Raji, Libro Quattro. Charley Brindley
la mia espressione per la bambina.
Ero appena riuscito a riorganizzare il mio shock in un'espressione gentile quando sentii un leggero tocco alla porta.
"Grazie al cielo, è tornata a prenderti".
Aprii la porta e presi la ragazza per la spalla, spingendola delicatamente fuori in quelle che mi aspettavo fossero le braccia aperte di una vecchia donna pentita. Con mia sorpresa, non c'era nessuno, almeno non all'altezza degli occhi. Ma quando abbassai lo sguardo, apparve un'altra bambina! Una copia esatta della prima, compreso il materassino. Le due si guardarono per un momento, senza sorpresa, con un faccino sereno. Poi, all’unisono, si voltarono a guardarmi.
Mi affacciai sopra di loro, dando un'occhiata lungo il corridoio. Non vidi nessuno; né la vecchia, né un fattorino, né altri ospiti. Poi controllai entrambi i lati della porta, assicurandomi che un terzo o quarto bambino non stesse aspettando per lanciarmi quello sguardo così innocente dagli occhi blu. Le ragazze copiarono ogni mio movimento, guardandosi attorno, poi di nuovo verso di me, ma né loro né io vedemmo altri bambini.
Grazie a Dio!
Le ragazze si presero per mano e mi superarono nella stanza. Andarono al divano di rattan imbottito, si sedettero e si sistemarono, con i piedi nudi penzolanti nell'aria. Capii dai rigonfiamenti irregolari delle loro stuoie arrotolate che non servivano solo per dormire, ma portavano anche tutti i loro averi. Le due ragazze le sistemarono sulle proprie ginocchia e si accomodarono sul divano.
Chiusi la porta e mi sedetti sulla sedia di rattan di fronte alle ragazze. La sedia accanto a me era vuota, ma piena di una presenza spettrale. Era quasi come se Kayin fosse morta e mi avesse lasciato due piccole copie di sé.
"Cos'è successo?" Non volevo che la domanda si disperdesse nell'aria; avrei voluto rivolgerla alla sedia vuota.
Quando guardai le ragazze, non vidi segnali di comprensione alle mie parole.
"Cos'è successo a Kayin?"
Sapevo che le ragazze dovevano essere nervose, spaventate, o almeno incuriosite dal magro straniero davanti a loro. Con la mia carnagione cinerea, gli occhi infossati e la struttura sottile, non ero un granché da vedere. Ma anche alla loro giovane età, avevano già imparato l'abilità asiatica di non far trapelare alcuna emozione dalla loro faccia. Tuttavia, mi sembrò di vedere un impercettibile tic in un occhio della ragazza sulla destra.
Mi appoggiai alla sedia, guardandole. La mia mente vagava, a volte senza meta, ma sempre tornando all'incubo senza fine degli otto anni che avevo perso.
Non ricordo quando avevo notato per la prima volta i miei sintomi. Forse quando Rajisoffriva l'astinenza da morfina dopo averla operata. Avevo una leggera febbre, respiro corto, niente di cui preoccuparsi. Intorno a me c'erano uomini che soffrivano e morivano a causa di ferite orribili, e Raji aveva passato l'inferno. Perché avrei dovuto preoccuparmi di una leggera febbre?
"Ora facciamo visita al bagno".
Venni scosso dai miei ricordi di Little Miss Right Side, che mi parlava nel suo inglese britannico quasi perfetto.
"E quando usciremo", disse sua sorella, "potremmo avere un po' di fame, probabilmente".
Sbattei le palpebre. Lo fecero anche loro ma non si mossero dalla loro posizione sul divano, in attesa, presumo, del permesso di andare in bagno.
"Sì, certo". Indicai dall'altra parte della stanza una porta chiusa. "Lì c'è il gabinetto. Andate pure, se volete".
Scesero dal divano senza dire una parola e si diressero rapidamente verso il bagno. Notai che si erano portate dietro i materassini, tenendoli stretti.
Mentre le ragazze erano in bagno, tornai al punto in cui mi trovavo prima che bussassero alla mia porta, camminai ed esaminai le caratteristiche della stanza come una fotografia sgualcita e consumata di un lontano passato. C'era la familiare scrivania, un tavolino basso tra il divano e due sedie, un letto con comodini e lampade a destra e a sinistra, immagini di montagne, uccelli e diRe Rama IV alle pareti. Una zanzariera pendeva sopra il letto, ordinatamente legata all'indietro durante il giorno.
