Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
E la donna si calmò, infatti, come se il tono imperativo di lui le si fosse imposto.
«È passato» mormorò con voce bianca. «Sono calma».
Un temperamento facilmente suggestionabile, perbacco! Chiunque avesse voluto operare su di lei con l’ipnosi o col magnetismo, ne avrebbe fatto quel che ne avesse voluto, l’avrebbe ridotta uno strumento inconscio.
Il cervello di De Vincenzi si mise a lavorare febbrilmente.
L’avevano suggestionata anche per imporle di predire la morte a Magni? In questo caso dovevano aver lo scopo di gettare il turbamento nell’animo del senatore, per indurlo a qualche atto, che facilitasse l’opera dell’assassino.
«Non dirà davvero nulla a mia figlia?».
«Certamente, no».
«Grazie!».
«Ho però qualche cosa da chiederle in cambio…».
Le pupille della donna s’oscurarono.
«Sì… Sono pronta a tutto, pur di evitare un dolore a Tina. Lei non sa che i denari del suo stipendio e della mia pensione non bastano… Non possono bastare!… Mio marito, poverino, giocava… ha lasciato molti debiti… Io mi sono assunta di pagarli, senza che Tina lo sapesse, perché voglio che la memoria di lui sia pura! Allora… Capisce? Ho cominciato quasi per ischerzo, con le amiche… Poi mi sono fatta pagare… Ricevo i clienti soltanto nelle ore in cui mia figlia è a scuola… Ho avvertito la portinaia che non faccia salire nessuno, quando Tina è in casa…».
Per questo, la portinaia gli aveva chiesto se andava per un consulto. Doveva essere la verità quella che diceva la donna, anzi, era certamente la verità.
«Ma lei non parlerà, vero?».
De Vincenzi disse di no col capo.
«E… Mi permetterà di continuare?».
«Fin quando non se ne accorgano gli altri… Per quel che mi riguarda, io non c’entro. È come se non lo sapessi».
«Oh! Grazie».
Esultava; ma di nuovo gli occhi le si oscurarono.
«E da me che vuole? Che cosa posso fare per lei? Si tratta forse?…».
Il commissario assentì col capo, gravemente.
«Ma io non so nulla!».
«Non importa. Ma se le chiedo di partecipare ad una seduta spiritica per me… Con alcuni miei amici… Accetta?».
Lei si turbò.
«Non capisco!».
Forse, temeva un tranello.
«Non vorrà mica mettermi alla prova?».
«Non ci penso neppure. Di lei non dubito».
Si alzò. La donna gli afferrò una mano.
«Me lo ha promesso, badi!».
Faceva pena. Aveva perduto ogni fierezza. Per un istante sembrò a De Vincenzi che stesse per baciargli la mano. Rapido, si liberò dalla stretta.
«Stia tranquilla! Sono un gentiluomo…».
Non adoperava mai quella frase, che a lui ripugnava, perché di solito proprio chi lo afferma non lo è; ma sentiva che con quella donna occorrevano le parole drammatiche, le frasi teatrali.
Squillò il campanello. Due o tre colpi successivi.
«È mia figlia!… Che cosa le dirà, per spiegare la sua presenza?».
S’era alzata, aspettava con ansia la risposta, prima di andare ad aprire.
«Interrogherò anche sua figlia. È sempre l’inchiesta, che continua. Sua figlia non può meravigliarsene».
«È vero!».
Ma non sembrava completamente persuasa. Traversò l’ingresso con passo incerto.
«Tina, c’è il signor commissario, che vuole interrogarci ancora…».
«Ha già parlato con te, mamma?».
«Poche parole… È appena arrivato…».
«Buongiorno, commissario. Sempre quella storia dello spiritismo, eh?».
Era ancora più piccola, più insignificante, più inesistente della prima volta che De Vincenzi l’aveva veduta. Forse, per il suo abitino grigio, col colletto rovesciato di tela bianca, la sottana corta, da cui uscivano le gambe troppo magre e ossute, con le calze nere e le scarpe a tacco basso e a punta quadra. Sotto il cappellino scuro, il visuccio smorto si profilava senza rilievo.
Il commissario, s’era inchinato. La guardava.
«Già!…».
Un lampo di corruccio illuminò improvvisamente il volto della ragazza.
«Mamma s’è sentita male!» disse, indicando la bottiglia dell’acqua e il bicchiere sul tavolo e fissò De Vincenzi con rimprovero. «Che cosa le ha detto, lei?».
«Non mi sono sentita male, Tina… Il commissario è stato gentilissimo…».
«E da me che cosa vuole?».
Non era aggressiva. Soltanto amaramente rassegnata.
S’accorse d’avere tra le mani, inguantate di filo nero, un libro e le pagelle e li posò sul tavolo. De Vincenzi tossì.
«Vorrei che rammentasse chi venne a invitare sua madre, sabato scorso, perché andasse al Circolo di via Broletto…».
La figlia diede uno sguardo alla donna, che si teneva sulla soglia.
«Non glielo hai detto?». «Non me lo ha chiesto».
«Si vede che voleva chiederlo a me» disse, sempre con quel tono di rassegnazione pacata. «Fu il signor Chirico. Venne il venerdì verso sera, poco prima di cena». «Come disse?». «Oh! Vuole che ricordi le sue parole!».
«Insisté, perché non mancasse? Sembrò annettere un’importanza particolare a quella seduta?».
«Non più delle altre volte. Lui insisteva sempre, soprattutto quando ero presente io, che sapeva ostile a quel genere di cose».
«E la mamma si recò sola in via Broletto?».
«Io non potevo accompagnarla. Nel pomeriggio del sabato c’è sempre il cinematografo educativo e debbo condurvi i bambini».
«Quando sua madre tornò dalla seduta, le riferì nulla di particolare?».
«Povera mamma!» ma nella sua compassione era una punta di biasimo, quasi di disprezzo. «Quando torna da una di quelle sedute, è molto se trova la forza di mangiare prima di coricarsi. Quella sera si coricò subito, tanto era stremata. Le portai uno zabaione a letto».
«E l’indomani… quando si sentì in forze, insomma… non le accennò alla profezia, che aveva fatta durante il sonno magnetico?».
«No. Io l’ho sentita per la prima volta davanti a lei. Ma non mi sarei impressionata, se me l’avesse detta. Non credo allo spiritismo, io».
«Neppure che sua madre abbia virtù medianiche?».
«Questo non c’entra. Siamo nel campo dell’ipnosi e della suggestione, secondo me. Mia madre è molto impressionabile. Come una bimba».
Sempre quell’aria di compatimento poco indulgente. Si indovinava che era lei a far andare la casa e a comandare. E non doveva avere la mano leggera, nell’imporre la propria volontà.
«Grazie, signorina. Questo è tutto».
S’inchinò di nuovo. La madre lo aspettava in anticamera.
Quando fu sulla porta