Minerva oscura. Giovanni Pascoli

Minerva oscura - Giovanni  Pascoli


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ti torrà lo scender questa roccia.[17]

      Finora, in tutti i quattro cerchi, Dante o esplicitamente o implicitamente ha narrato di avere avuto paura; il che vuol dire che egli non si fidava ancora perfettamente di Virgilio: al quinto poi, la sua sfiducia è tanta, che egli propone di ritrovar l’orme loro:

      Pensa, Lettor, se io mi sconfortai

      Nel suon delle parole maledette;

      Ch’io non credetti ritornarci mai.

      O caro duca mio, che più di sette

      Volte m’hai sicurtà renduta, e tratto

      D’alto periglio che incontro mi stette,

      (non sono veramente nemmeno sette le volte, e questa esagerazione attesta il timore presente, e le parole che seguono provano, se ce n’è di bisogno, il timore passato)

      Non mi lasciar, diss’io, così disfatto:

      E se ’l passar più oltre c’è negato,

      Ritroviam l’orme nostre insieme ratto.[18]

      Lasciato solo un poco, Dante è in forse; e il sì e il no gli tenzonano nel capo; vedendo poi tornare il suo Signore con passi rari, con gli occhi alla terra, senza baldanza e sospiroso, egli sbigottisce e la viltà gli spinge sul volto il pallore; e al sentirlo parlare interrotto e tra sè, impaura sempre più e ci confessa di aver molto dubitato che si avverasse la speranza e l’aspettazione di Virgilio che di qua dalla porta dell’inferno alcuno discendesse l’erta. Ora non poteva essere, se mai, se non dal Limbo, chè gli altri dannati sono dalla loro colpa circoscritti al loro cerchio; e Dante appunto domanda se dal Limbo può alcuno venire negli altri cerchi più bassi. Virgilio mostra di credere che la diffidenza di Dante non sia per l’aspettato salvatore, ma per lui stesso; e risponde assicurandolo che già altra volta fece il viaggio; e quindi:

      Ben so il cammin: però ti fa sicuro.[19]

      Ma Dante non si fa sicuro, se non appresso le parole sante del messo del cielo, e nel sesto cerchio può fare, in certo modo, ammenda de’ suoi dubbi, dicendo al Maestro cui ora segue docilmente (‛io dopo le spalle’):

      O virtù somma, che per gli empi giri

      Mi volvi,... come a te piace.[20]

      Certo, passata la porta di Dite, Dante ha ragione di credere al Maestro, e (subito, prima di scendere nell’abisso inferiore) ne dà la prova, richiedendogli un compenso del tempo che sono altrimenti per perdere, e ne ottiene la dichiarazione di tutto l’Inferno.

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      Or come mai questa dichiarazione minuta ed esatta non è pur tale da togliere ogni difficoltà che c’impedisce di vedere la costruzione morale dell’Inferno, e perciò il sistema filosofico di tutto il poema? Io credo che ciò venga dal fatto che Dante stesso non ha voluto esser chiaro. E perchè? Giova rispondere domandando: perchè Dante non si fidava troppo e qualche volta apertamente dubitava di Virgilio? La risposta è facile: perchè Virgilio è simbolo di cosa, in cui noi abbiamo torto se riponiamo intera e infinita fiducia, sia essa cosa la Ragione o sia la Filosofia; e solo a lei dobbiamo credere, quando ci dimostra d’essere mossa da quelle tali tre donne che si chiamano la Donna Gentile, Lucia e Beatrice, di essere mossa da Beatrice, per limitarci, e di andare a Beatrice:

      Con lei ti lascerò nel mio partire.[21]

      Ora, se la esposizione filosofica delle colpe punite in Inferno non c’è chiara, noi possiamo fondatamente credere, che chiara non è appunto perchè fatta da chi chiara non la poteva fare. Al che possiamo aggiungere che, anche potendo, Virgilio non l’avrebbe al tutto chiarita, perchè egli è il Maestro, e il Maestro deve lasciar lavorare l’intelletto del discepolo. Dei quali due punti accenno la prova, rimandando a ciò che Virgilio stesso dice nel Purgatorio, nell’esposizione che fa del Purgatorio, al verso 139 del XVII per il secondo punto, e ai versi 46-49 del XVIII per il primo. Dai quali ultimi versi possiamo ricavare la conclusione che Virgilio può dire solo ‛quanto ragion qui vede’. E che vedeva la ragione dunque nell’ordinamento e divisione dei peccati nell’Inferno? Vedeva, quanto aveva insegnato il maestro di color che sanno, di cui è appunto citata l’Etica e la Fisica. Noi possiamo aggiungere il libro de Officiis di Cicerone, sia che Dante avesse letto l’opera intera, sia che ne conoscesse solo alcuni estratti.

