Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella!. Beltramelli Antonio

Ahi, Giacometta, la tua ghirlandella! - Beltramelli Antonio


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a Giacometta:

      – E tu che ne pensi?

      – Io sono contenta!

      – Ma sai chi è questo signore?

      – È un giovine povero; ma è un grande poeta! – rispose imperturbata la mia Sibilla.

      Allora i due anziani si guardarono nel fondo degli occhi e l'uno fece all'altro, ad un dipresso, il ragionamento che segue:

      – Già!.. Che ne pensate, Antonio?.. Dopo tutto noi non ci entriamo e non dobbiamo entrarci. Ma, – dice – il mondo non fa così… È vero, è vero, è vero!.. Lo sappiamo… lo sappiamo!.. Ma noi facciamo così, noi Tomaso Maldi e Antonio Maldi!.. Dice: – Un poeta!.. A chi la danno quella povera figliuola, a chi la danno!.. – Adagio, rispondiamo noi. In primo luogo noi non diamo Giacometta a nessuno, non vi pare, Antonio?.. È lei che si dà! Poi un poeta è un uomo rispettabile come un altro. Che ne pensate, Antonio?.. Siamo stati poeti anche noi, ai nostri bei tempi! Se Giacometta ama questo signore e se questo signore ama Giacometta, la nostra coscienza è tranquilla. Noi non dobbiamo guardare un millimetro più in là. Noi non dobbiamo investirci della parte di una giovinetta. Così quando Giacometta ci presenta il suo uomo, a noi non resta che mettere la firma sotto la sua decisione. Che ne dite, Antonio?.. E noi mettiamo la firma!

      – Sicuro!.. E noi mettiamo la firma – soggiunse il piccolo zio. – Dopo tutto si tratta di logica.

      – È quello che ho sempre detto io – fece lo zio Pertica. Poi, senza più occuparsi di noi, alzò fino agli occhi la gabbia che teneva sospesa al dito anulare della mano destra, guardò amorosamente il suo merlo o tordo che fosse, e disse al fratello:

      – Antonio, questo sarà un richiamo monumentale. Ha la voce di Caruso.

      E si avviarono, rifacendo il verso agli uccelli, verso le ombre e le tese insidie del loro uccellatoio.

      V

      Anche se sei sulla soglia non ti credere entrato!

      Non appena soli mi ricordo che giunsi le mani ed esclamai, rivolto alla mia fidanzata improvvisa:

      – Che cosa avete fatto, Giacometta?

      – Mi pare che ora possiate trattarmi con maggior confidenza – rispose dolcemente il mio vivo enigma.

      – Ma come si aggiusteranno le cose?

      – Perchè?

      – Come perchè? Io, Francesco Balduino, fidanzato di Giacometta Maldi?..

      – In primo luogo – rispose Giacometta – non vedo la necessità che voi andiate a raccontar fuori ciò che oggi vi è accaduto; ed anzi vi prego, e vivamente vi prego, di non farne parola. Ciò che passa fra voi e me non riguarda che noi due, mi sembra, ed io comincerei ad odiarvi il giorno in cui vi sapessi vanitoso e pettegolo. Poi, caro Franzi, non correte troppo! Fidanzato non vuol dir niente e voi avete troppo ingegno per non capir questo. Io, se così vi piace, mi sono fidanzata a voi, oggi, solo per aver più agio a conoscervi; ma non vi illudete, Franzi! Può darsi benissimo, fra le altre cose, che posdomani non mi garbiate più ed io stessa vi preghi di allontanarvi!

      – Ciò che mi dite è molto chiaro, ma non è confortante!

      – Come più vi piace, caro Franzi; ma non si può fare diversamente. Ora sta a voi a conquistarvi tutto il cuore di Giacometta!

      Eravamo presso l'atrio della casa bianca dalle grandi invetriate e moriva l'ultimo crepuscolo. Il cielo si approfondiva nell'ambra; si allontanava per aprir le sconfinate strade degli astri. E già c'era una stella sopra le vecchie roveri del roccolo, la stella nata dal cuore del sole, la tuttachiara, quella che ha il sorriso della giovane malinconia. Nè il marzo era freddo quell'anno, anzi si ammorbidiva in un tepore di precoce primavera. Ogni aroma, nella delicata grazia della sera che moriva, poi che l'aria si faceva immota come la pupilla che si affissa e attende, si diffondeva più intenso e insistente, tanto da associarsi alle sensazioni più vive e da compenetrarle con la sua dolcezza. E i sensi miei, desti ed alerti, avvertivano questo, e più avvertivano, con un nuovo spasimo, il profumo quasi violento che si sprigionava dalle vesti e dalle carni di Giacometta; un profumo di cui non sapevo il nome, del quale non avevo anteriore ricordo; ma che mi dava un'ebbrezza improvvisa, una perduta volontà di carezze e di abbandono. Ne ero come ubbriaco. Mi pareva che, sotto quell'eccitante invito, avrei potuto dire o fare le più belle e le più grandi cose; ma, come sempre sciaguratamente mi accadeva, all'interiore possibilità non rispondeva l'animo e la parola, tanto che dissi con pedestre malinconia:

      – Come sapete di buono, Giacometta!

