La vita Italiana nel Rinascimento: Conferenze tenute a Firenze nel 1892. Autori vari

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Ciompi dà un carattere di rivoluzione sociale alla lotta, che non era nelle intenzioni dei sommovitori. Essi sono trascinati loro malgrado nella vittoria dei Ciompi, che si risolve poi in una prevalenza delle sette Arti Minori, e di questa l'Alberti, lo Scali, lo Strozzi sono le prime vittime, appunto perchè la parte ch'essi ebbero in tutto questo moto fu molto maggiore di quella di Salvestro de' Medici. La pretesa precocità dell'insidia Medicea, che si vuol dedurre dal tumulto dei Ciompi, è dunque una delle tante frasi fatte, che si ripete a carico dei Medici, ma che non ha fondamento nella storia. Quanto a Giovanni di Bicci, certo egli ha gran parte nella legge tutta popolare del Catasto del 1427, ma politicamente è un personaggio quasi insignificante: accresce bensì il credito e la ricchezza di Casa Medici, ma non può dirsi il fondatore politico di essa. Il suo fondatore vero è Cosimo il Vecchio. Quand'egli apparisce, le lotte si sono venute sempre più restringendo, e la rivalità dei Medici e degli Albizzi diventa quasi una lotta personale fra Cosimo e Rinaldo degli Albizzi, che, al dire di Jacopo Pitti, “come principe maneggiava lo Stato.„ Costui pensa essere ormai tempo di troncare di colpo la sempre crescente potenza Medicea e fa chiamar Cosimo in Palazzo per ucciderlo, ma deve contentarsi dell'esilio; transazione, di cui il Sismondi, il Perrens sono inconsolabili, perchè Cosimo è richiamato dall'esilio un anno dopo e torna in patria in trionfo. Nei giorni più splendidi di Casa Medici, sulle pareti del gran salone nella villa di Poggio a Caiano questo ritorno sarà magnificato, figurandolo per quello di Cicerone, ricondotto in patria sugli omeri di tutta Italia. Il vero è che Cosimo, tornando dall'esilio il 6 ottobre 1434, si fermò e pranzò a Careggi, non permettendogli la Signoria di rientrare in Firenze prima di sera, e poichè Via Larga era piena di popolo aspettante, dovette sgattaiolare nel Palazzo della Signoria e passarvi la notte, rientrando solo al mattino seguente nella sua dimora di Via Larga, lo stupendo edificio, forse allora ancora in costruzione, in cui, fra quel misto di solidità e di eleganza, di cittadino e di principesco, sembra ch'egli abbia veramente improntato sulle muraglie il proprio genio.

      Se Lorenzo il Magnifico fosse succeduto a Cosimo il Vecchio, i primi tempi della sua signoria sarebbero stati meno difficili e meno travagliata la sua giovinezza. Ma succedette invece a Piero il Gottoso, che in mille modi avea compromesso il potere della sua casa, più di tutto deviando da quella esteriore semplicità e modestia di Cosimo, che, unite alla grandezza degli intenti civili, alla protezione delle lettere, al buon uso della ricchezza, alla passione magnifica dell'edificare, per cui Benozzo Gozzoli, con allegoria, che sa di satira, lo figurò nel Camposanto di Pisa assistente colla famiglia all'edificazione della torre di Babele, mentre fecero dare alla potenza Medicea il passo decisivo, valsero a lui il titolo glorioso di padre della patria.

      Ma morto Piero nel 1469, succedevano due giovani, Lorenzo di 21 e Giuliano di 16 anni, sicchè rinverdirono le speranze dei nemici di Casa Medici, contando sull'inesperienza e sull'impeto giovanile, qualità poco adatte a conservare una potestà così vaga e indeterminata, così raccomandata tutta al valor personale, come quella dei Medici. Furono più forti l'amore del popolo, il terror dell'ignoto, le memorie di Cosimo, tanto più ch'esso in persona parea rivivere nel giovine Lorenzo, già messo in vista di tutti per la precocità dell'ingegno, la giovialità, il fare largo e liberalissimo, l'educazione ricevuta da grandi maestri, i viaggi alle corti estere, pei quali così giovane era messo a parte di gravi faccende politiche e ammonito dal padre a diportarsi già da uomo e da principe. Precoce era in tutto Lorenzo e già da giovanissimo i contemporanei gli mutavano in predicato d'onore il titolo di Magnifico spettante al suo grado e con cui è rimasto nella storia, mentre il fratello Giuliano, indole più rimessa e più spensierata tuffata nei piaceri, negli amori, negli spassi giovanili era dai suoi coetanei chiamato, dice il Giovio, principe della gioventù. All'arme non fu educato Lorenzo, non sì però ch'egli non fosse forte, aitante della persona, benchè assai brutto di volto, come si vede, meglio che dalla figura un po' idealizzata di Lorenzo giovine nel gran quadro dell'Epifania di Sandro Botticelli e dal ritrattino del Bronzino agli Uffizi, nella medaglia del Pollaiuolo e nella trista figura dipinta dal Vasari (pure agli Uffizi), in cui appariscono evidenti i segni del male, che lo trasse a morte prematura. Appassionatissimo pei cavalli, era cavalcatore valente, ma della corona riportata alla giostra del 1468, combattuta per le sue nozze con Clarice Orsini, e cantata da Luca Pulci, è il primo a ridere con la solita superiorità sua. Appena mortogli il padre, furono dunque a lui i principali cittadini, pregandolo a pigliarsi cura dello Stato. Esitò, forse ad arte, raccomandandosi ai consigli di tutti, ma certo ben risoluto in cuor suo a far da sè.

