Tre racconti. Bersezio Vittorio

Tre racconti - Bersezio Vittorio


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una morbosa soddisfazione. Pareva rinata fra Lucietta e lui la famigliarità d'un tempo, quando Atanasio, lassù alla bianca casetta, andava ad attinger acqua per lei, col secchiello ch'ella faceva le mostre di contrastargli.

      Le rimostranze e i consigli di Lucietta parevano aver ottenuto un felice successo. Atanasio tornava ad essere più pulito, meno misantropo, non allegro, ma meno scontroso, non mite, ma meno permaloso ed irascibile: lavorava con più ardore ancora, teneva condotta più regolata. Solamente, il vizio onde non si era guarito era quello del bere. Però se ne nascondeva accuratamente. Non si frammischiava più alla frotta dei beoni; penetrava di soppiatto nell'osteria a notte inoltrata, quando ogni altro n'era già partito, si faceva recare in una stanza un numero di bottiglie, e là, rinserratosi col suo Azor, beveva, beveva, finchè ne smarriva completamente la ragione; allora parlava, e diceva a sè stesso, al cane, alle pareti, alle bottiglie, le mille cose, che non avevano senso, che parevano il delirio d'un pazzo, cose tali che se egli avesse mai sospettato che un altr'uomo le avesse udite, lo avrebbe strozzato colle sue mani. Al mattino si riscuoteva dal pesante letargo, in cui aveva finito per cadere; si versava in capo tutta una brocca d'acqua gelata, pagava l'oste e correva all'officina dove lavorava più indefesso che mai. Ci volevano i muscoli di ferro e i nervi d'acciaio che gli aveva dato madre natura per resistere ad una tal vita.

      E ad Azor Atanasio voleva sempre più bene. Spesse volte quando era solo nella sua camera, lungi da ogni occhio ed orecchio umano, egli se lo prendeva fra le braccia, quel brutto aborto di cagnuolo, e lo stringeva, e lo accarezzava, e lo baciava!.. dicendogli coll'accento, con cui altri parlerebbe ad un amante:

      – Caro il mio Azor, voglimi bene almeno tu. Io, a te, ti voglio tanto bene!.. È lei che ti ha dato a me; e lei… sappilo, ricordatene, ma non dirlo a nessuno veh!.. lei, io l'amo sempre, e sempre più… e furiosamente! —

      VII

      Gli affari della fonderia, intanto, sotto l'abile direzione del signor Pietro, prosperavano sempre meglio.

      Il giovane principale, che tutto curava, tutto voleva vedere egli stesso, a tutto sopraintendeva e provvedeva, era perciò obbligato a fare frequenti gite lungi del villaggio, per acquisto di carbon fossile, di minerali, di macchine, per trattare a viva voce di ordinazioni, per intraprendere forniture ed appalti: e queste assenze, più o meno lunghe, dimolto rincrescevano e recavano malinconia a Lucietta la quale il suo sposo amava sempre più, come, in realtà, il bravo Pietro meritava che fosse.

      Nei tristi giorni della lontananza del marito, la giovane soleva cercare conforto nelle occupazioni della maternità, intorno a quel gioiello di bimbo, ch'ella amava con vero trasporto, e nella compagnia d'Atanasio, il quale, come compagno d'infanzia di Pietro, le pareva ricordarle più efficacemente il caro lontano. E questi stesso, prima di partire, soleva dire sorridendo ad Atanasio:

      – Ti raccomando mia moglie veh! Falle buona compagnia. —

      L'operaio obbediva zelantemente; in quei giorni tutte le ore che aveva libere, le passava con Lucietta: e sapeva così bene condurre il discorso, che parlavano il più spesso dei tempi passati, prima del matrimonio di lei, delle ore che trascorrevano così leste e così liete nelle belle sere estive sull'aia della casetta di papà Taddeo; e Lucietta, che vedeva il volto sempre cupo ed arcigno dell'operaio rasserenarsi, e capiva quanto bene gli facessero siffatte chiacchierate, gentilmente e con amorevole bontà vi si prestava.

      La infelice non sapeva, colla sua generosa e caritatevole debolezza, quale ardore ponesse nel sangue di quell'uomo, quali folli idee nella mente, quali audaci e impossibili sogni nella fantasia! Quando Pietro ritornava, Atanasio allontanavasi di nuovo, si rifaceva più solitario e più taciturno; ma fra sè e sè continuava a pensare agli avuti colloqui, interpretava a suo modo, o per dir meglio a gusto della sua passione, parole ed atti di Lucietta, si guastava lo spirito e la ragione col martellare continuo d'un'idea fissa. La sua diventava così, per davvero, un'infermità del cervello, una monomania.

