Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
kohl, sfavillano nel taglio del velo, che un aureo bastoncino sostiene all’altezza del naso.
Attraverso rapidamente la hall e salgo in una vettura. Quasi nessuno ha badato a me: Mohamed mi ha garantito, dopo avermi guardato, che, se mi fossi tinte le unghie di rosso, nessuno avrebbe dubitato un istante della mia qualità di donna araba ancora ligia alle tradizioni più pure. È per questo che nascondo le mani.
Ho dato al cocchiere l’indirizzo di Nikola e per il moto di meraviglia del buon uomo al mio francese di schietto accento londinese, ho capito come sia necessario che io parli il meno possibile.
Ecco il nauseabondo portone di Nikola, salgo le scale, suono il campanello che la mano disegnata sotto la targa continua a indicarmi. Subito la porta si apre e la nera sudanese, lucida come la tuba del mio Primo Ministro, mi è davanti. Mi sorride questa volta amabilmente.
— Saìda, sitt.
— Saìda. Nikola Cripopoulo?
— Aìna, sitt.
E si fa da parte per lasciarmi entrare. Le cose procedono lisce, mi sembra. Purchè non mi rinchiuda nella stanza dai sette candelieri.... Ma no! Procede per il corridoio, apre una porta, mi fa entrare. Eccomi nel gabinetto del chiromante. Come chi dicesse, vale a dire, nel cuore della città nemica.
R
7. Il tiro di Nikola
Una grande stanza bianca. Due divani alle pareti, uno di fronte all’altro, bassi, coperti di stoffa a fiorami gialli su fondo nero. Poco allegri, questi due divani! Qualche piccolo sgabello, qualche piatto d’ottone e di rame arabescato, un narghilè ancora nuovo. Da un bruciaprofumi partono le volute dense del legno di rosa che si consuma sui carboni rossi.
In terra le stuoie e un bukara di prezzo. Per la finestra semichiusa viene il chiarore accecante del sole.
La porta si apre.
— Saìda, sitt.
— Saìda.
Ho fatto la voce roca delle gole bruciate dalla pipa e dall’alcool.
— La Illah illa Allah Mohamed Rassoul Allah!
— La Illah illa Allah!
Per quel che mi costa affermare che Allah è il solo Iddio e che Maometto è il suo Profeta! Ma Nikola è buffo; così vestito, è assai più buffo di quel che non avessi potuto immaginare e mi sono trattenuto a stento dal ridergli sul muso. Ha i sandali gialli, la gallabia bianca come una camicia da notte e in testa uno zucchettino bianco, tutto quel bianco dà risalto al colorito olivastro della sua pelle e per la prima volta mi accorgo che Nikola non è della mia razza.
Mi indica un divano e mi parla ancora in arabo. Mi seggo automaticamente; ma sotto la habara impugno la rivoltella e le mie gambe sono pronte allo scatto. Avevo pensato di poter prolungare la schermaglia dell’incontro, per godermi poi la faccia che avrebbe fatta quando mi fossi scoperto; ma mi avveggo che non è possibile: del suo arabo non capisco una sola parola ed è pur necessario che gli risponda qualcosa. Egli mi fissa, cerca vedermi il volto sotto la mellaia e il velo, mi sorride scoprendo i denti d’oro. Ci mancherebbe altro che attentasse al mio onore, Nikola! E guardo le sue mani: sono mani da scimmia, lunghe, sottili, agili, nere e pelose sul dorso, pallidamente rosse nelle palme; le muove con gesti rapidi, che sembrano stringere e condurre invisibili fili.
Mi sono seduto sul divano che è vicino alla porta: con un balzo potrò impedirgli di fuggire. Continua a parlare, aspetta una risposta; di fronte al mio silenzio ostinato, ha un atto di meraviglia e si leva. Mi alzo anch’io; sono più alto di lui e lo domino di tutta la testa almeno. Lentamente distendo il braccio, lo traggo dalle pieghe della veste, gli punto sul volto la rivoltella.
— Sono io, Nikola Cripopoulo. In alto le mani! Se fai un solo movimento, sparo!
Ha dato un balzo e ha spalancato gli occhi. Solleva le mani verso il cielo, mostrandomi sole le braccia nerastre, chè le larghe maniche della gallabia gli sono ricadute sugli omeri. Non capisco se invochi Allah a proteggerlo o se abbia solamente ottemperato alla mia ingiunzione. Il suo stupore e la sua paura sono così grandi, che non riesce ad articolare una parola.
— Non credevi di vedermi così presto, Nikola Cripopoulo?
No, evidentemente non lo credeva e la domanda mi sembra abbastanza idiota. Ma è necessario che lo atterrisca definitivamente con qualche frase ad effetto. Avrei potuto anche gridargli: «Traditore, è giunto il momento della resa dei conti!», ma ho preferito attenermi all’ironia. È più mordente per lui e mi impegna meno.
— Ippolito Domiziani!
Sono io, Ippolito Domiziani? C’è mancato poco che non mi volgessi verso la porta, per vedere se era entrato qualcuno in suo soccorso. In certi momenti i nomi falsi hanno questo di brutto, che uno se li dimentica! Ma per fortuna, mi sono ripreso a tempo.
— Sì, Ippolito Domiziani.
— John Robinson!
Ah! la carogna! Non solo ha rubato i miei documenti, ma li ha letti anche!
— Perchè profferisci quel nome, Nikola?
S’è accorto d’aver commesso un’imprudenza e cerca un diversivo.
— La rivoltella è carica, mister Domiziani?
Lo ha trovato! Ma che idea di chiedermi, se la rivoltella è carica? Meriterebbe che glielo dimostrassi scaricandogliela addosso.
— Lo vedrai, se è carica! Rispondimi senza mentire o te lo faccio vedere subito!
— Tenetela un poco più in alto, allora! Un colpo fa presto a partire!
Ha paura o si burla di me?
— Non avresti più di quel che ti meriti, ignobile cane!
Ignobile cane è un’ingiuria che ha sempre il suo valore per un mussulmano.
— Dove hai messo i documenti che mi hai rubato?
— I documenti?
— Non mentire, o sparo!
— Non sparate, mister Domiziani! I documenti sono nella valigia.
— E la valigia?
— È nel vostro albergo....
— Ah! ti burli di me!...
— No, no! Per carità’.... Non stringete!
L’ho preso pel collo e l’ho fatto piegare sulle ginocchia. Prima di far uso della rivoltella, ho altri mezzi a mia disposizione.
— Non stringete! Sono nella valigia... la valigia è... nella camera di Franzyska... al Claridge. ..
Lascio la presa. Nikola cade a terra. Debbo aver stretto un poco troppo forte. Ma questa non me l’aspettavo! Dunque, Franzyska.... Ma sì, imbecille, come avevi fatto a non esserne ancora convinto?
— Chi mi assicura che tu dici la verità?
— Ve lo giuro per Allah... sul Corano!...
Sì, questo è già qualcosa, ma non basta.
— Ebbene, alzati. Vieni con me all’albergo. Se hai mentito, ti uccido!...
Si alza. Ha il volto congestionato. Le mani gli tremano. Ma i suoi occhi non mi dicono nulla di buono. Non bisogna che mi fidi di lui!
— Avanti! Cammina davanti a me!
— Così!... volete che venga per la strada vestito così?
Infatti! Ma non posso permettergli di andarsi a vestire, mi giuocherebbe qualche tiro, con tutte queste porte che si chiudono e si aprono a volontà. A volontà sua, naturalmente.
— Così! Non sei un mussulmano? Stai benissimo vestito così.
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