La finestra con le tende e le porte francesi si affacciava sulla strada sottostante. Il piccolo balcone era rimasto com'era anni prima, appena sufficiente per ospitare due amanti così presi l'uno dall'altro che quasi non notavano se il cielo fosse soleggiato o coperto.
Rimasi ai piedi del letto, guardandolo come se potesse prendere vita davanti ai miei occhi. Il copriletto era nuovo, ma la testiera e il disegno batik di qualche tempio locale erano gli stessi. Anche i comodini e le lampade erano gli stessi. La vecchia toppa sul paralume sinistro era ancora lì, ma ora discretamente rivolta verso il muro.
I momenti passavano, ma io ero fermo, non potevo muovermi. Traballavo su una corda tesa di emozioni, lottando per restare in equilibrio. Due bambine, belle e innocenti, ma senza la loro madre. Perché la vecchia le aveva portate a me e non a Kayin? Perché affidarle ad unestraneo invece che alla loro madre? L'unica cosa che mi venne in mente era che non poteva portargliele perché era malata, o scomparsa, o... no, non volevo più pensarci.
È stato sciocco da parte mia chiedere la stessa stanza, il piccolo spazio che io e lei avevamo condiviso per una piccola, intensa settimana. Perché questa volta non era occupata quando sono arrivato? Almeno così avrei potuto evitare tutto l'inutile tormento sentimentale.
Andai alla portafinestra e rimasi lì, con le braccia incrociate sul petto. Il piccolo balcone appariva proprio come otto anni prima. La nostra prima notte insieme, Kayin ed io avevamo portato le due sedie là fuori, ci eravamo stretti e ci eravamo seduti vicini. Avevamo parlato finché il cielo dell'est non si era schiarito da un blu profondo ad un tenue grigio tortora.
Un rumore arrivò dal bagno. Qualcosa cadde nel lavandino di porcellana. Sferragliava come un lungo oggetto di metallo, tintinnando avanti e indietro finché qualcuno non lo fermò. Poi qualche parola sommessa, seguita da un paio di risatine. Cosa stavano facendo?
Capii cosa doveva essere l'oggetto metallico: il vecchio bisturi del mio kit da barba. Ma cosa ci stavano facendo? Lo strumento era estremamente affilato. Mantenendo il manico, avrebbero potuto facilmente tagliare un dito fino all'osso. Cosa avrei dovuto fare? Le decisioni erano così difficili per me ora. E non ero mai stato un genitore prima. Cosa avrebbe fatto un padre? Ero il loro padre?
Feci un passo verso il bagno, ma mi fermai quando sentii scattare la maniglia della porta.
Capitolo Due
Con mio sollievo, le ragazze uscirono dal bagno senza alcuna ferita visibile.
"Andiamo di sotto", dissi, "e troviamo qualcosa da mangiare".
Annuirono ma non dissero nulla.
Mi chiesi se avessero capito qualcos’altro o se stessero solo aspettando che io mi muovessi per primo.
Andai verso il bagno. "Mi laverò prima di andare".
* * * * *
Scendendo con l'ascensore verso il piano terra, mi rivolsi ad una delle ragazze.
"Come ti chiami?"
"Marie".
Suppongo che non avrebbe dovuto essere uno shock per me, ma mi aspettavo un nome birmano. Mi ci volle un momento per rimettere in ordine i miei pensieri.
"È il nome di mia madre".
"Sì, Signore. Lo so. Scusi, quando verrà a trovarci nonna Marie?".
"Beh, quando le scriverò una lettera e le dirò di te e di tua sorella, penso che vorrà vedervi presto".
"Può, se le fa piacere, scrivere la lettera oggi?".
"Potrei farlo, ma forse dovrai aiutarmi".
Marie aggrottò le sopracciglia e guardò il pavimento, ma non rispose.
Mi rivolsi a sua sorella. "E mi chiedo se il tuo nome sia Suu-Kyi, dall'altra vostra nonna".
"Sì. Lei è morta, sai".
"Sì,