      Ella non rispose e non mi guardò. Stava appoggiata, le spalle e la nuca, allo stipite di una grande porta e aveva gli occhi all'aria, e tutto il suo piccolo volto soave, veduto così di scorcio, pareva cento volte più bello. Notai come il naso le si affilasse ancor più, come accade nello spasimo del piacere; e le pinne sottili si inarcavano un poco nel respiro breve ed intermesso.

      Si lasciò prendere una mano e non disse niente; ma stava come se fosse morta. Io sentivo, fra le mie mani che ardevano, la sua piccola mano abbandonata e la guardavo, inebetito dalla troppo grande emozione.

      – Giacometta… – mormorai. – Tu sapessi… tu sapessi…

      Ella, senza muoversi, ebbe un sorriso vago e sperduto; sorrise con l'aria, con le stelle e con il suo indecifrabile enigma. Ed io mi domandavo: – «Che farò?.. E se ardisco, che farà?.. Sarà la fine di tutto o lascierà fare guardando da un altra parte?.. Perchè non mi risponde?.. Perchè non vuole accorgersi che io, povero giovane, non sono di cemento armato?.. Perchè non mi incoraggia?..

      Finalmente le baciai una mano, poi il polso, poi le accarezzai il braccio ignudo sotto la veste leggera; poi, come la vidi arrossire e abbrividire, la strinsi alla cintola… ed ella sorrideva, sorrideva sempre, le iridi più grandi e fonde, la bocca più rossa e dischiusa, la gola più bianca e scoperta, una gola tanto tersa e amorosa e viva da dar le rosse vertigini al più bianco fra i candidi e morali idealisti.

      E, come avviene agli imbecilli par miei, io uomo timido e d'improvviso predace, non ebbi il garbo di saper cogliere quel dolce frutto senza turbare la palese e volontaria assenza della mia fidanzata; anzi, sorpreso da una grandissima sete, da un annebbiamento improvviso, da un fuoco che mi fucinava il sangue in un tumulto indiavolato, mi gettai su quel candore: avido, cieco, sitibondo, disfatto. E appena ebbi tempo di assaporarne la freschezza che Giacometta, scostatasi violentemente, mi disse in tono acerbo, come una nemica:

      – Siete sciocco e volgare!.. Andate via!..

      Poi, nello stesso tempo, quasi tutto ciò non fosse bastato, udii giungere dal fondo del giardino il domestico stridere della mia zia formidabile, la quale urlava su tutti i toni…

      – Checco?.. Checco?.. Checco… Checcoooo?..

      E allora fuggii vergognoso, disperato, in compiuta rovina pensando seriamente a un placido suicidio.

      VI

      Iddio ti dette i parenti perchè tu imparassi a guardartene.

      Si parla della formazione dei mondi nella spaventosa immensità del niente e ci si perde dietro gli spettri delle nebulose, quando lo stesso mistero è sotto agli occhi nostri, tanto è vero che tutto si riproduce uguale, nella spaventosa immensità del niente.

      Quale differenza, vi prego amici miei, quale differenza vi poteva essere, ditemelo, fra Giacometta e la nebulosa della costellazione dei Cani da caccia o la nebulosa planetaria della Lira? Nessuna! Io ero un innamorato al telescopio, il quale vede passare, nella tenebra dell'immenso, una forma che non potrà mai comprendere nè raggiungere. Ero il povero astronomo di Giacometta, ma senza il prezioso sussidio di spettroscopi o di calcoli sublimi. Perchè in amore, ahimè, non è stato ancora inventato uno spettroscopio e l'anima di una nebulosa fanciulla non può decomporsi come la luce di una qualsiasi ragionevole stella. Così navigavo nell'inconoscibile e non potevo servirmi che della più infida fra tutte le bussole del mondo e cioè del mio amore.

      Quella sera pertanto, dopo il tumultuoso pomeriggio, pieno


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