Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
voglia di ricominciare. Ammetterete che la mia situazione non era lieta!
— Povera Franzyska!
— No! Niente: povera Franzyska! Era la vita e io non avevo da essa nulla di più di quanto avevo voluto e di quanto mi meritassi. Tanto vero che la Provvidenza venne in mio aiuto e al Kursaal di Nizza incontrai Nikola.
Non so frenare un gesto di meraviglia, che è poi un gesto offensivo per la memoria del morto.
— Eh! mio caro, voi non sapete quel che significò per me incontrare Nikola! Significò, nientemeno, che trovare un marito il quale mi manteneva e mi metteva al coperto dalle intemperie di ogni genere, dalla fame, dal pericolo di dovermi prostituire e di fare comunque altre dolorose esperienze del genere di quella mia prima avventura, e che in pari tempo s’acconciava ad essere un marito... per modo di dire.
— Per modo di dire, Franzyska?
— Già, o per modo di fare, se preferite. Sapete voi chi fosse Nikola Cripopoulo?
— Evidentemente no, Franzyska.
— Ebbene, ve lo dirò, dal momento che è morto. Era un mussulmano fanatico, capo di una setta di irredentisti egiziani, i quali per tutto programma immediato avevano la liberazione dell’Egitto dagli stranieri, la cacciata degli inglesi dal suolo egiziano, la libertà effettiva di governarsi da soli per tutti i mussulmani dal Sudan al mare. Ora costoro, John, non sono nazionalisti perchè sentono il vincolo di una patria unica, lo sono perchè sentono il peso insfuggibile di una religione unica: la loro, la mussulmana, quella di Allah e di Maometto. Questo l’ho imparato da Nikola, naturalmente, ma l’ho imparato in modo da non dimenticarlo più. Nikola era un turco, fors’anche un turco bastardo, ma fanatico lo era di certo. E più che amare l’Egitto, odiava gli inglesi. Ah! come vi odiava, John, vi odiava più del possibile, più dell’immaginabile!
E dire che io me ne ero fatto un alleato! Ci sarebbe da ridere, se Nikola non fosse morto!
— Ma il suo fanatismo non mi spiega...
— Aspettate e vi spiegherete tutto. Dunque, Nikola m’incontrò al Kursaal. Era una sera di disperazione nera per me. Non pensavo al suicidio, perchè avevo vent’anni o poco più, ma avrei dato la testa contro i muri per cavarne un’idea che servisse a indicarmi una linea di condotta, che risolvesse questo mio problema terribile: trovare i denari per vivere bene, come avevo sempre vissuto, senza prostituirmi. Mi si avvicinò e mi parlò. Mi parlò subito freddamente e non mi guardò a quel modo cinico con cui gli uomini guardano le donne con le quali desiderano andare a letto, spogliandole dal petto alle ginocchia. Più su e più giù non è necessario, perchè spogliate, esse, lo sono di già. Vidi nei suoi occhi lampi di frenesia, che non era frenesia amorosa, e questo valse a inspirarmi fiducia. Ve l’ho detto: l’unica cosa che io potessi temere in un uomo in quel momento era il maschio. Gli confessai la mia situazione. Vi sembrerà ridicolo, puerile, avventato, ma io lo feci ed era la prima volta che lo vedevo. Egli mi considerò lungamente e poi mi propose di seguirlo in Egitto. Mi parlò chiaramente anche lui. Mi disse che tornava in Egitto per giocare una carta pericolosa, che il momento era quello o mai più; i suoi amici erano pronti, l’Inghilterra parlava di togliere il protettorato per meglio irretire l’Egitto in una rete di interessi di ogni genere, più ferrea di ogni protettorato dichiarato. Giurò per Allah che lui lo avrebbe impedito o sarebbe morto. E giurò il vero, come vedete, perchè è morto. Mi disse che io potevo essere per lui un’alleata preziosa, perchè le congiure hanno bisogno di una donna, come hanno bisogno di un’anima perduta che uccida e si faccia uccidere. Non correrete nessun pericolo, aggiunse; nè ho paura che voi mi tradiate, perchè siete polacca e non v’importa niente degli inglesi... Non addoloratevi, John, se vi dico che infatti non me ne importava niente!
E mi guarda dolcemente; l’ironia delle sue parole viene dissolta dal tenero languore di questo suo sguardo, che filtra tra le lunghe ciglia agitate da un palpito, se non di commozione, certo volutamente trepido.
— Non mi addoloro, Franzyska, perchè spero che oggi ve ne importi qualche cosa!