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      Che dobbiamo concludere sulla ‛costruzione morale’, dell’Inferno? sulla divisione de’ peccati?[22] Questo: che delle tre disposizioni che il Ciel non vuole, una, l’Incontinenza, è punita fuori della città roggia, e le altre due, Malizia e matta Bestialità, dentro: che queste due equivalgono poi a una triplice Malizia, di cui ingiuria è il fine, della qual Malizia le tre specie sono Violenza, Frode in quello che fidanza non imborsa, Frode in colui che si fida, o ‛di chi trade’. Può alcuno anzi tenere che la matta Bestialità sia cosa diversa da questa triplice Malizia. D’Incontinenza sono certo tre peccati di cui Dante discepolo di Virgilio conosceva già il nome: peccato carnale o vizio di lussuria (V 38 e 55) di coloro che mena il vento; colpa della gola (VI 53) di quelli che batte la pioggia; avarizia (VII 48) o spendio senza misura (42) o mal dare e mal tenere (58) degli altri che si incontran con sì aspre lingue. Sa forse anche il nome del peccato di quei della palude pingue? In essa sono l’anime di color cui vinse l’ira (VII 116), e sono anche i tristi che portarono dentro accidioso fummo (121). Il peccato è dunque duplice e contrario, come di quelli del quarto cerchio: ira e accidia. Nulla si potrebbe dire, a questo punto, di più chiaro: or come si parlava d’oscurità o d’incompiutezza? Oh! oscura è sì, e incompiuta la sposizione di Virgilio. Lasciando da parte il punto della matta Bestialità, della quale io non mi sono mai resa ragione come abbia potuto suscitar dubbi e dispute, e stringendo in poche parole il molto che si è scritto, come mai dei sette peccati capitali, due l’Invidia e la Superbia, non sono puniti nell’inferno Dantesco? O sono puniti sì, ma con altro nome e con altro sistema, dentro Dite, dove con l’Invidia e la Superbia, avrebbero la loro pena un’Ira, una Lussuria, una Cupidigia o che so io, più gravi di quelle dei cerchi primi e dello Stige? Ma perchè, se questi che sono peccati minori hanno un luogo a loro ordinato fuori di Dite e, qua e là, dentro, la Superbia e l’Invidia l’avrebbero solo dentro Dite? Non si risponda: sono più gravi; perchè di qua da Dite quella gradazione, per cui Lussuria è meno grave di Gola e Gola di Avarizia e Avarizia di Ira e Accidia, non si potrebbe trovare più osservata, se, per esempio, lussurioso è Brunetto, e iracondo, per esempio, Azzolino. E così come di questi cinque peccati, si troverebbe degli altri due. Ma può essere che questi due si trovino nello Stige, accennati appena con un aggettivo o mostrati con un atteggiamento. Può anche essere; ma allora, credendo che così sia, io dovrei sempre concludere, come concludo credendo che ciò non sia, che l’insegnamento di Virgilio è oscuro, o perchè la ragione, sebbene illuminata dalla filosofia Aristotelica, non vede assai, o perchè il Maestro vuole esercitare il discepolo e avvezzarlo a cercar da sè, o per tutte e due le ragioni insieme. Certo Virgilio stesso fa intendere l’insufficienza dei lumi filosofici, quando cita, sia pure per confermare una sentenza d’Aristotele, un libro di tutt’altra natura che l’Etica e la Fisica (la ‛tua’ Etica, la ‛tua’ Fisica: si noti): lo Genesi.

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      Utile e necessario è andare all’altra lezione che Virgilio fa a Dante, nel Purgatorio, sull’ordinamento di questo. Io osservo che, mentre nell’Inferno Virgilio ha ragionato partitamente dei tre cerchietti che avevano ancora a vedere, nel Purgatorio tace del come è tripartito l’Amore che sopra loro si piange per tre cerchi:

      L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona,

      Di sopra noi


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