Storie da ridere.... e da piangere. Ercole Luigi Morselli

Storie da ridere.... e da piangere - Ercole Luigi Morselli


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      E l'ascensione del peso, con relativo atleta spagnolo, incominciò subito lenta e sicura. Lo sforzo era gigantesco: gli occhi bianchi di Peppino [pg!14] sembravano galleggiare nel sangue: l'Eracle di marmo in riposo s'era trasformato in un Eracle di porfido sollevante Anteo.

      Ad un tratto, quando già la vittoria era sicura (ed era sempre una bella vittoria, anche supponendo che il peso controllato e bollato dall'atleta spagnolo fosse stato di cinquanta chili invece che di cento!) ecco si ode uno schianto secco e si vede il nostro Peppino abbassarsi di un palmo contro terra mentre lo spagnolo si getta impaurito sulle nostre spalle. Il mozzo d'una ruota del triciclo aveva ceduto. Lo spagnolo riprese prontamente dalle mani di Peppino il suo peso e, poggiatolo in terra per ritto, e impugnatone il manubrio a mo' di lancia, volle stringere la mano di Peppino dicendogli solennemente: — Collega, ora credo a tutto quello che hai raccontato e che racconterai: saresti degno di misurarti col mio glorioso maestro Santiago Machacapulgas! e più non si può dire!

      Ma la sua voce reboante fu travolta dal clamore dei nostri «evviva!». Peppino schizzava sudore e gioia da tutti i pori, e il sudore gli colava giù a rigagnoli per le valli del suo vasto torace e la gioia la sfogava schiacciando tra le sue ogni mano che gli si tendeva, e baciando a quattro doppî gli amici più vecchi. Quando [pg!15] fu la volta di Bullet che gli tese la mano tutta esultante, ci fu tra quei due ritratti della salute un tale scambio di occhiate, che Peppino, credendo certo di meritarsi un tal premio per la sua vittoria, se la tirò giù addosso, le cinse la vita con le sue braccia formidabili e incominciò a baciarla di santa ragione. La nuova vittoria, sebbene più facile della prima, suscitò un eguale scoppio di applausi.

      Ma aimè! avevamo fatto i conti senza l'oste.... il quale in quel momento, non visto da nessuno, era sopraggiunto di ritorno dalla sua operazione finanziaria; senza dir verbo aveva sfondato come un ariete il nostro cerchio plaudente, e, con pronta decisione, cacciava avanti uno dei suoi vasti piedi, dirigendolo sulle due teste colpevoli.

      Fu un lampo. Il piede arrivò a destinazione.

      Ma quando Otello fece per ritirare il suo arto con l'evidente disegno di ripetere il colpo, non gli fu possibile. Bullet con uno strillo da maialetto impaurito era ruzzolata in terra, poi fuggita via in bottega; e quanto allo strumento della sua vendetta, esso era stato fulmineamente e irrevocabilmente afferrato dalle mani di Peppino. I due si guardarono in faccia.

      Il faccione imperturbabile e ancora ridente di Peppino dimostrava apertamente il suo tranquillo piano di battaglia. Sembrava dire: Per [pg!16] conto mio, non ti lascio il piede sino a che non ti son passati i bollori.

      Invece la faccia grifagna di Otello dimostrava un farraginoso rimuginìo interno, in cui tutti i più inverosimili disegni di difesa e di offesa venivano volta a volta accolti e scartati. Ma il piano del gran Peppino non era sbagliato: a lungo andare, quella forzata posizione cicognesca non poteva non ricondurre nell'animo di Otello quella serena e profonda filosofia che gli aveva sempre appianato ogni scabrosità della vita.

      — Ti vien da ridere, di' la verità, Otello! — gli disse Peppino.

      — Ancora no, — brontolò Otello.

      — Bada che siamo buffi: pensaci un po' bene. Non vedi che questi poveretti d'intorno non possono parlare perchè gli scoppia la bocca dal ridere?

      Otello sorrise, Peppino scrosciò; e nacque una risata omericamente inestinguibile.

      Quella sera vi fu gioco nutritissimo nell'Osteria degli Scampoli. Al tocco eran capitati per caso a bere sette o otto capitani inglesi, e Peppino, che sapeva l'inglese, li aveva tirati nel gioco già incominciato, e le sterline correvano più del solito sulle modeste tavole di Otello, ed egli, dal suo trono, ne fremeva di orgoglio e ragionava forte, tra sè e sè, come non mai.

      [pg!17] Io, dopo aver regolarmente perduto quel poco che avevo in tasca, ero solito accomodarmi alla prima tavola sotto il banco, che a quell'ora era sempre vuota, per schiacciare un sonnellino. Tenevo moltissimo a quel sonnellino di mezz'ora perchè quasi sempre sognavo di vincere.

      Quella sera, l'ho già detto, il monologo fioriva sulla bocca di Otello: però non era cosa facile intendere il senso delle sue parole in mezzo al vociare dei giocatori. Ma è certo che, poco prima di addormentarmi, lo udii distintamente dire: — E sessantaquattro! — (si riferiva a bicchierini di whiskey). — E quattro mazzi di carte!... E dodici banchi!... Trenta pesos di guadagno netto in tre ore!... Loro possono perdere laggiù; ma io di quassù vinco sempre: poco ma sicuro! Le fortune si fanno così.... Questo si chiama aver occhio e bernoccolo: dal primo giorno che l'ho conosciuto ho detto subito: Questo Peppino sarà la mia fortuna!... Veramente.... quell'abbraccio.... proprio là in presenza a tutti.... è stata una mezza canagliata.... Mah!... Alla fin delle fini.... forse.... ha ragione lui: la pipa mi son dovuto sì o no adattare a farmela accendere da un altro? Anche la moglie da qualcuno bisognerà pur che me la faccia abbracciare!....

      [pg!19]

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