Il ritratto del diavolo. Anton Giulio Barrili

Il ritratto del diavolo - Anton Giulio Barrili


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a seccare l'intonaco.

      Un'altra cagione di meraviglia tra i cinque scolari di mastro Jacopo era questa, che il nuovo venuto si presentava con un quaderno di tocchi in penna, che diceva di aver fatti lui, senza preparazione di studi. Questo, a dir vero, non significava nulla. Ognuno, a cui piaccia, può imbrattare un foglio di carta e credere d'aver fatto un disegno. Ma il guaio era che mastro Jacopo aveva lodati i disegni del nuovo venuto, proponendoli come esempio ai vecchi della scuola.

      —Ecco qua,—aveva detto, mettendo il rotolo dei fogli sotto il naso dei suoi fattori,—lasagnoni, imparate. Quando vi dico che bisogna copiare dal vero! Voi altri, invece, perdete il vostro tempo a grattarvi le ginocchia. Si intende, quando non giuocate a zara.—

      Rimasti soli davanti ai disegni di quel famoso artista che era piovuto dalle nuvole, i cinque scolari di mastro Jacopo avevano sfogliato il quaderno e guardato curiosamente ciò che formava l'argomento delle sue meraviglie. Si capisce alla bella prima che avevano trovato tutto mediocre. Non c'era franchezza di tocco; i contorni erano duri; gli atteggiamenti goffi; le pieghe così trite, che peggio non avrebbe fatto Cimabue nei suoi primi tentativi. Che cosa aveva inteso il maestro, proponendo loro ad esempio gli sgorbi di quel principiante? Di canzonarli, forse?

      In quella che stavano guardando e criticando alla libera, uno di essi scappò fuori con un grido di stupore.

      —Che cos'ha veduto, il Chiacchiera?—domandò Tuccio di Credi.—Forse il basilisco?

      —In fede mia,—ripigliò il Chiacchiera,—questo non lo ha veduto di certo il maestro.

      —Che cosa? Il basilisco?—disse ridendo il Granacci.

      —Questo ritratto;—rispose il Chiacchiera, senza badare allo scherzo dei compagni.—Perchè, infatti, è un ritratto. Vedete qua!—

      E levato dal quaderno il foglio che aveva destata la sua attenzione, lo pose sotto gli occhi della brigata.

      C'erano parecchie figure disegnate su quel foglio; ma il Chiacchiera ne indicava una tra tante, che si vedeva nel mezzo, tirata giù alla brava, come una impressione momentanea. Avete già indovinato che era una figura di donna. Con due tratti di penna era segnata la veste, lunga, a larghe pieghe, accennate, anzichè delineate, da qualche zaffardata d'inchiostro. Le braccia, che escivano di sotto ai lembi frastagliati del manto, si raccoglievano sul taglio della vita, e la mano destra, sovrapposta all'avambraccio sinistro, sosteneva un piccolo uffiziuolo. Sulla testa era gittato un velo che scendeva fino agli òmeri e si confondeva col manto. I contorni della figura e i pochi segni con cui era accennato il viso, apparivan di persona viva, colta da una mano maestra, sull'atto di recarsi alla chiesa.

      —Eh, che vi pare?—continuò il Chiacchiera.—Non la riconoscete?

      —La figlia del maestro!—gridò Lippo del Calzaiuolo.

      —To', è vero;—soggiunse Cristofano Granacci.—È madonna Fiordalisa.

      —Infatti,—disse a sua volta Parri della Quercia,—è proprio lei, o una che le somiglia di molto. Ma perchè dicevi tu dianzi che il maestro non ha veduto questo disegno! È impossibile che non abbia riconosciuta la sua figliuola.

      —Eh,—rispose il Chiacchiera, stringendosi nelle spalle,—in questo caso bisognerà dire che si è innamorato dello scolaro in grazia del ritratto che questi ha fatto della sua Fiordalisa. Già, l'ama tanto!

      —Se non c'è bisogno d'altro, per entrar nelle grazie di mastro Jacopo,—esclamò Cristofano Granacci,—glielo facciamo tutti, il ritratto a madonna Fiordalisa.

      —Credete che sia così facile?—entrò a dire Parri della Quercia.

      —Perchè no? Che cosa c'è egli di tanto difficile?—ribattè il

       Granacci.

      —Tutto;—rispose Parri.—-Non avete osservato come ella si muta ad ogni momento?

      —Già,—disse il Chiacchiera,—donna e luna, oggi serena e doman bruna.

