Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
è illuminata soltanto dalla luce delle lampade ad arco di via Mercanti. Angoli d’oscurità spessa si formano dovunque. Il pozzo allunga la sua ombra contro il palazzo dei Giureconsulti.
R
Capitolo II
La domenica
Ore 1
Piazza Mercanti e la Loggia del Palazzo della Ragione sono fasciate di silenzio e d’ombra. Sedute sui gradini del loggiato, le due guardie notturne sonnecchiano. È comoda fazione quella che han da fare ai libri. Nessuno verrà a rubarli!
I neri volumi del Libro dei Libri giacciono sotto il copertone, con tutta la scienza, la poesia, la sapienza del mondo.
Qualche gatto vagola tra i banchi.
Ore 8
La piazza e la Loggia si destano. I tendoni vengono tolti, i libri multicolori tornano alla luce. Parole, parole, parole. Una sarabanda di parole a lettere cubitali.
I commessi, i fattorini, qualche autore si agitano attorno ai banchi.
— Se oggi va come ieri, questa Fiera batterà tutti i records!
La domenica è splendente di sole.
Il banco dei Libri dei Libri è ancora coperto dal tendone grigio.
Il primo a giungere è Bertrando coi suoi capelli di fiamma. Egli scioglie i nodi delle corde, libera la copertura e si mette ad attendere. Per togliere il tendone e arrotolarlo, ha bisogno di aiuto.
— Sei qui?…
Il colosso ha il fiato corto, perché s’è affrettato.
— Prendi dall’altra parte… – e lui afferra due capi della tela. – Giobbe verrà più tardi… È andato a casa del Pastore…
E in due cominciano a disporre i libri, che la sera prima avevano ammucchiati sul banco. Le falangi tentacolari del giovinetto riprendono la loro danza agile tra i volumi rilegati in tela nera.
Beniamino ha afferrato il rotolo del tendone e cerca cacciarlo sotto il banco. Spinge dalla parte anteriore, sollevando un poco la tela bianca e il rotolo non entra. Qualcosa lo inceppa.
— Guarda dalla tua parte, Bertrando… Deve essere una cassa, che impedisce al tendone d’entrare.
Il giovinetto si china, mette la testa rossa sotto il tavolato.
Un urlo di terrore echeggia per la piazza e sotto la Loggia.
Bertrando si rizza pallidissimo e vacilla.
— Che c’è? – chiede Beniamino, facendoglisi accosto.
Dagli altri banchi, tutti si son voltati e guardano. Qualcuno accorre.
Al limite della Loggia si sporgono autori e commessi.
— Lì… lì sotto… – proferisce a stento il ragazzo e tende la mano tremante.
Il colosso si curva a guardare e un’orrenda bestemmia gli esce dalla bocca. Il suo turbamento dev’essere addirittura sconvolgente, s’egli ha perduto in tal modo il controllo di sé.
— È Giobbe! – e fissa sotto il banco con gli occhi sbarrati. – Il vecchio s’è ubriacato!
— No!… No!… – riesce a stento a esalare il giovinetto.
— Che vuoi dire?…
— È morto!
— Morto! – ripete Beniamino.
Attorno s’è fermato un cerchio di curiosi. Tutti guardano. Qualcuno irresistibilmente ride. Bertrando ha lasciato la tela sollevata e il corpo di Giobbe è interamente visibile. Non può negarsi che lo spettacolo sia grottescamente comico. Il vecchio è disteso supino, il grosso naso all’aria; le scarpe enormi fanno angolo retto col terreno. Ha le braccia incrociate sul petto, il cappello tondo a melone gli posa sul ventre. Sembra un fantoccio mostruoso.
Qualcuno però osserva meglio e non ride più.
Quel fantoccio ha gli occhi fuori dell’orbita, la bocca spalancata, la lingua penzolante da un lato, tumefatta, violacea.
Giobbe Tuama è stato strangolato!
Allucinante! Nessuno ha la forza di resistere a guardarlo.
Bertrando sta per svenire. Beniamino stesso si ritrae, in preda a un orrore, che gli dà il tremito convulso.
Attorno al banco, il gruppo degli accorsi s’è fatto folla. Il grido lanciato da Bertrando ha richiamato gente da via Orefici e da via Mercanti. Sempre più essa si avvicina, si addensa, preme.
I banchi dei libri rimangono abbandonati.
Tra poco la Fiera verrà invasa.
Alto, con incesso lento e solenne, un vigile dal corpo potente inguainato nell’uniforme di tela candida si apre il varco tra la folla e raggiunge il banco. Vede il cadavere e non può frenare un gesto di orrore.
— Chi è – chiede imperiosamente.
Beniamino e Bertrando tacciono.
Qualche voce si leva dagli astanti:
— È l’uomo delle Bibbie!
— È quel vecchio che ieri gridava!
— È stato qui fino a mezzanotte!
Il vigile non riesce ad afferrare subito e per intero la realtà. Pronuncia la domanda più assurda, che si possa fare in quel momento:
— Chi lo ha messo lì sotto?
Attorno gli risponde un mormorio. Se sapessero chi lo ha messo lì sotto!
— Ma è un delitto! – esclama il vigile, rendendosi conto di colpo di quel fatto mostruoso eppure evidente.
— E che cosa vuole che sia?!
— Crede che lo abbiano messo sotto al banco, per fare reclame alle Bibbie!
La situazione diventa grottesca. Un attimo ancora e attorno a quel morto cominceranno gli sghignazzamenti.
Tino Fiamma s’è spinto in prima fila. È pallido. Contempla lo spettacolo coi suoi grandi occhi glauchi pieni di stupore infantile.
— Ma è Giobbe Tuama! – pronunzia.
— Lo conosce?
Il vigile gli è piombato addosso. Si attacca a lui, perché ha parlato e perché è il più appariscente, in mezzo alla folla, con quella sua persona monumentale e i capelli corvini a battaglia sul testone rotondo.
— Lo conosce?
— Lo conosco… – mormora Tino Fiamma.
È ancora smarrito; ma in un attimo ritrova gli spiriti.
— Sì, lo conosco. È uno dei dirigenti la Lega Evangelica… Quelli sono i suoi compagni… – e indica il colosso e il giovinetto. – Ma avverta la Questura!… Faccia venire una lettiga!… Si muova, per bacco! Non vede che tra poco avremo qui tutta Milano?
Qualche ragazzo si è arrampicato sul basamento e sulle colonne della Loggia degli Osii, qualche altro sul ripiano murato del pozzo cinquecentesco. Gli uomini salgono sui banchi. Tra la folla che gremisce il Loggiato, spicca il gruppo tutto colori vaporosi delle Egerie, strette attorno al vasto soprabito giallo canarino dell’autore alla moda.
Il vigile si volge attorno. Cerca disperatamente qualcuno che lo aiuti.
Altri due vigili appaiono.
— Telefonate alla Questura! Aiutatemi a tenere indietro la folla…
Uno dei due corre verso il grande caffè, che si apre tra Piazza Mercanti e Piazza del Duomo. L’altro raggiunge il collega.
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