Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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saliva e il pomo di Adamo gli si alza e gli si abbassa con un movimento doloroso.

      — Non spero nulla!… Ma adesso bisogna che mi lasci andare, Crestansen! Ci rivedremo…

      — Quando?

      — Domani… No, neppure domani… C’è Fiera per tutto il giorno… Diciamo lunedì…

      — Tardi! Non ti do il tempo di sfuggirmi ancora. Bisogna che parliamo questa sera stessa e che tutto sia finito prima dell’alba. Sono trent’anni che ti cerco!

      — Fino a mezzanotte debbo stare al banco, a vendere…

      — Ipocrita! – mastica fra i denti il danese. – Adesso, credi nel Signore Iddio!… E vendi le Sacre Bibbie!… Sta bene. Sarò sulla piazza a mezzanotte. A quell’ora potrai condurmi a casa tua, per parlare. Non cercare di sfuggirmi, vecchio ladro, perché l’avrai a fare con me. Se la forca ti ha risparmiato, non ti risparmieranno le mie mani!…

      E le mostra, ossute, enormi, mani da strangolatore. Giobbe ritorna al suo banco. È più curvo. Il cappello abbassato sulla fronte. Le mani dietro la schiena.

      Il Libro dei Libri! Sessantadue libri per dieci lire!… Ma la voce di Giobbe Tuama è roca e flebile.

      Ore 19 e 30

      I visitatori si diradano con rapidità. Si avvicina l’ora del pranzo serale.

      Tino Fiamma è sempre davanti al suo banco, con la stilografica pronta e il sorriso invitante.

      — Lo creda, signora! È il mio libro, che più amo…

      E scrive la dedica in fretta, per tema che la compratrice gli sfugga.

      Poi si volge a parlare a bassa voce con l’amico, che gli è accanto.

      — Hai fatto?

      — Nulla! Ho insistito in ogni modo. Non ti vuol dare neppure più una lira. Dice che non ti rinnoverà neanche la cambiale di fine mese. È stanco…

      — Posso dedicarle il mio libro? Gli iconoclasti è il libro che più amo, perché è vissuto… No! – e alza le spalle, con una smorfia di disgusto. – Non c’è più niente da fare, oramai! Per un paio d’ore non si vende… Dicevi? Vecchio usuraio!

      Dà un’occhiata velenosa verso il banco vicino, dinanzi al quale Giobbe Tuama grida ancora con la sua voce stridente:

      — Il Libro dei Libri… Sessantadue…

      — Aspettami. Gli vado a parlare io.

      Tino Fiamma esce dall’interno del banco, si mette le mani in tasca e s’avvia. I neri capelli gli fanno una soffice aureola attorno al capo; il volto grassoccio, illuminato dai grandi occhi glauchi, è tutto un sorriso. Stringe le labbra carnose e fa la bocca a cucire, sotto il naso troppo piccolo, ridicolmente piccolo in mezzo al volto rotondo.

      — Tuama, mi permettete una parola? Giobbe lo guarda.

      — Niente, signor Fiamma! L’ho già detto al vostro amico. Non dò un centesimo! Mi dovete più di tremila lire, che ho avuto la dabbenaggine di prestarvi, quando non vi conoscevo come vi conosco ora! Neppure un soldo. E, se non pagate a fine mese, vado sino in fondo…

      E si allontana, ricominciando a gridare:

      — Il Libro dei Libri!…

      Tino Fiamma sorride sempre. Fa qualche passo per seguire il vecchio. Nulla in lui rivela lo stato di sorda agitazione, che lo sconvolge.

      Sta di nuovo alle spalle di Giobbe e tende la mano, per afferrargli un braccio.

      In quel momento sorge tra loro una vecchia signora vestita di nero, con un cappellino scintillante di lustrini.

      — Una Bibbia!

      Giobbe vede la donna, guarda Tino Fiamma e mormora qualche parola incomprensibile. È pallidissimo. Esangue. Sembra stia per mancare.