      —Non parlo dell'umore, parlo del tipo;—ripigliò Parri della Quercia.—È un tipo assai delicato, con una certa espressione, che non è sempre la stessa a tutte le ore del giorno.

      —È vero, quel che dice Parri;—notò Lippo del Calzaiuolo.—Ci son de' momenti che non sembra più lei.—

      Tuccio di Credi torse le labbra e diede un'alzata di spalle.

      —Baie!—diss'egli—-I contorni non si mutano mica così facilmente!

       Sarà quistione delle parti mobili, le labbra e gli occhi.

      —Già, le labbra e gli occhi;—rispose Parri della Quercia.—E ti par poco! Ora, se un moto delle labbra, o un diverso grado di forza nello sguardo, basta a cangiarti l'espressione del volto, mi pare che la immobilità dei contorni non ci abbia nulla a vedere. Piuttosto è da chiarire quale delle due parti mobili ha maggiore virtù nel cangiamento del tipo.

      —Dev'esser la bocca;—osservò Lippo del Calzaiuolo.

      —Infatti,—disse il Chiacchiera,—quando madonna Fiordalisa sorride, vi apparisce due tanti più bella.

      —Non si tratta di sapere quando apparisca più bella, poichè lo è sempre moltissimo;—replicò Parri della Quercia.—Io ho detto soltanto che ella vi muta espressione, e sembra avere un'altr'aria da quella di prima. È sempre lei, per chi la conosce, e tuttavia è un'altra bellezza. Il pittore che la ritraesse in uno di quei punti, crederebbe di non averla resa con verità, se la vedesse in un altro.

      —Pure,—notò il Chiacchiera,—questo Spinello, che non è un pittore, e neanche un principiante, con due tratti di penna ce l'ha fatta ravvisare alla prima.

      —Bella forza!—esclamò Tuccio di Credi.—È una somiglianza ottenuta nel complesso; buon per lui che non è andato ai particolari. La sua parsimonia gli ha fatto buon giuoco. Vedete qua; con due tratti di penna vi ha data un'aria di madonna Fiordalisa. Se ne avesse aggiunti altri due, gli sarebbe andato a male ogni cosa.

      —Che diamine gli è saltato, di fare il ritratto alla figlia del maestro?—chiese Cristofano Granacci.

      —Oh bella!—esclamò il Chiacchiera.—E stenti tanto a capirla? Ne sarà innamorato. È così naturale che un giovanotto s'innamori d'una bella ragazza! Domandane a Tuccio di Credi: egli ti risponderà….

      —Che sei uno scimunito;—interruppe Tuccio di Credi, dando al

       Chiacchiera una guardataccia, che pareva volesse mangiarselo.

      Ma il Chiacchiera non si spaventava per così poco.

      —Oh, ecco,—gridò egli, ghignando,—ecco una riprova di ciò che ha detto Parri poc'anzi, sulla varietà delle espressioni. Guardate Tuccio di Credi, se non sembra tutt'altri. O Tuccio, chi ti facesse il ritratto in questo momento, in fede mia, non ti renderebbe un servizio.—

      Tuccio di Credi, veduto così sottosopra, cioè computando l'una cosa per l'altra, poteva anche passare per un bel giovinotto. La carnagione, è vero, traeva all'olivastro; ma non è detto che l'olivastro sia un brutto colore, e ci son molti a cui simili impasti di giallo e di verde non dispiacciono punto. E poi, s'accordavano bene con quella tinta scura i capegli e le sopracciglia nerissime; di guisa che sotto quella vigoria di toni fuligginosi, l'olivastro delle carni poteva acquistare l'apparenza di un amabile pallore. Ma anche Tuccio di Credi aveva un tipo mobilissimo, che giustificava pienamente l'osservazione beffarda del Chiacchiera. Incominciamo a dire che nel suo volto si notavano due parti distinte, la superiore virilmente modellata, a contorni risentiti e gagliardi, l'inferiore timidamente condotta, quasi appena accennata. Si sarebbe detto che la natura, facendo quella testa, si fosse annoiata a metà dell'opera sua. Il naso, ad esempio, non era in proporzione con l'ampiezza della fronte; le labbra sottili e smorte mancavano di fermezza; il mento sfuggiva senz'altro. In quella faccia, fluita di mala voglia, c'era alcun che di stonato, che i pochi peli vani delle labbra e del mento non bastavano a dissimulare, e che la barba più folta non avrebbe potuto correggere. Anche gli occhi, neri,


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