Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!. Beltramelli Antonio

Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella! - Beltramelli Antonio


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giorno Giacometta si era vestita come il fiore del lino e aveva negli occhi celesti l'intiera luce di un mare. La sua biondezza passava fra sole e ombra sempre illuminata. Io sentivo tutto il mondo vivere e trasfigurarsi in quella leggera grazia e me ne stavo col più immobile e pallido volto che abbia avuto mai un povero innamorato giovinetto. Ad un tratto si fermò proprio sotto la mia finestra che non era alta più di cinque metri da terra e guardò in su, e sorrise. Io sbiancai ed impietrii come se fosse per toccarmi l'avventura più terribile della mia vita.

      E Giacometta mi parlò.

      – Buongiorno signor… buongiorno signor Coso!..

      La guardai come l'ebete guarda la luna e le risposi un buongiorno in fa minore con una vera voce da lucertola.

      Ella sorrideva ancora.

      – Perchè non discende in giardino?

      Ma poteva darsi tanto?..

      Risposi con la stessa accorata malinconia, puntandomi un dito sul petto:

      – Io?..

      – Sì… lei!..

      O cuore della rondine nel cielo!

      – Ma… signorina Giacometta… io non conosco nessuno!..

      – E che importa?

      – E da dove dovrei passare?

      – Scenda di lì!..

      Misurai la distanza.

      – Ha forse paura?..

      Mi sentii d'improvviso il cuore di Salsiccia; presi lo slancio e caddi con discreta leggerezza, dentro un rosaio.

      Uscii come un povero Cristo, tutto sgraffiato nelle mani e nella faccia: Giacometta si affrettò a chiedermi:

      – Si è fatto male?.. Venga qua, che le tolga le spine.

      Le porsi le mani, e, sulla cima di ogni dito, c'era il mio rosso cuore che ballava la furlana. Mi sentivo arder la faccia ch'era color della brage.

      – Dio… quante ce ne sono!.. – disse lei. Ed io dissi:

      – Infatti sono molte…

      – Le faccio male?

      – Non mi pare!

      – Povero signor Coso!

      Perchè poi, Coso, se mi chiamavo Francesco?

      Sentivo le sue mani tepide, fini, delicate sfiorare le mie; vedevo il suo viso di mandorla, la sua testa bionda china sulle mie mani e abbrividivo come una minugia.

      Ad un tratto mi prese una vampata al capo che mi fece veder tutto rosso e mi fece dire senza che neppure me ne accorgessi:

      – Signorina Giacometta… io l'amo!..

      Ella mi guardò dal sotto in su, sorridendo e rispose calma calma:

      – E non sa dirmelo un pochino meglio?..

      Riprese, dopo un silenzio:

      – Tanto l'avevo capito. Lasci stare. Da quando ha preso il suo domicilio sul davanzale della finestra mi sono accorta ch'ella non stava là per studiare botanica…

      Poi abbandonò le mie mani, rialzò il capo, scosse i capelli dalla fronte e disse:

      – Ecco fatto. Ora sta meglio. Avevo un po' di rimorso per averle fatto fare quel salto; ma gli uomini mi piacciono alla prova. S'ella avesse preferito entrar dalla porta di strada come tutti i mamalucchi che vengono a domandar la mia mano, le avrei riso sul muso. Così la cosa è diversa. Venga venga; ora le mostrerò ciò che amo.

      E mi trascinò via di gran corsa, per i viali del suo giardino incantato.

      In tal modo, nonostante la mia timidezza, entrai di un salto nella vita di Giacometta.

      III

      – Perchè facesti tu questo?.. – Oh, per la primavera lo feci, cuor mio!..

      Io avevo fatto il salto ch'eran forse le cinque di un pomeriggio di marzo; ora ci accorgevamo che il sole era già dietro ai colli.

      – Giacometta, dove sono i vostri zii?

      – Forse riporranno i richiami nella capanna del roccolo; ma perchè vi interessa?

      – Se li incontreremo che cosa direte?