      Allora appunto, quando era al suo apogeo questa morale esaltazione del disgraziato, Pietro ebbe a partirsi di là per quattro o cinque giorni, affine di procacciarsi certo nuovo combustibile di cui voleva fare esperimento in una nuova maniera di forni. Ferveva più che mai il lavoro; per la fine della settimana dovevasi dare compìta una certa fusione importantissima e di grandi proporzioni, per cui da tanto tempo s'era in moto ad aggiustare le forme, preparare il materiale, acconciare gli alti forni. Prima di partire, il principale ebbe a sè Atanasio, e gli disse:

      “Mi tocca abbandonare la fonderia proprio in un momento de' più importanti e in cui si richiederebbe imperiosamente la mia presenza; ma urge pure all'estremo andare per quel tal affare nel quale non posso farmi sostituire da nessuno. Invece qui alla fonderia lascio te, che sai, e sei capace, e di cui mi fido interamente; adunque su te, mio caro Atanasio, tutto il carico fino a sabato. Io arriverò immancabilmente venerdì sera; voglio trovar tutto pronto, perchè sabato mattina di buon'ora si possa cominciare il gitto; bada bene di preparare ogni cosa, e non voglio sentir poi pretesti nè scuse. Hai capito?”

      “Sì signore.”

      “Dunque ci conto sopra. Ricordati bene! A venerdì sera.”

      Il signor Frangia partì. Atanasio non ebbe in realtà altro pensiero fuori questo: – Lucietta è sola! – La giovane donna, per maggior fatalità, mai non era stata così benigna ed amorevole all'operaio, nel quale non vedeva che il compagno d'infanzia, l'amico devoto, la persona di maggior fiducia di suo marito.

      L'esaltazione di Atanasio era al colmo. Pensava rapire Lucietta e fuggire; gettarsele ai piedi, confessare il suo amore, domandarle il contraccambio e poi uccidersi; passare un giorno, un'ora di felicità con lei, e poi morire tutti e due. Contava i giorni. Ancora settant'ore, e poi il marito sarebbe ritornato; – e quella volta, prima che egli venisse, doveva compiersi qualche gran fatto; – lo aveva giurato a sè stesso, se lo veniva ripetendo le mille volte lungo la giornata; si diceva per incitarsi, per irritarsi vieppiù, che egli sarebbe stato un vile se al ritorno di Pietro le cose fossero rimaste come prima, ed egli avesse continuato a sopportare in silenzio lo spasimo della sua passione.

      E mentre siffatta battaglia gli ruggiva nell'animo, egli rimaneva calmo, taciturno, e freddamente tutto disponeva come se fosse il più tranquillo uomo del mondo, perchè puntualmente fossero obbediti gli ordini del principale.

      Non c'erano più che due giorni all'arrivo di quest'ultimo.

      – Domani, – disse a sè stesso Atanasio, la sera, partendosi da Lucietta e corrispondendo con uno strano sguardo al gentile saluto ch'ella gli fece, mentre la si ritirava nelle sue stanze col suo bambinello in braccio: – domani tutto sarà finito. —

      Girò per la campagna fino ad ora tarda con Azor dietro. Dopo mezzanotte arrivò all'osteria e si diede a picchiare furiosamente. Apertogli, entrò con passo concitato e comandò, secondo il solito, gli si recasse nell'usata stanzetta una mezza dozzina di bottiglie, tabacco, lume, e lo si lasciasse solo. Si chiuse dentro egli col suo cane. Nella sua testa, quella notte dovette avvenire una tempesta più terribile di quella che ci racconta Vittor Hugo aver tormentato il cervello di Jean Valjean nel più bello dei capitoli dei Miserabili. Al mattino uscì come le altre volte, ma si portò seco una bottiglia intiera di cognac.

      Lavorò tutto il giorno, come se nulla fosse; Pietro doveva arrivare alla sera ed avrebbe trovato tutto disposto secondo i suoi ordini. Il metallo era in fusione nei forni e cominciava a gittar zampilli di fuoco da qualche commessura, come se impaziente di prorompere e precipitarsi nelle bocche appostate entro le escavazioni inferiori. Un calore d'inferno emanava da quel focolare incandescente, in cui il ferro era liquido come l'acqua. Atanasio esaminò tutto per bene, diede le ultime disposizioni; poi, venuto il momento di cessare i lavori, dato un fischio ad Azor che si teneva prudentemente lontano da quell'inferno, si diresse a passi lenti verso casa sua. Erano le sei; il treno di ferrovia per cui doveva giungere il padrone non arrivava che alle dieci, tutti gli operai erano chiamati per quell'ora, affine di riceverne gli ordini. Atanasio aveva quattro ore innanzi a sè.

      Si recò a casa sua, e si vestì cogli abiti da festa. Canterellava fra sè co' denti stretti; ma doveva avere sulle sembianze la traccia dell'interno turbamento, perchè Azor sedutosi in un angolo della stanza lo guardava fiso in modo inquieto, con que'


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