Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II. Amari Michele

Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - Amari Michele


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Vedrem anco novelli sforzi dei Bizantini: un patrizio e un presidio mandati a Taormina; grand'oste adunata a Reggio; armata venuta di Costantinopoli a Messina. I quali fatti mostrano ad evidenza che l'impero fe' disegno nelle guerre civili dei Musulmani e nel bisogno che avea di lui la colonia ribelle. Dopo la occupazione di Palermo, l'impero armò un poco; suscitò al riscatto le popolazioni cristiane dell'isola, alla guerra quelle di Calabria; trascinato egli stesso dai Musulmani rifuggiti a Taormina, a Costantinopoli e in Calabria, i quali speravano gran cose al certo e molte più ne diceano.

      Abd-Allah, sapesse o no coteste pratiche, dovea combattere la guerra sacra, per dare sfogo agli agitati animi dei Musulmani di Sicilia, per soddisfare a sè stesso, alla opinione pubblica, al padre. Non tardò dunque a uscir di Palermo; cavalcò il contado di Taormina; svelse le vigne; molestò il presidio con avvisaglie; e come l'inverno s'innoltrava, sperando ridurre più agevolmente Catania, città in pianura, la assediò; ma indarno. Perlochè, tornato in Palermo a svernare, apparecchiò più poderosi armamenti, e, abbonacciata la stagione, fe' salpare il navilio a' venticinque marzo del novecento uno. Egli con l'esercito andò a porre il campo a Demona; piantò i mangani contro le mura; le battè per diciassette giorni; ma risaputo d'un grande sforzo di genti che i Bizantini adunavano in Calabria, lasciò stare il presidio di Demona buono a difendersi e non ad offendere; e volò con l'esercito a Messina. Par che l'armata vi fosse ita innanzi, e che la città si fosse di queto sottomessa. Abd-Allah passava immantinenti lo stretto. Trovata l'oste sotto le mura di Reggio, un'accozzaglia dei presidii bizantini dell'Italia meridionale e di Calabresi che li abborrivano, i Musulmani la sbaragliaron col solo terrore, dice Giovanni Diacono. Mentre i fuggenti correano da ogni banda per la campagna, Abd-Allah irruppe senza ostacolo in città il dieci giugno. Le feroci genti sue cominciarono una strage indistinta: poi l'avarizia consigliò di far prigioni; che ne ragunarono diciassettemila, tra i quali fu tratto in carcere, come scrive Giovanni, il venerando vescovo dal crin bianco e dalla faccia colorita, spirante dolcezza. Immenso il cumulo della preda: oro, argento, suppellettili; rigorosamente custodito dai vincitori, continua il medesimo autore, e ben si riscontra con la legge musulmana che vieta di scompartire il bottino in territorio nemico. Vi si aggiunsero i tributi e presenti delle città vicine, le quali si affrettavano a mandare oratori chiedendo l'amân; poichè Abd-Allah avea dato voce di volere stanziare a Reggio. Ma improvvisamente ei ripassa lo stretto, sapendo arrivata da Costantinopoli a Messina un armata greca; e la coglie nel porto; le prende trenta legni; fa diroccar le mura della città, per gastigo o cautela. Intanto traghettavano continuamente da Reggio a Messina le navi da carico, zeppe di roba e schiavi. Abd-Allah condusse di nuovo l'armata su le costiere di Terraferma; combattè altri nemici, forse gente dei duchi Franchi di Spoleto e Camerino, condotti ai soldi dell'imperatore di Costantinopoli. In questa impresa il principe aghlabita occupò, il venti luglio, una città di cui non ben si legge il nome, forse Nardò;152 e si ridusse alfine con tutte le genti in Palermo, donde mandò nunzii al padre col racconto delle vittorie e il meglio del bottino. Fino alla primavera del novecentodue, quando andò a trovarlo ei medesimo in Affrica, Abd-Allah soggiornò nella capitale della Sicilia, reggendo i popoli con giustizia e bontà.153

      Corse fama in Italia che Ibrahim, intendendo dai messaggi del figliuolo la impresa di Reggio, prorompesse in rampogne: “Non esser suo sangue, no, tener dalla madre, questo svenevole che s'impietosiva dei Cristiani e tornava addietro, principiate appena le vittorie! Se ne venisse dunque a poltrire in Affrica, chè egli, Ibrahim-ibn-Ahmed, andrebbe a mostrare ai nemici di Dio e degli uomini il valor vero della schiatta d'Aghlab.” A queste parole d'ira s'aggiugneano romori contraddittorii: che Abd-Allah segretamente sopraccorresse a corte per falso avviso della morte del padre; che Ibrahim vistoselo accanto, in luogo di incrudelire, gli rinunziasse il regno e ponessegli al dito il proprio anello.154

