Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I. Elia Augusto

Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I - Elia Augusto


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dal duro giogo d'un barbaro.

      Palermo, 30 giugno 1848.

      Il Maresciallo di Campo, Ministro della Guerra

Giuseppe Paternò

      CAPITOLO III

      Garibaldi s'imbarca coi suoi legionari per l'Italia

      Si era alla fine del 1847 e ogni bastimento che approdava alla Plata, portava dal vecchio continente l'annunzio di avvenimenti importanti.

      Un nuovo Pontefice benediva l'Italia, perdonava ai ribelli, accoglieva i proscritti, e poneva sotto la tutela della Croce la causa dei popoli. Queste notizie entusiasmavano i legionari e la partenza per l'Italia era nella mente di Garibaldi ormai risoluta. L'annunzio della sollevazione di Palermo e di Messina venne a precipitarla; la lotta era già incominciata; in Italia si combatteva e si moriva per la libertà; il posto suo e della legione era indicato.

      Una pubblica sottoscrizione venne aperta fra gli italiani in favore della spedizione comandata da Garibaldi. Un brigantino era stato noleggiato e si stava apprestando per la partenza. Invano il Governo di Montevideo, conscio della perdita che stava per fare, tentava trattenere con preghiere, con lusinghe Garibaldi ormai impaziente; invano gli stranieri stessi che vedevano nel generale una delle più sicure garanzie dello Stato e dei loro interessi, si associavano al Governo nel sforzarlo a ritardarne quanto più poteva la partenza; ma Garibaldi non si sentiva più padrone della sua volontà, e le insistenze e gli indugi lo inasprivano e lo si sentiva pieno di amarezza dire "duolmi che arriveremo gli ultimi e quando tutto sarà finito".

      Però egli stesso capiva che per ottenere la riuscita della impresa era necessario precisarne la meta, avvertire gli amici e prepararle in Italia il terreno.

      Poco dopo la giornata del Salto era sbarcato a Montevideo e si era arruolato nella legione Giacomo Medici. Era un giovane bello di forme, intrepido di cuore, affabile di modi; e Garibaldi, intuendo nel Medici un valoroso che avrebbe immortalato il suo nome, l'ebbe subito assai caro e ripose in lui tutta la sua fiducia. Garibaldi pensò subito di mandarlo in Italia quale foriero e preparatore della divisata spedizione e lo muniva delle seguenti

ISTRUZIONI

      "Terrai presente che scopo nostro è di recarci in patria non per contrariare l'andamento attuale delle cose, e i Governi che v'acconsentano; ma per accomunarci ai buoni, e d'accordo con essi andare innanzi pel meglio del paese; ma che noi preferiremmo lanciarci ove una via ci fosse aperta ad agire contro il tedesco, contro cui devono essere rivolte senza tregua le ire di tutti; e tanto più lo vorremmo, perchè la gente che ci accompagna è mossa da questo ardentissimo desiderio: perchè questo avvenga ti recherai:

      "1. A consultare Mazzini intorno ai passi da farsi onde preparare le cose nel senso suindicato; quindi t'affretterai per alla volta di Genova, Firenze e Bologna, a meno che con Mazzini non risolviate altrimenti.

      "2. Dagli amici ti procurerai commendatizie per tutti quei punti che crederai utile di visitare, affine di dar moto a preparare gli uomini, e combinare elementi di cooperazione.

      "3. Scorsi quei paesi, ti ridurrai a Livorno come luogo più acconcio a sapere di noi.

      "4. Una delle cose che dovrai tenere in vista, si è quella di indurre gli amici a tener pronti quei mezzi indispensabili a provvedere il bisognevole almeno pei primi giorni, affine di non correre il rischio di perdere il frutto di tante fatiche e dei sagrifici fatti con tanta generosità dai nostri compatriotti di Montevideo.

      "5. I venti, ed altre cause, potrebbero obbligarci a toccare Gibilterra. Se Mazzini ha ivi persona fidata le diriga lettere per me, informandomi della marcia delle cose e sul da farsi – e potrà, appena tu arrivi, cominciare a scrivere. La persona che incaricasse dovrebbe stare sempre all'erta, affine di farmi pervenire ogni cosa a bordo e subito. Dal nome del bastimento chè quello di "Speranza" con bandiera orientale, sarebbe al momento avvertito del nostro arrivo – e perchè ne fosse più sicuro e potesse riconoscerlo facilmente, alzeressimo all'albero di prora una bandiera bianca attraversata orizzontalmente per quanto è lunga e nel bel mezzo, da una striscia nera.

