Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I. Elia Augusto

Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. I - Elia Augusto


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verso le due pomeridiane 5000 Austriaci attaccarono le posizioni di Curtatone e Montanara tenute dai Toscani; l'attacco fu sostenuto con vigore per oltre tre ore e i Tedeschi furono respinti con forti perdite sotto le mura di Mantova.

      I reduci dall'America non conoscevano gli avvenimenti del febbraio, la sollevazione di Vienna, la riscossa di Venezia, le barricate di Milano, l'entrata di Carlo Alberto in Lombardia e le prime vittorie delle armi italiane sul Mincio; tutto questo era loro interamente ignoto; quindi Garibaldi era incerto del luogo e della meta del suo sbarco – e l'animo suo ondeggiava tra i consigli avuti dal Mazzini, che con uno scritto lo spingeva a sbarcare in Sicilia e gli accordi presi col Medici per i quali erasi impegnato ad approdare in Toscana, mentre il suo vivo desiderio era di scendere ove fosse più pronta l'occasione di menar le mani. Obbligato ad approdare a Palos presso Cartagena per fare provvista di viveri, Garibaldi riceveva dal vice Console Francese la lieta notizia della guerra dichiarata all'Austria. Non più esitazioni – la via era tracciata, la meta era designata. A Garibaldi urgeva senza perdere un istante dirigere la prora verso la costa della Liguria per essere più vicino al teatro della lotta, ed offrire senza esitare il braccio suo e dei suoi a Carlo Alberto.

      I venti lo obbligarono ad approdare a Nizza, ed alle 11 antimeridiane del 21 giugno 1848, inalberante la bandiera di Montevideo, gettava l'ancora nel porto della sua Città natale.

      Nello scendere a terra un urlo d'entusiasmo lo saluta, facendogli suonare all'orecchio nel dolce idioma natio quel grido d'ammirazione che da tanti e tanti anni non aveva più udito se non in lingua straniera, in terra straniera.

      Non perdette tempo Garibaldi.

      Riordinata la legione, alla quale i Nizzardi avevano recato un primo rinforzo, il 28 giugno di mattina salpa con circa duecento volontari ben armati ed equipaggiati, ed arriva a Genova nel pomeriggio del 29, accolto dai Genovesi coll'entusiasmo di popolo con cui era stato acclamato a Nizza, e ricevuto dalle autorità con ogni dimostrazione d'onore.

      Per debito di cortesia prima di partire da Genova dovette accettare l'invito fattogli d'intervenire ad un'adunanza del Circolo Nazionale; fu obbligato dopo avere uditi diversi discorsi a pronunziarne uno egli stesso per esprimere il suo giudizio sulle cose della guerra e sulle condizioni dell'esercito. Procurò di schermirsi, ma dovette cedere alle vive insistenze e con parola misurata e con molta franchezza si espresse così:

      "Voi sapete che io non fui mai partigiano dei Re. Ma poichè Carlo Alberto si è fatto il difensore della causa popolare e muove guerra allo straniero per l'indipendenza nazionale, io ho creduto dovergli recare il mio concorso e quello dei miei camerati.

      "Il maggiore pericolo che ci sovrasta è quello che la guerra si prolunghi e non sia terminata quest'anno. Noi dobbiamo fare ogni sforzo perchè gli Austriaci sieno presto cacciati dal suolo italiano e non si abbia a sostenere una guerra di due o tre anni. Ora noi non possiamo ottenere questo intento se non siamo fortemente uniti. Si bandisca da noi la politica, non si aprano discussioni sulla forma di governo, non si ridestino i vecchi partiti. La grande, l'unica questione del momento è la cacciata dello straniero, è la guerra dell'indipendenza.

      "Io fui repubblicano, ma quando seppi che Carlo Alberto si era fatto campione dell'Italia, io ho giurato di ubbidirlo e di seguire fedelmente la sua bandiera. In lui vedo riposta la speranza della nostra redenzione; Carlo Alberto sia dunque il nostro capo, il nostro simbolo; gli sforzi di tutti gl'italiani si concentrino in lui. Fuori di lui non vi può essere salute.

      "Uniamoci dunque tutti nel solo pensiero della guerra allo straniero; facciamo per la guerra ogni sorta di sacrifici. Pensiamo che essi saranno sempre minori di quelli che c'imporrebbero i nemici se fossimo vinti".

      Queste parole vennero accolte da grandi applausi, e Garibaldi fu nominato socio onorario del circolo Nazionale.