      Così tra le fole si risapea la verità. Al dir d'una cronica araba, la verità era che richiamatisi i Musulmani di Tunis appo il califo abbassida Mo'tadhed-Billah delle enormezze che aveano a sopportare, e mostratogli che certe schiave che Ibrahim gli avea mandato in dono, fosser le mogli e figliuole loro, Mo'tadhed inorridito si risovveniva d'essere pontefice e imperatore. Facea dunque sentire in Affrica, la prima volta da un secolo, i voleri del successor del Profeta. Significavali per un messaggiero; al quale Ibrahim volle farsi incontro in attestato di riverenza, contenendo i superbi movimenti dell'animo, con sì duro sforzo, ch'ei ne fu colpito di malattia biliosa, e costretto a sostare alla sibkha, o vogliam dire stagno salmastro di Tunis. Abboccatosi quivi segretamente con l'ambasciatore, promesse di ubbidire al califo; il quale per bocca di costui, senza comando scritto, gli ingiugnea di risegnare il governo al figliuolo Abd-Allah e rappresentarsi in persona a Bagdad.155 Tanta modestia civile d'Ibrahim si comprenderà meglio, considerando ch'ei già sentiva crollare il trono aghlabita. Una sètta politica, delle tante che ne covavano sotto la teocrazia musulmana, s'era appresa alla forte tribù berbera di Kotâma; e scoppiava già in aperta ribellione, minacciando al paro il principato d'Affrica e il califato. In Affrica, Arabi e Berberi, ortodossi e scismatici, nobiltà menomata dai supplizii e plebe spolpata sotto pretesto di farle giustizia contro i nobili, a una voce tutti maledivan l'Empio, come il chiamarono per antonomasia.156 Minacciavalo di più, dall'Egitto, la dinastia dei Beni-Tolûn, potentissimi di ricchezze e d'ardire, imparentati col califo, usurpatori che per far più guadagno s'offrian sostegni alla legittimità. Sovrastandogli dunque novella guerra civile, complicatissima, spaventevole, senza speranze di uscirne vincitore, ei riformò il governo e abdicò, fingendo d'ubbidire al califo. Notevole è che un altro cronista, copiato o abbreviato nel Baiân, senza far parola del messaggio di Mo'tadhed, attribuisce a dirittura le riforme d'Ibrahim ai movimenti della tribù di Kotâma, e dice che allora ei volle farsi grato all'universale, e riguadagnare gli animi degli antichi partigiani di casa d'Aghlab.157

      Pose il nome d'anno della giustizia al dugentottantanove dell'egira (16 dicembre 901 a 4 dicembre 902) che incominciava tra quelle vicende; abolì le gabelle; disdisse le novazioni nel modo di riscuotere le decime;158 rimesse agli agricoltori un anno di tributo fondiario; liberò i prigioni di stato; manomesse i proprii schiavi; cavò dalli scrigni grosse somme di danaro e dielle ai giuristi e notabili di Kairewân per dispensarle ai bisognosi; ma ebberle, aggiugne un cronista, quei che men le meritavano e furono scialacquate.159 Con ciò premurosamente scriveva ad Abd-Allah di venire in Affrica; il quale, lasciato l'esercito in Palermo ai proprii figliuoli Abu-Modhar e Abu-Ma'd, andò in fretta con cinque galee sole.160 Arrivato ch'ei fu, Ibrahim, del mese di rebi' primo (13 febbraio a 14 marzo 902), gli risegnava il principato. Quanto a sè, non potendo rimanere in Affrica nè volendo ire a Bagdad, scrisse al califo ch'ei si metteva in pellegrinaggio per la Mecca. Poi pretestò che convenia passare per l'Egitto, e che ei nol potea senza azzuffarsi coi Beni-Tolûn; onde inviò a Bagdad un'altra lettera: che ad evitare spargimento di sangue musulmano, vedi s'egli era contrito, e a compiere insieme i due precetti del pellegrinaggio e della guerra sacra, piglierebbe la via di Sicilia.161 Forse agitava in mente il pazzo disegno di andare alla Mecca per a traverso i territorii di Cristianità, il Bosforo e l'Asia Minore, poich'egli non avea rinunziato al figliuolo la signoria di Sicilia, e pensò al certo al conquisto d'Italia, e in Italia parlò di quel di Costantinopoli.162 Che che ne fosse, Ibrahim, sceso dal trono, parea rifatto altr'uomo. Dissepolti i suoi tesori e armerie, indossò a mo' degli anacoreti un cilicio tutto rattoppato; andò a Susa a bandire la guerra sacra. Di lì il sedici di rebi' secondo (30 marzo) parte per Nûba, castello in su la marina tra Susa e Iklibia (Clypea); ove fa la mostra dei volontarii; li provvede d'armi e cavalli; dispensa venti dinâr a ogni cavaliero e dieci a ogni fante; e con loro fa vela per la Sicilia.163

