Due amori. Farina Salvatore

Due amori - Farina Salvatore


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chiuso quel foglio, lo rimirai buona pezza in silenzio. E in un momento di terribile scetticismo temetti anche d'Eugenio.

      Che importa egli mai l'aversi ricambiato un saluto ogni mese, se due cuori han cessato di battere vicini da gran tempo? Ahimè! cotesto è il destino delle amicizie strette nell'infanzia. Ci separiamo fra le lagrime, e portiamo scolpita nel petto l'immagine diletta; il tempo ci trasforma e ci guasta, ma quell'immagine non ci abbandona giammai. Di tal guisa noi viviamo in qualche parte la vita d'allora, e alimentiamo col pensiero il nostro affetto. Ma nissuno di noi pensa che l'oggetto del nostro amore non è più; e che la pallida larva che avanza è menzognera. Però se egli avviene che i cadaveri si scontrino per via, e non si riconoscano, e ricordino appena d'essersi amati molto, allora essi scuotono il capo sfiduciati e si chiamano ingrati a vicenda.

       Indice

      Il giorno successivo, appena fu l'alba, mi recai all'abitazione di Raimondo.

      Era la prima volta che io vi andava; nè sapevo dire perchè vi andassi, e quale fosse l'animo mio. Ma so che così facendo io rispondeva ad una imperiosa esigenza del mio cuore.

      Ho veduto degli uomini arrestarsi impensieriti dinanzi alle rovine di Pompei, e trepidare per un frammento di capitello novellamente scavato, come se egli ridestasse in loro i teneri ricordi d'un'età passata.

      Quanto più a ragione non dovremmo noi commuoverci d'un sentimento severo di mestizia, accostandoci alle rovine di un cuore che ha sofferto ed amato, se quelle doglie e quell'amore ci hanno appartenuto in qualche guisa?

      Era forse questo sentimento dissimulato che mi guidava in quell'ora mattutina al fianco di Raimondo.

      Come io fui giunto al quartiere remoto che egli abitava, mi arrestai dubitoso; e parvemi imprudente il visitarlo a quell'ora. Ma poi che io mi ostinava a voler cancellato col pensiero il tempo che ci aveva tenuto divisi, conchiusi che il mio Raimondo di collegio non si sarebbe offeso di questa licenza, e in due salti fui ai terzo piano.

      Fu ad accogliermi una specie di negro, di cui non era facile a primo aspetto indicare la razza. Vestiva all'europea, ma i suoi capelli abbandonati sulle spalle ondeggiavano in nerissimi anella. Di corpo era snello e di statura men che mezzano; ma a traverso la sua giubba di lana, e i suoi larghi calzoni di tela, si poteva indovinare la meravigliosa proporzione delle sue membra.

      Mi salutò con un cenno del capo, come uomo che non è troppo avvezzo agli omaggi; e come ebbi posto piede nell'anticamera, mi rivolse la parola con accento gutturale in un linguaggio tra lo spagnuolo e l'italiano.

      --Sia il benvenuto nella casa del mio signore il visitatore del mattino.

      Poi senza dir altro mi accennò una sedia e si allontanò.

      Sorpreso di questo strano servitore, io non aveva avuto tempo di dirgli il mio nome perchè Raimondo fosse prevenuto. Se non che il negro fu di ritorno in un baleno, ed accostatosi a me mi disse a voce bassissima:

      --Il signore mio padrone dorme--il signore che ha visitato la casa del mio padrone può aspettare ch'ei si svegli.

      Compresi ben tosto come con costui mi sarebbe tornata inutile ogni insistenza; d'altra parte il timore di riuscire importuno, e una certa curiosità d'esaminare alcun tempo quel personaggio misterioso mi consigliarono d'aspettare.

      --Attenderò, dissi al negro.

      --Il mio signore vuole che gli amici suoi sieno ricevuti come il signore medesimo. Il visitatore è egli l'amico del mio signore?

      --Lo sono.

      --La parola dell'amico del mio signore è buona; l'amico del mio signore comandi, e sarà obbedito.

      --Il vostro nome?

      --Charruà, della tribù dei Charruà, nato sulle rive dell'Uruguay.

      --Voi siete dunque indiano? Ed abbandonaste il vostro paese?

      --Lo Charruà ama il suo benefattore, e lo segue. Le sue braccia e la sua vita gli sono dovute.

      Così dicendo egli levava in alto le braccia nude, facendone spiccare i muscoli poderosi.

      --Ma non lasciaste voi parenti colaggiù e come abbandonaste la tenda del padre vostro in riva all'Uruguay?

      Così dicendo s'accendeva in volto, e muoveva gli occhi nerissimi con vivacità. Poi mi mostrava le braccia con fare orgoglioso, perché osservassi le larghe cicatrici che il suo lutto vi aveva lasciato.

      Incominciavo a prendere interessamento per quest'uomo, che al selvaggio e virile ardimento della sua razza univa una tinta vaga di dolcezza e di bontà, dote assai rara fra le tribù indiane.

      Ma in questa si udì un tintinnio di campanello.

      --Quando il suo signore lo chiama, lo Charruà si fa più leggiero del serpente boi-hoby. Che cosa deve dire il vostro servitore al suo signore?

      --Mi chiamo Giorgio.

      --Dirò dunque al mio signore che il suo amico Giorgio gli fa la visita del mattino.

       Indice

      Poco dopo ritornò a me e mi pregò che lo seguissi.

      Attraversai una lunga fila di camere. Da per tutto io vedeva con sorpresa l'impronta della ricchezza; poiché sebbene sapessi Raimondo unico rampollo d'una casa distinta, egli non mi aveva fatto alcun cenno della sua fortuna.

      La camera in cui si trovava Raimondo era addobbata con squisita eleganza. Il suolo interamente coperto di tappeti e di pelli di tigre; le pareti tappezzate a drappi azzurri.

      Raimondo mi aspettava con desiderio; e s'era rizzato per metà sui guanciali. Mi porse la mano affettuoso, e mi fe' sedere accanto a lui con compiacenza.

      --Ti avrei fatto avvisare; mi disse quando ebbe congedato d'un cenno l'indiano; avevo tanto bisogno di vederti, di abbracciarti.

      V'era tanta mestizia, e così dolce, nelle sue parole, che ne fui sorpreso, e non seppi rispondere nulla. Ma all'improvviso m'accorsi che il suo volto era pallido più del consueto, che il suo respiro era affrettato, e che grosse gocce di sudore gli bagnavano la fronte.

      --Che hai tu dunque? gli domandai spaventato.

      Sorrise.

      --Nulla. Un po' di febbre. Me l'aspettavo; colaggiù era malato di nostalgia, ed ora... Gli è il mutamento di clima; io mi era abituato a quel cielo di fuoco.

      Poi proseguì lentamente.--V'hanno ben altre doglie che serrano ben altrimenti il cuore e intisichiscono l'anima. Che avrai tu pensato di me dopo il mio linguaggio di jeri.

      --Pensai che la tua anima è malata; che tu hai d'uopo d'un buon medico.

      Raimondo mi porse un'altra volta la destra.


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