      Quali sono da questo momento i punti prominenti della vita di Lorenzo? Dal 1472 al 1484 la sollevazione di Volterra, la congiura de' Pazzi, la guerra che ne consegue col papa Sisto IV e col re di Napoli, l'ardito viaggio di Lorenzo a Napoli, che stacca il re dal papa e assicura la pace, il ritorno di Lorenzo in patria e la riforma interna coll'instituzione dell'Ordine dei Settanta (che è il vero 18 Brumaio di Lorenzo), la guerra di Ferrara, la pace coi Veneziani, e la morte di Sisto IV, l'implacabile nemico di Lorenzo. Dal 1484 al 1492 l'intimità di Lorenzo con Innocenzo VIII, successore di Sisto, l'equilibrio politico a sommo studio mantenuto da Lorenzo, il maggior splendore della sua signoria ed i primordi d'un'opposizione morale nel Savonarola fino alla morte di Lorenzo, a cui seguitano così da presso la preponderanza straniera e la servitù dell'Italia, che Cesare Balbo, nella sua divisione della nostra storia, proponeva di finir qui (merito o fortuna, che sia, di Lorenzo) l'età dei Comuni Repubblicani, che altri protrae sino alla caduta di Firenze nel 1530.

      Ora questi fatti, che io ho accennati così in breve c'è chi gli ha narrati tutti a gloria, altri tutti a biasimo di Lorenzo. La Repubblica doma la ribellione di Volterra? È lui che vuol rubare i profitti delle cave d'allume. Volterra è posta a sacco? È lui, che ordina quell'inutile crudeltà. I Pazzi congiurano? È lui che li ha provocati. Il popolo fa scempio dei congiurati? È lui, che non è mai sazio di vendette. Sisto IV e il Re di Napoli muovon guerra? È Lorenzo, che strascina la patria in contese non sue. Lorenzo va a Napoli e si dà in mano al suo nemico? È una commedia. Torna e si impossessa coll'ordine dei Settanta dell'elezione dei Magistrati? È lui, che ha inventata questa trappola alla libertà la quale non ha riscontro nella storia di Firenze. Si stringe in amicizia e parentela con Innocenzo VIII? È lui, che è quasi reo del nepotismo dei Papi. Cerca la pace nell'equilibrio degli Stati? È una politica d'espedienti, che non val nulla. Firenze è prospera e gioconda? È lui che la educa alla servitù, corrompendola coi trionfi e i canti carnascialeschi. Che più? Neppur l'uomo privato si salva da questo pessimismo demolitore. Si ricusano tutte le testimonianze in suo favore, che concordemente lo dicono buono, gioviale e tollerante, nonostante le sue sofferenze fisiche, fedele agli amici, socievole, semplice nella grandezza, idolatra dei figli, non dimentico mai del tutto degli insegnamenti e degli esempi della pia madre, Lucrezia Tornabuoni, rispettoso della moglie, indole pur così diversa dalla sua e con poca grazia e senza avvenenza; e, per dimostrare com'era tuffato nei vizi, il Buser reca una lettera d'un Francesco Nacci da Napoli, che annuncia a Lorenzo la spedizione di cinquanta belle schiave turche, le più belle che si trovarono! Ah, la grazia! Cinquanta? Se non che, come fu provato, il buon tedesco ha letto nel documento belle invece di pelli, turche invece di tutte, e così, invece di 50 pelli di Schiavonia, ha letto 50 belle schiave turche, un harem da sultano, e senza accorgersi neppure che in tutto il contesto della lettera si parla della spedizione in modo, come se oggi si spedissero a qualche gran Don Giovanni 50 belle ragazze, turche o non turche, per pacco postale. Nè basta. Quello che il Machiavelli dice a lode di Lorenzo s'interpreta a biasimo, e nel dialogo sul Reggimento di Firenze del Guicciardini si vuol vedere non una discussione, ma una diatriba, e fra gli interlocutori del dialogo si menan buone tutte le accuse di Paolo Antonio Soderini e di Pier Capponi e non si tien conto alcuno di tutte le difese di Bernardo Del Nero.

      Quanto erano stati belli e lieti gli anni della prima giovinezza di Lorenzo, altrettanto furono agitati e poi tristi e funesti i primi anni della sua signoria. Nel 1470 insorge Prato. Due anni dopo Volterra, a cagione delle miniere d'allume. Si vuole ch'egli vi fosse cointeressato e che nella repressione la città fosse posta a sacco per ordine suo. Ora è stato dimostrato che della prima accusa non c'è che una sola testimonianza contemporanea ed è di un nemico dei Medici; e quanto alla seconda, non solo che non furono gli assalitori, che la misero a sacco, bensì le masnade stesse, che essa avea assoldate per difendersi. Ma che monta? È un'altra delle frasi fatte a proposito dei Medici e di Lorenzo, e non è un anno, che


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