La vita Italiana nel Rinascimento: Conferenze tenute a Firenze nel 1892. Autori vari

La vita Italiana nel Rinascimento: Conferenze tenute a Firenze nel 1892 - Autori vari


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argenterie ed il vasellame di cui, nelle occasioni solenni, il sire del Castello fa grande e non sincera mostra, togliendone a prestito da qualche vicino o parente.

      Qui sopratutto da Principe a Castellano ci corre. Il Principe del Rinascimento, venuto in subitanea ed impensata grandezza, ama lo sfarzo degli apparati per naturale inclinazione artistica e per accorgimento politico. Egli sa che tanto più può quanto più è creduto potere, e del potere è visibile indizio la magnificenza. Inoltre, salito all'altissimo grado per virtù d'ingegno, egli pregia tutte le manifestazioni dell'ingegno umano, e gli ingegni stessi, onde si circonda di poeti e di artisti, ne stimola con danari ed onori l'attività, traendo dalla loro dimestichezza e dalle opere loro, come osserva il Burckardt, una nuova legittimità alla sua illegittima potenza.

      Il Castellano, nobile di antica data, ha bensì ambizioni grandi, ma deve fare i conti colle rendite che il potere sovrano gli va continuamente assottigliando. Nè in tempi di così instabili signorie, e nella rapida decadenza degli ordinamenti feudali, egli osa fare vistosa mostra di ricchezze; onde, dei nuovi agi e delle nuove eleganze, ama piuttosto fruire in famiglia che procacciare agli ospiti il godimento. Perciò troveremo più ornate e ricche le camere di sopra, destinate al dormire e all'abitare, che la sala da pranzo e quella antica sala baronale che ancora occupa al piano terreno il maggiore spazio, ma che sia ostentazione di austerità, sia religione degli avi o sia piuttosto il trovarcisi a disagio, il padrone lascia, per lo più, nuda, fredda e solenne quale l'ebbe dai padri.

      Due scale mettono ai piani superiori della casa. Una, stretta, oscura e rotta da frequenti ripiani, è destinata al disbrigo delle faccende domestiche, l'altra spaziosa e chiara è riservata ai signori. Questa, o sale visibilmente dal cortile coperta di un tettuccio posato su pilastrini o colonnini, o si svolge in branche regolari con scalini larghissimi e di poco rilievo. Nell'Alta Italia non erano infrequenti le scale a chiocciola. Il Castello d'Issogne in Valle d'Aosta ce ne mostra una veramente bella e degna di studio. Ogni gradino s'impernia dall'uno dei capi in una colonna di granito sottilissima, e di là allarga a ventaglio il suo piano finchè infigge nel muro l'altro capo, più largo di un braccio. Rigirata sopra sè stessa, descrivendo un circolo che misura oltre quattro metri di diametro, quella scala, che pare empire colla sua elica enorme il cavo di una torre, ascende misteriosa, nascondendo, a chi sale, la persona che lo preceda di pochi gradini, ed ingrossando il suono di ogni passo e diffondendolo in quel vento continuo che rendono le spire di una conchiglia. La sera essa vi dà quella sottile inquietudine imaginosa, così piacevole agli adulti. Ogni passo ed ogni voce svegliano mille echi di passi e di voci che sembrano turbinare nel vano e salire e smarrirsi poi via per i solai tenebrosi. Vi scattano rumori secchi come il battere di un acciarino, spenti nell'attimo come la scintilla che ne lampeggia, vi corrono fruscii morbidi come di vesti che sfiorino la terra e rapidi come di persona snella che si rimpiatti. Se altri vi preceda colla lucerna, le muraglie, più che una luce, riflettono una bianchezza incerta simile a quella che irradiata dalle lampade degli altari fa più nera l'oscurità delle navate.

      Le camere del primo piano, sono chiare e spaziose; i mobili pochi, ma ognuno di essi ha singolari pregi artistici. Gli intagli assottigliano il legno e gli danno la vaghezza e la leggerezza di un ricamo, senza scemarne punto la solidità. All'opposto di quanto segue oggidì, i meglio ornati non sono i mobili di pretto lusso, ma gli usuali, come i grandi stipi addossati al muro, le credenze, il seggiolone o cattedra che fiancheggia il letto, la cui spalliera, imperniata al telaio, può all'occorrenza scendere, e posando sui bracciuoli formare una tavola. Ai piedi del letto sta il cassone, o la cassapanca, ornata di intagli a fiori o figure, e con delicati fregi di ferro, alle maniglie ed alla serratura, quella cassapanca che fu argomento di tante argute ed inverosimili storie ai novellieri, nella quale le donne riponevano le vesti più sfarzose, poichè ancora non usava, o poco, di appenderle negli armadi. Il letto a colonnini, è coperto e fasciato di ricchissime cortine. Quando il signore conduceva la sposa al castello, la camera nuziale era tutta apparata a nuovo. Le altre camere della casa erano depredate per raccoglierne in quella tutti gli agi e le ricchezze. Si ponevano sul letto fin quattro materassi di bambagia, le lenzuola erano di tela, sottilissime, tutte trapunte di seta e d'oro, che doveva far ribrezzo a toccarle. Le coperte, di raso rosso, azzurro, cremisino, mostravano ricami di fili d'oro con le frangie d'ognintorno. Le cortine erano a liste alternate di velluto e damasco e tocca. Quattro origlieri lavorati maravigliosamente a ricami e trine aspettavano le nobili teste. Alle pareti, arazzi istoriati o vaghe stoffe sottili, a ghirlande di fiori. Nel mezzo sulla tavola un tappeto alessandrino, ed un tappeto, alessandrino pure, sul palco che reggeva il letto. E intorno i forzieri recati in dote dalla sposa, pieni di gemme, di monili, di stoffe preziose e di merletti.