      — Una Bibbia! – ripete con forza la signora, fissando l’uomo del Libro dei Libri. – Non fa il venditore di Bibbie, lei?…

      Giobbe tende la mano sul banco, afferra un volume, lo porge.

      — Ecco!

      La donna trae il portamonete dalla profondità di una gonfia borsa nera.

      — Dieci lire?

      — Sì…

      La moneta d’argento, battuta da Beniamino sulle pietre del lastricato, tinnisce, mentre la signora si allontana lentamente, stringendo la Bibbia contro il petto.

      — Ascoltatemi, Tuama!

      — Niente!… Puah!…

      E il vecchio gira rapido attorno al banco, mormora una frase di saluto al colosso, si dirige verso l’arco di via Orefici, quasi correndo.

      Tino Fiamma ritorna al suo banco, dove l’amico lo aspetta.

      — Se non cambia idea stasera, sono rovinato!

      E sorride.

      — Posso dedicarle un mio libro?…

      Ore 23 e 30

      C’è stata grande affluenza per tutta la serata. I banchi hanno venduto. Il diagramma è salito. Se la giornata festiva che sta per seguire sarà come il sabato fortunato che muore, la Fiera di quest’anno segnerà il più grande successo. I bollettini dell’Alleanza del Libro recheranno cifre sbalorditive.

      Ma oramai, il pubblico comincia a scemare. Tendoni di tela impermeabile vengono gettati sulle cataste dei libri e poi fermati a piede dei banchi con solide corde. Quella merce preziosa, milioni e milioni di parole impresse, rimarrà per tutta la notte sotto il cielo, senz’altra vigilanza che quella di un paio di guardie notturne, messe a passeggiar per la piazza e sulla Loggia.

      Anche il banco del Libro dei Libri ha fatto la sua toletta notturna. L’ercole ha tratto dalla profondità del sottobanco il cappello di feltro grigio tortora e se l’è messo sul capo. Attende i suoi due compagni per andarsene.

      — Giobbe, Bertrando, andiamo. Domattina alle otto dobbiamo trovarci di nuovo qui.

      Beniamino ha tra le mani il sacchetto del denaro. Buon raccolto per la Lega Evangelica e buona semina! Sessantadue libri per dieci lire. Ogni volume nero che ha esulato dal banco, ha fatto entrar nel sacchetto un pezzo d’argento sonoro. Quel che più conta, però, è ch’esso sia andato a portare il verbo di Dio in una casa cristiana. La pura dottrina dell’Evangelio creerà nuovi proseliti.

      — Domattina, andate voi, Giobbe, a versare il denaro nelle mani del Pastore prima di venir qui – e Beniamino depone il sacchetto fra le mani di Giobbe.

      — Sta bene, Beniamino.

      Giobbe lancia attorno per la piazza sguardi ansiosi. Cerca. Come mai ancora non vede il volto rostrato dell’implacabile Crestansen? Se potesse sfuggirgli! Non lo spera, neanche. Il danese, come un mastino tenace, non lascerà presa. Egli non può avere speranza alcuna di sfuggirgli. Il suo amico è venuto dall’America per trovarlo. Chi potrà avergli indicato la pista? È dal pomeriggio che Giobbe s’è posto questo problema e non riesce a risolverlo. Già un’altra persona – egualmente pericolosa per lui, che si chiama davvero Jeremiah Shanahan – ha scovato il suo rifugio. Egli lo sa dal giorno prima. Ha tentato sfuggirle; è persino salito sulla carrozzetta delle capre, al giardino pubblico, per evitarne l’incontro e per impedirle di accostarglisi! Ma Crestansen, lui, non lascerà presa.

      — Vattene pure con Bertrando, Beniamino. Io mi attarderò ancora un poco. Intanto la mia strada è diversa dalla tua…

      — Buona notte, Giobbe!

      — Buona notte!

      Il colosso e il giovinetto si allontanano.

      Giobbe trae di sotto il tendone, che copre ed infascia il banco, il soprabito e lentamente lo indossa. Ancora sosta


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