dall'alto, solamente por occhieggiarsi tra loro, lambiccando il cervello e arrapinandosi, per spiegare il fenomeno, che per la prima volta vedevano, e di cui non erano mai giunti a farsi un'idea. I lettori si rammenteranno dell'Aurora boreale che apparve ai venticinque dell'ottobre decorso; la sera appunto del venticinque d'ottobre era l'ultima che, a nostro giudizio, dovevamo passare in Firenze.
—Anche