      – Già! È meglio farlo subito. Venite con me, Franzi.

      Fino a quel punto erano accadute molte cose inattese per me e raggianti, che mi avevano di un subito dischiusa l'ignota lontananza nella quale mi sperdevo per amore e malinconia, di sera in sera. E se pure non decadeva la delicata soavità della quale il mio sogno aveva rivestito Giacometta, tutta la tristezza di cui io, povero giovane, mi pascevo come de' miei legumi, era trascorsa di fronte a un gesto di lei, a una sua sola parola. Senonchè un'Iside più o meno velata è in ogni cuore di donna e le moderne fanciulle sono quasi sempre simili alle scatole a sorpresa.

      Giacometta non era giunta tuttavia a conoscere e a far uso della cocaina, ma aveva avuto un passato singolare. Era in punto, in fatto di sottile sapere; ed io mi trovavo, di fronte a lei, fuori di strada. È ben vero che avvertii fino dai primi istanti tale contrasto, ma mi piacque. Io, ribelle ad ogni secolare e irragionevole costrizione; dispregiatore dei dogmi intessuti ad uso della media imbecillità riposante, giudicavo gli atteggiamenti di Giacometta come un portato della sua chiaroveggenza, una dimostrazione del suo senso di libertà, e di compiutezza. Nè pareva a me che dal segno raggiunto così, di scatto, senza intermedie stazioni, ella potesse tramutare, a me, giovane di semplice candore e schiettezza. Ma Giacometta, benchè piovuta nella grugnita città dai tre campanili, e, in apparenza, limpida come i suoi grandi occhi celesti, aveva un orizzonte che sconfinava ben oltre i tre famosi campanili e la mentalità dei medesimi. Questo dovevo io vedere, sopportare e sperimentare.

      Quel giorno, pertanto, ella fu di una divina mobilità sì da lasciarmi talvolta disorientato e sbalordito. Debbo dichiarare che non la capivo sempre. Non è facile capire una vorticosa giovinetta che ride e si acciglia, vi ama e vitupera nel termine di pochi secondi. Giacometta era tutta a congegni elettrici, sempre però nella grazia della sua squisita femminilità.

      Cominciò con l'interessarsi alla mia vita e rise della mia furibonda zia; poi mi domandò se conoscevo le Villes d'eaux e se ero stato a Biarritz. Oh, coerenza! Le confessai che ero stato una sola volta a Rimini e in bicicletta.

      La cosa non la turbò. Volle sapere poi se giuocavo al tennis, se sapevo condurre un'automobile, se ballavo bene, se pattinavo, se amavo gli sports invernali, se giuocavo al poker tanto che, sfinito ed umiliato per dover dire sempre no, finii per rispondere sempre sì con imperturbata serenità.

      Ahi, Giacometta, e non vedevi tu il mio vestituccio e la cravattina d'incerto colore? E non ricordavi da quale superbo balcone avevo fatto il magico salto?

      Finì per domandarmi se conoscevo l'Africa centrale, alla quale domanda risposi affermativamente.

      – E dove siete stato?

      – All'Uganda.

      – Ma quando?

      – È un pezzo… un diciott'anni fa!..

      Ella tacque. Mi accorsi troppo tardi del grosso sproposito. Fatto il calcolo dell'età mia, si avvide che dovevo essere partito verso gli undici mesi per il centro dell'Africa misteriosa. Soggiunse con garbo:

      – Franzi, voi dovete dire qualche bugia.

      Risposi:

      – No, Giacometta! Cerco di abbellire la mia povera e nuda vita.

      Rise. Poi mi si strinse al braccio dicendo:

      – Sapete, Franzi, che mi garbate!

      Volevo risponderle: – Tu sapessi poi, quanto garbi a me!.. – Ma mi trattenni. Certo si è che, in quel momento, avrei potuto toccare il cielo col simbolico dito.

      Così girando di viale in viale, sostando di ombra in ombra non ci accorgevamo che il giorno se ne andava e stava sopravvenendo l'aer bruno.


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