      CAPITOLO IV

      Il tiranno penitente trovò perdono e anche séguito in Sicilia. Sbarcato a Trapani164 verso la fine di maggioСкачать книгу


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Si trova nel solo Ibn-el-Athîr, in un passo di cui abbiamo tre MSS. con tre lezioni diverse: Bartibûa, Iartînûa, e nel MS. ordinariamente più corretto, Bartanobûa. Facendo astrazione delle vocali non accentuate, il nome si riduce a sette lettere, alcune delle quali posson variare secondo i punti diacritici. Le lettere sono: 1ª b, i, n, t, th, e può anche rispondere alle nostre p e v; 2ª r, ovvero z; 3ª t; 4ª e 5ª stesse lettere che la prima; 6ª w, ovvero û; 7ª a, la quale potrebbe esser muta, onde la finale è anche incerta tra û e wa. Combinando le consonanti con varie vocali, la migliore lezione sembra Neritînû, che risponde al nome dato dai geografi antichi ai popoli di Neritum in terra d'Otranto. Neritum, oggi Nardò, città poco lontana dal mare, fu assai importante nel medio evo, fatta sede vescovile nel XV secolo. Ma la mia conghiettura è tanto più incerta, quanto sappiamo assai vagamente la regione di cui si tratti, come diremo nella nota seguente.

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Riscontrinsi: Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167 verso; e MS. di Bibars, fog. 123 recto, seg.; ed anno 261, MS. A, tomo II, fog. 92; MS. C, tomo IV, fog. 246 verso; e MS. di Bibars, fog. …; Johannes Diaconus, Translatio corporis Sancti Severini, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 60; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 269, seg.; Baiân, tomo I, p. 123, anno 288; Chronicon Cantabrigiense, presso Di Gregorio, Rerum Arabicarum, p. 44; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 137, 138; e il cenno che ne fa Nowairi, con errore di data, nella Storia d'Affrica, in appendice alla Histoire des Berbères, par Ibn-Khaldoun, versione di M. De Slane, tomo I, p. 431; Chronicon Vulturnense presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 415.

Più che ad ogni altro si badi a Ibn-el-Athîr, e Giovanni Diacono. Nei MSS. A e di Bibars si legge che le navi musulmane tornavan da Reggio a Messina cariche di roba e dakík, che vuol dir farina, ma credo vada corretto rakîk, schiavi. La battaglia di Reggio è riferita da Ibn-el-Athîr al mese di regeb (21 giugno a 20 luglio 901), e dalla Cronica di Cambridge precisamente al 10 giugno; e questa data io ho seguito, ma forse è erronea, e si dee correggere 10 luglio, mutando una sola lettera nel testo arabico, e leggendovi iuliu in vece di iuniu. Il Baiân in luogo di Ríwa (Reggio) ha z la, che si potrebbe supporre Scilla, ma è alterazione del primo di questi nomi. Ibn-Khaldûn, per errore, credo io, di memoria, frettolosamente compendiando questi annali, scrisse che Abd-Allah, andato da Taormina a Catania, e trovandola ostinata alla difesa, se ne tornò per ripugnanza a spargere sangue musulmano. Ciò non si legge in ibn-el-Athîr; nè è probabile che Catania a questo tempo fosse già divenuta colonia musulmana. Anzi, la espugnazione del vicino castello di Aci nel 902, ch'era tenuto dai Cristiani, li fa supporre signori anco di Catania.

Adesso debbo allegar le testimonianze di quell'ultima impresa di Abd-Allah, dopo la distruzione delle mura di Messina. Ibn-el-Athîr, abbozzando sotto l'anno 261 una biografia di Ibrahim-ibn-Ahmed, dice che proponendosi costui il pellegrinaggio e la guerra sacra, andò a Susa l'anno 289 (902) “e indi passò col navilio in Sicilia, e pose il campo a Demona, Assediatala per diciassette giorni, andò a Messina, e passò a Reggio, ove s'era adunata gran gente dei Rûm. Ei li combatteva alle porte della città; li sbaragliava; e prendea Reggio, con la spada alla mano, del mese di regeb. Saccheggiatola, fece ritorno a Messina, di cui abbattè le mura; e, trovando in porto le navi arrivate da Costantinopoli, ne prese trenta. Andò poi a Neritînû (Bartîbû etc.), e se ne insignorì alla fine di regeb. Ei diè esempi di giustizia e di buona condotta verso i sudditi. Andò poi a Taormina etc.,” seguendo a narrare la espugnazione di questa città nel 902. Or lo squarcio che ho messo in carattere corsivo è compendio esatto, e in molti luoghi trascrizione, di quello che contiene le imprese di Abd-Allah del 901, il quale si trova sotto l'anno 287; se non che in quest'ultimo manca la impresa di Neritînû. E evidente dunque che Ibn-el-Athîr, o il copista, replicò nella guerra d'Ibrahim parecchi fatti di quella di Abd-Allah dell'anno precedente. È evidente, dico, per lo assedio di Demona, vittoria di Reggio, presura delle navi greche a Messina, e distruzione delle mura di questa città. Mi pare probabile per la occupazione di Neritînû.