      Garibaldi senz'altro partì per Torino. – Passata in fretta Novara, e toccata Pavia per salutare il suo grande amico Sacchi, il quale andava raccogliendo volontari, al 4 di luglio arrivò al Quartiere Generale in Roverbella, e si presentò immediatamente al Re.

      Questi lo accolse con grande cortesia, si mostrò edotto delle sue gesta di America, se ne compiacque altamente congratulandosi con lui. Ma all'offerta che Garibaldi gli fece di sè e dei suoi compagni, quale Re costituzionale si credette obbligato di mandare il Generale ai suoi Ministri.

      Garibaldi non perdette tempo – si presentò al Ministro della Guerra Generale Ricci, bravo uomo, colto militare, ma pieno di pregiudizî; questi credette di non potere accettare i servigi che Garibaldi offriva alla causa italiana combattendo con l'esercito, per ragioni di regolamenti ecc. – e finì per consigliarlo di recarsi a Venezia "campo degno di lui, dove poteva prendere il comando di qualche flottiglia tanto utile a quell'assediata Città". A Garibaldi "uccello di bosco e non di gabbia" non piacque quel suggerimento – deliberò invece di recarsi a Milano, dove giunse la sera del 15 luglio e dove l'aspettava miglior fortuna.

      Milano era pur sempre la città delle Cinque Giornate e quindi il concetto della guerra popolare rivoluzionaria era sorta dalle barricate.

      CAPITOLO VI

      Garibaldi a Milano prende il comando dei Volontari

      Il governo provvisorio s'affaccendava a reclutare quante più milizie poteva, ed accoglieva volontieri quanti venivano ad offrirgli il loro braccio; e però il giorno stesso del suo arrivo esso offerse a Garibaldi il comando di tutti i volontari raccolti fra Milano e Bergamo, i quali sommavano a circa tremila.

      Non era forza atta a salvare il paese, ma più di quanta in quel momento Garibaldi potesse desiderare. Si occupò quindi senz'altro dell'armamento dei suoi volontari; li ordinò in battaglioni, dando al più scelto il nome del suo amico Anzani morto, suo compagno di Montevideo, ponendolo sotto il comando di Medici che si era unito a lui a Torino.

      Nel pomeriggio del 25 luglio, obbedendo a un ordine del Governo Provvisorio, lasciò i quartieri di Milano e s'incamminò verso Bergamo.

      Prima di lasciare Milano Garibaldi indirizzava alla gioventù italiana il seguente:

PROCLAMA

      Alla Gioventù!

      La guerra ingrossa, i pericoli aumentano. La patria ha bisogno di voi.

      Chi v'indirizza queste parole ha combattuto per l'onore italiano in lidi stranieri, è accorso con un pugno di valenti compagni da Montevideo per aiutare anche egli la vittoriosa patria, o morire su terra italiana.

      Egli ha fede in voi: volete, o giovani, averla in lui?

      Accorrete, concentratevi intorno a me, l'Italia ha bisogno di dieci, di ventimila volontari, raccoglietevi da tutte le parti, in quanti più siete: e alle Alpi! Mostriamo all'Italia, all'Europa che vogliamo vincere, e vinceremo.

Milano, 25 luglio 1848.G. Garibaldi

      CAPITOLO VII

      Venezia, Treviso, Vicenza, Curtatone e Montanara, Goito, Peschiera, Rivoli – Sfortunata giornata di Custoza – Armistizio di Salasco

      Il 21 marzo Venezia quasi senza spargimento di sangue si liberava dal giogo straniero.

      Il governo civile e militare austriaco era dichiarato decaduto ed una convenzione era firmata per la quale il reggimento Kinski e tutte le altre truppe, Croati, Artiglieria, Marina ecc. ecc. si ritiravano, imbarcandosi per Trieste. Manin e Tommaseo, liberati dal carcere politico, venivano portati alla sede del governo in trionfo.

      Il popolo veneziano proclamava la repubblica e il governo prendeva provvedimenti per una pronta ed efficace difesa contro il ritorno dello straniero.

      Padova, Treviso, Vicenza e tutte le città del Veneto proclamavano il governo provvisorio, e così facevano le città del Friuli.

      La mattina del 24 marzo 1848 ebbe luogo a Roma un'imponente dimostrazione popolare che chiedeva armi e la guerra all'Austria.

      Questa ottenne effetto immediato, perchè nel giorno stesso fu affidata al generale Ferrari la organizzazione del Corpo dei Volontari e Ferrari non perdette tempo; difatti alle cinque del mattino del 26 marzo partiva da Roma la prima legione Romana di circa mille uomini; e solo due giorni dopo partiva anche, e bene organizzato, il primo reggimento volontari forte di altri milleduecento


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