      "Di quanto scrivesse a noi potrebbe darti avviso se ciò potesse farci mutare di direzione".

Montevideo, 20 febbraio 1848.G. Garibaldi

      "Le lettere che io ti scriverò a Livorno saranno dirette al nome di M. James Gross – nella soprascritta – sig. Giacomo Medici".

      Il Medici infatti dopo tre giorni s'imbarcava per la sua missione; e il 15 aprile 1848 Garibaldi medesimo, accompagnato da ottantacinque de' suoi legionari, fra cui l'Anzani, ammalato, il Sacchi, ferito, Ramorino, Montaldi, Marocchetti, Grafigna, Peralta, Rodi, Cucelli e il suo moro Aghiar, soccorso dallo stesso Governo Orientale di armi, munizioni, col brigantino "La Speranza" salpò da Montevideo per la terra Italiana.

      CAPITOLO IV

      Venezia si erige a repubblica

      Milano e le cinque giornate

      L'annunzio d'una sollevazione degli studenti viennesi propagatosi alla metà di marzo, spinse il popolo veneziano alla presa delle armi per la cacciata dello straniero. Si combattè nella città della laguna per cinque giorni e il popolo veneziano, rimasto vittorioso, liberava Manin e Tommaseo e si erigeva in repubblica.

      Il 18 marzo Milano iniziava colle barricate le memorande cinque giornate. Mentre gli Austriaci avevano fatto del Broletto la loro cittadella e luogo di macello; mentre dal Castello si prendeva di mira l'italiano che giungeva a tiro – al suono delle campane a stormo il popolo impegnava la lotta sotto la direzione di un Comitato di salute, del quale facevano parte Carlo Cattaneo e Enrico Cernuschi.

      Non sgomentavano i Milanesi il rombo assordante del cannone, al quale rispondevano coi rintocchi delle campane; e la strage che facevano le truppe imperiali, spronava alla lotta, alla vendetta gli eroici insorti per la patria libertà.

      E la lotta fu aspra, violenta, combattuta corpo a corpo. I cittadini si scontravano con le pattuglie, che numerose stavano appostate in ogni via della città, le affrontavano con ardimento; uccidevano od erano uccisi, mentre dalle finestre delle case, dai tetti pioveva pioggia micidiale di tegole e di sassi – e di quartiere in quartiere si scacciavano le truppe con valore senza pari.

      Il 23 marzo fu giorno di vittoria e di giubilo per la città di Milano. Assaliti da ogni parte, gli Austriaci cacciati dal popolo che non dava loro tregua, al Radetzky non restò che di ordinare la ritirata.

      L'eco delle cinque giornate risuonò per tutta Italia commuovendo le popolazioni ed incitandole alla riscossa.

      CAPITOLO V

      Carlo Alberto bandisce la guerra all'Austria

      Il 23 di marzo 1848 il Re Carlo Alberto bandiva la guerra all'Austria, ed il 27 dello stesso mese si metteva alla testa delle sue truppe con a Capo di Stato Maggiore il generale Salasco. L'esercito piemontese, forte di circa 60 mila uomini, era diviso in due corpi d'armata, il primo era comandato dal generale Eusebio Bava; il secondo dal generale Ettore De Sonnaz; a capo dell'artiglieria era il Duca di Genova, e d'una terza Colonna era comandante il principe ereditario Vittorio Emanuele.

      Le altre forze che concorsero alla guerra in Lombardia erano 5000 Toscani, 3000 Parmensi e Modenesi, 15000 dello Stato Pontificio, 4000 volontari Lombardi. Le truppe Napolitane comandate dal generale Pepe erano entrate in Venezia. Le forze Austriache erano di 80 mila uomini suscettibili di rinforzi.

      Il giorno 6 di aprile le truppe Sarde ebbero cogli Austriaci un forte scontro al ponte di Goito ed a Monzambano ove i bersaglieri comandati dal Colonnello Lamarmora, il battaglione Real Navi e i cannonieri si copersero di gloria.

      Il giorno 13 s'investiva Peschiera con vivissimo cannoneggiamento.

      Il 24 le truppe Toscane prendevano posizione a Montanara ed a Curtatone alla destra dell'armata Piemontese.

      Nello stesso giorno la colonna mobile dei Modenesi comandata dal Maggiore Fontana fu attaccata da un Corpo Austriaco sulla strada di Mantova ad un miglio da Governolo. Il combattimento sostenuto dai nostri con valore durò circa tre ore e terminò con la ritirata degli Austriaci. In appresso quasi ogni giorno si ebbero scaramuccie nelle prossimità di Mantova dagli avamposti Piemontesi, e da quelli Toscani


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