E ciò perchè Ibn-Khaldûn, il quale compendiava gli annali di Ibn-el-Athîr, e un'altra cronica più antica, dopo tutte le imprese di Abd-Allah come noi le abbiamo narrato, fino alla distruzione delle mura di Messina, continua: “Indi tragittò nella vicina parte d'Italia (così va resa la denominazione di a'dwet-er-Rûm); combattè con popoli Franchi d'oltre il mare; e tornò in Sicilia.” La città dunque il cui nome leggiam sì male in Ibn-el-Athîr, par che giacesse nella regione vagamente chiamata a'dwet-er-Rûm, che non si può intendere del solo stretto di Messina, ma di tutta la costiera che guarda la Sicilia, se si ricordi il valor della denominazione analoga di Berr-el-A'dwa in Affrica. I Franchi combattuti da Abd-Allah non poteano esser che le genti dei duchi di Spoleto e Camerino condotti ai soldi di Leone il Sapiente. Ritraggiamo infatti ch'egli nel 904 abbia mandato danaro ai Franchi per rinforzare l'esercito destinato contro la Sicilia. Veggasi il cap. IV del presente Libro, p. 87, 89.

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Johannes Diaconus Neapolitanus, l. c.

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Nowairi, Storia d'Affrica, MS. di Parigi 702 A, fog. 53 verso; e traduzione di M. De Slane, in appendice a Ibn-Khaldûn, Histoire des Berbères, tomo I, p. 431; Ibn-Khaldûn, Histoire de l'Afrique et de la Sicile, versione di M. Des Vergers, p. 138 e 139. Avvertasi che M. De Slane ha saltato il luogo del Nowairi, ove si dice della malattia che colpiva Ibrahim in questo momento. Quanto alla tradizione, sembra che il Nowairi l'abbia tolto da Ibn-Rekîk; al par di Ibn-Khaldûn, il quale lo attesta espressamente. Egli è vero che Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 35 recto, riferisce aver letto nella Storia d'Ibn-Rekîk, che Mo'tadhed minacciò di deporre Ibrahim e surrogargli, non il figliuolo, ma il cugino Mohammed; ma questo si dee tenere come fatto diverso, seguito appunto nell'896, prima della uccisione del detto Mohammed, della quale abbiam fatto parola nel Capitolo precedente, p. 58. Debbo avvertire che secondo una variante proposta dal prof. Fleischer nel testo di Nowairi, invece di “malattia biliosa” si dovrebbe tradurre “gli si fece incontro con vestimenta negre.” Biblioteca Arabo-Sicula, testo, p. 451, e Introduzione, p. 63. Ma non n'è certo quel dotto orientalista; nè io.

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El-Fâsik. Questo soprannome si legge in Ibn-Abbâr, op. cit., fog. 32 verso.

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Baiân, tomo I, p. 125 e 126.

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Veggasi nel Capitolo II del presente libro la nota 2 a p. 55.

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Riscontrinsi: il Baiân, l. c.; e Nowairi, Storia d'Affrica, nell'op. cit., p. 432.

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Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II, fog. 167 verso; e MS. di Bibars, fog. 123 recto, seg.

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Riscontrinsi: Nowairi, l. c.; Ibn-el-Athîr, anno 261, MS. A, tomo II, fog. 92 recto; e MS. C, tomo IV, fog. 246 verso; Baiân, tomo I, p. 126.

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Johannes Diaconus, Translatio corporis S. Severini, presso Gaetani, Vitæ Sanctorum Siculorum, tomo II, p. 62; e presso Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, tomo I, parte IIª, p. 209, seg.

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Ibn-el-Athîr e Nowairi, ll. cc. Nella versione di M. De Slane la data della partenza per Nuba è posta per errore di stampa in vece del 16 il 22 di rebi' secondo, che tornerebbe al 5 aprile.

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Trapani certamente, come scrive Ibn-Khaldûn, ancorchè nel testo di Nowairi si legga Tripoli. Nelle opere arabiche quei due nomi son confusi spesso. Ma qui il testo di Nowairi non lascia luogo a dubbio, portando che Ibrahim da Nûba navigò a quella città, e che indi cavalcò per a Palermo.