— Voi non mi avete ancòra detto d’essere inglese, John! – E sorride: – Ma questo è il momento delle mie confessioni, John, non delle vostre. Ascoltatemi. Dissi a Nikola che non capivo ancòra bene che cosa volesse da me; ma che a ogni modo ero pronta a seguirlo, se si fosse trattato di essere soltanto una complice e non un’amante. «Precisamente così!» esclamò. E aggiunge: «Noi ci sposeremo a Marsiglia, prima del vostro imbarco; io non potrei condurvi con me, senza sposarvi, ma questa formalità non muta per nulla i nostri patti». Infatti, John, non li ha mutati e io non sono mai stata la moglie di Nikola Cripopoulo, mentre oggi ne sono la vedova.
Una pausa. Franzyska tace e anche io taccio. Ho bisogno di raccogliere le idee. Dove mi porterà questo discorso di Franzyska? Bisogna assolutamente che ci pensi, prima che lei abbia terminato. Pensare! Che maledizione è questa, per me, di dover pensare! Mentre sarebbe così semplice e naturale e buono – nel senso etico della parola – prendere Franzyska tra le braccia e baciarla!
— Dunque, Franzyska?
— Dunque, ho finito, John!
— Non ancòra, Franzyska. Occorre dirmi, come mai quella repugnanza per gli uomini sia improvvisamente caduta di fronte a un inglese alto un metro e settantadue, coi capelli rossicci, il naso regolare e nemico dichiarato di Nikola, per di più.
— Ah! Qui entriamo nei meandri tortuosi della psicologia femminile, John! Io non vi dirò che appena vi ho visto mi sono innamorata di voi. Vi dirò, anzi, che mi siete apparso alquanto ridicolo, a tutta prima, con quel vostro modo sornione e in pari tempo sfacciato di guardarmi e di parlarmi. E vi confesso che vi diedi l’appuntamento per la notte, col proposito di lasciarvi tutta la notte solo nella vostra camera ad attendermi, per poi ridervi sul naso la mattina dopo. Nikola mi aveva segnalato la vostra presenza in albergo e mi aveva ingiunto di sorvegliarvi e di penetrare nella vostra camera quando voi non c’eravate.
Ah! carogna d’un Nikola!
— Pensavo, quindi, che comunque mi sarebbe stato utile avervi conosciuto. Ma poi il destino volle che io mi incontrassi con voi nella casa di Nikola. Temetti per un istante che le vostre smanie rumorose danneggiassero Nikola, obbligandolo a scoprirsi prima del tempo, e vi rinnovai la promessa di una visita in camera vostra. Poi Nikola mi disse che alla notte sarebbe venuto in albergo, per penetrare da voi quando dormivate, e non so perchè mi venne il capriccio di mandare a monte il piano di Nikola, dimostrandogli come bastassi io sola a rubarvi la valigetta gialla. Quella lì...
E indica la piccola valigia con le cifre d’oro.
R
9. La lieta fine della storia di Franzyska
— Quella lì, Franzyska. Proseguite, ve ne prego!
— Venni da voi, lo confesso, con tale proposito... Poi...
— Poi?...
— Poi gli avvenimenti precipitarono. Una volta sola con voi, sul letto, sotto la zanzariera, che volete? i propositi sono propositi, e la carne è la carne! Mi smarrii. E in seguito feci ancòra peggio mi addormentai. In certi casi, addormentarsi nel letto di un uomo, vuol dire accordargli il diritto di essere soddisfatto. Sicchè Nikola tentò di entrare in camera vostra, quando io c’ero ancòra. Quel che sia accaduto allora, voi la sapete. Voi usciste a inseguire per i corridoi e per le scale l’ignoto, e l’ignoto s’era semplicemente rifugiato nella camera vicina alla vostra. Nella mia, vale a dire.
Come ho fatto a non pensare a una cosa così semplice?
— Quando tornai in camera mia alle cinque del mattino, Nikola non c’era più e io non ero più in grado di far propositi che vi riguardassero. Ma Nikola tornò da me subito dopo il mezzogiorno: sapeva che voi eravate lontano da Alessandria, perchè era stato lui a mandarvi la lettera firmata Caisgraim ed era venuto per prendere la vostra valigetta. Tentai di impedirglielo. Divenne terribile, Nikola, e poco mancò non mi strangolasse. Voi mi trovaste svenuta nel vostro letto, dove lui mi aveva lasciata dopo una lotta che avrebbe potuto