      Ma tale fasto durava quanto la intima convivenza dei coniugi, i quali, a breve andare, si riducevano entrambi in meno ricchi appartamenti, e spartivano fra di essi ed in seguito colla figliolanza le quattro materasse, che erano spesso le sole della casa, e delle quali più d'una volta i figlioli maschi ignoravano, finchè non menassero moglie, le tepide mollezze. Perchè, il lusso era grande, ma non pari al lusso le comodità, o, quanto meno, non le minute comodità, che tanto pregiamo ai giorni nostri.

      Avevano, onde è a credere che pregiassero sopratutto le comodità di spazio, e grande e nuovissima a quei tempi, ricchezza di luce e di aria. Nei secoli precedenti, il castello era più ordinato a fortezza che a dimora, onde apriva non sulla campagna, ma sugli spazi compresi fra le varie cinte, strette e basse finestre. Ora ogni camera guardava intorno, oltre i recenti ruderi delle cinte, i campi ed il cielo e lasciava entrare per le ampie e frequenti finestre, i raggi, i profumi, i suoni che manda la natura. E quelle finestre, dalla profonda strombatura, dovevano essere la dimora consueta delle donne a giudicarne dai sedili a muro che le fiancheggiano e che solevano ricoprire di morbidi cuscini. Di là le castellane aspettavano il marito od i figliuoli reduci dalle caccie, non dalle caccie festose e squillanti, raro e costoso sollazzo dato ai rari ospiti e delle quali esse pure erano parte, ma dalle caccie quotidiane, rude esercizio di forza e di astuzia, consueta e quasi unica educazione che i padri davano ai figli. Di là anche, le giovani donne ammonivano il damo che s'aggirava cauteloso nei pressi del castello, e con segnali convenuti gli davano la posta. Se non che, a scapito della poesia romantica, ed a gioia grande del demonio, esse solevano pur troppo concedere e richiedere amore, a gente dimorante, per uffici che vi tenessero, nel castello, e la distribuzione degli appartamenti aiutava i raggiri infernali perchè le camere delle donne stavano tutte dall'un lato del castello e quelle degli uomini dall'altro.

      La famiglia del signore teneva il primo piano della casa. Il secondo era destinato agli ospiti. Ciò dico, dei castelli, non delle abitazioni signorili della città, nelle quali erano di solito serbate pei forestieri molte camere al piano terreno.

      *

      La mattina, all'alba, il cortile è pieno del vario popolo dei servi e dei valletti. Gli uni portano le provvigioni alle cucine, e gli altri forbiscono le armi od i fornimenti per le cavalcature, gli scozzoni strigliano i cavalli, il maggiordomo, sotto il portico, misura, pesa e registra il latte, le farine, le ova ed il pollame che i villani arrecano dalle prossime cascine. Nel secolo XIV ancora squillava, al levare del sole, il corno della torre maggiore. Ora quell'uso guerresco è dimesso. Il signore s'alza per tempo, poichè andò la sera innanzi per tempo, al riposo. Quando gli tocca levarsi ad ore insolite, egli ricorre allo svegliarino, che chiamavano allora oriolo col destatoio, del quale, verso la fine del secolo XV, già l'uso era quasi comune. V'erano anzi orioli di così sottile congegno, che all'ora voluta, non solamente risonavano stridendo, ma battevano l'acciarino ed accendevano la candela. Appena desto, il Castellano scendeva alle stufe, pel bagno, bella usanza dovuta alle Crociate e che si andò perdendo di poi, e fu ripresa che non è molto; indi attendeva a vestirsi coll'aiuto del domestico che si era tutta la notte giaciuto sul tettuccio accanto al letto padronale. Di dormir solo in camera non si attentava nessuno. All'ospite era squisita cortesia, offrire il Castellano un posto nel suo proprio letto. E sempre o una dama, o una vecchia fante, dormiva o nel lettuccio accanto o nel letto istesso della Castellana. Di questa singolare, e a giudizio dei nostri tempi, fastidiosissima usanza, sono piene le novelle. E poichè, bisogna pur dire ogni cosa, la domestica non si rimoveva di camera, nemmeno quando il rimanervi la riduceva a terzo incomodo; se non che i signori, quasi non avendola in conto di creatura umana, nulla curavano di lei.

      Com'era vestito, messer Castellano faceva le prime devozioni prostrato


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