Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II. Elia Augusto

Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II - Elia Augusto


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e per le loro forti posizioni.

      "Io contavo sulle fatali vostre baionette, e vedeste che non mi ero ingannato.

      "Deplorando la dura necessità di dover combattere soldati italiani, noi dobbiamo confessare che trovammo una resistenza degna di uomini appartenenti ad una causa migliore, e ciò conferma quanto sarem capaci di fare nel giorno in cui l'italiana famiglia sarà serrata tutta intorno al vessillo di redenzione.

      "Domani il continente italiano sarà parato a festa per la vittoria dei suoi liberi figli e dei nostri prodi siciliani; le vostre madri, le vostre amanti, superbe di voi, usciranno nelle vie colla fronte alta e ridente.

      "Il combattimento ci costò la vita di cari fratelli morti nelle prime file; quei martiri della santa causa d'Italia saranno ricordati nei fasti della gloria italiana.

      "Io segnalerò al nostro paese il nome de' prodi che sì valorosamente condussero alla pugna i più giovani ed inesperti militi, e che conduranno domani alla vittoria, nel campo maggiore di battaglia, i militi che devono rompere gli ultimi anelli delle catene, con cui fu avvinta la nostra Italia carissima.

      Calatafimi, 16 maggio.

      Scrisse poi a Bertani la seguente lettera:

      Caro Bertani,

      Ieri abbiamo combattuto e vinto. La pugna fu tra italiani. Solita sciagura – ma che mi provò quanto si possa fare con questa famiglia – nel giorno che la vedremo unita.

      Il nemico cedette all'impeto delle baionette de' miei vecchi Cacciatori delle Alpi vestiti in borghese; ma combattè valorosamente – e non cedette le sue posizioni che dopo accanita mischia corpo a corpo.

      I combattimenti da noi sostenuti in Lombardia furono certamente assai meno disputati che non fu il combattimento di ieri; i soldati napolitani, avendo esaurite le loro cartucce, vibravan sassi contro di noi, da disperati.

      Domani seguiremo per Alcamo; lo spirito della popolazione si è fatto frenetico, ed io ne auguro molto bene per la causa del nostro paese.

      Vi daremo presto altre notizie. Vostro:

      Calatafimi, 16 maggio.

      P.S. Questa serve per Medici pure.

      Della battaglia di Calatafimi Garibaldi con parola commossa così ne parlava:

      "Calatafimi! Io avanzo di tante pugne – se nell'ultimo mio respiro i miei, vedranmi sorridere, l'ultimo sorriso d'orgoglio – esso sarà ricordandoti!"

      "Tu fosti il combattimento più glorioso di popolo! L'Italia non deve dimenticarlo".

      Disfatte le truppe napolitane a Calatafimi, in quell'eroico combattimento nel quale si decise dell'unità della patria, Garibaldi comprese che bisognava battere il ferro finchè caldo, e marciare su Palermo. Era assai arduo affare, ma che cosa tratteneva più Garibaldi? Si trattava ne più ne meno di questo; mettere assieme strategia ed audacia per assalire con circa 4000 armati, tra i rimasti dei mille ed i picciotti, ed impadronirsi d'una città che conteneva trentamila difensori, appoggiati ad una fortezza e sorretti da una squadra regia. Garibaldi tentò il colpo.

      Il 17 marciava su Alcamo, il 18 per Partinico; nel medesimo giorno ordinava una conversione e giungeva al passo di Reune; fiancheggiavano Garibaldi a ponente le bande di Rosolino Pilo, a levante quelle del La Masa, un quattromila picciotti, male armati ma arditi e ben condotti. Per sopperire alla tenuità delle forze Garibaldi giuocò di astuzia; ordì un tranello nel quale il nemico cadde.

      Il giorno 20, comandò e diresse egli stesso, una ricognizione su Monreale per attirarvi il nemico, e manovrò in modo da far credere che quello era il suo obbiettivo. Impegnato un combattimento d'avamposti, ad un tratto faceva sospendere l'attacco e si ritraeva indietro.

      Nella notte, imperversando una violenta tempesta, prendeva sentieri di montagna battuti solo da capre e volgeva a levante, lasciando Orsini con le salmerie ed i cannoni a farsi inseguire dalle truppe borboniche. Egli, di sorpresa, scendeva al Parco e batteva una colonna nemica che lo aveva assalito di fronte; colà il generale Orsini coll'artiglieria lo raggiungeva. Il 24 le truppe borboniche, fiancheggiate da forti colonne di cacciatori attaccavano i nostri. Garibaldi batteva in ritirata su Piana de Greci mentre era già sera. Nella notte ordinava ad Orsini di prendere la strada di Corleone per attrarre le forze nemiche; egli marciava silenzioso su Marineo, quindi lasciava Marineo per Missilmeri e, mentre le truppe napolitane inseguivano quelle che credevano le forze garibaldine condotte in ritirata dall'Orsini, Garibaldi, spalleggiato dalla parte di levante dai picciotti del La Masa, si preparava a dare l'assalto a Palermo.

      La mattina del 26, alle 4, accompagnato da Turr, Bixio e Missori, andò a visitare il campo di Gibilrossa, occupato dalle squadre siciliane comandate da La Masa, Fuxa e fratelli Mastricchi, formanti un corpo di oltre 4000 uomini.

      Garibaldi per avvicinarsi a Palermo aveva due grandi strade, ad una delle quali si poteva giungere per stretti sentieri e La Masa, pratico dei luoghi informò il Generale che da Gibilrossa poteva discendere benissimo calando per quei sentieri praticabili sino a Mezzagno, da dove con altro poco cammino faticoso si poteva trovar presto sulla strada di Porta Termini. Garibaldi, dopo brevi riflessioni, decideva di battere questa via e dava ordine a Turr di fissare la marcia per l'indomani di primo mattino e che veniva ordinata così:

      1o l'Avanguardia comandata dal maggiore Tuköry, composta di guide e di 60 volontari dei Mille, scelti da ciascuna compagnia.

      2o Il battaglione Bixio coi carabinieri genovesi.

      3o Il battaglione Carini, cacciatori delle Alpi.

      4o Il corpo delle squadre siciliane, comandate da La Masa.

      Disposta in tal modo la colonna Garibaldi, fatti chiamare i suoi ufficiali superiori, i comandanti le compagnie, e i capi delle squadriglie parlò loro così: "Compagni! Due vie abbiamo avanti a noi: una è di ritirarci nell'interno dell'Isola facendo la piccola guerra per organizzarci; l'altra è di piombare su Palermo, entrarvi, accendervi la rivolta: sicuri che quest'ultima impresa darà per risultato la liberazione dell'intera Sicilia. "Decidete!" – A "Palermo", tutti gridarono. – "Ebbene, che ognuno faccia il suo dovere e domattina vi saremo!"

      Alle 3 antimeridiane del 27 maggio – data memoranda – Garibaldi col resto dei suoi Mille comandati da Bixio, da Carini, da Cairoli, da Tuköry, da Menotti, da Mosto, da Nullo, da Canzio, da Dezza, da Cucchi sui quali sapeva di poter contare fino alla morte, spalleggiato fortemente dai Picciotti del La Masa e del Fuxa, come aveva predetto, si preparava ad assalire Porta Termini e da quella entrare in Palermo.

      Era intendimento del generale di sorprendere la posizione del Ponte dell'Ammiraglio senza colpo ferire, ed in tal guisa piombare su Porta Termini, e di là spingersi al palazzo Reale dove trovavasi il Lanza, comandante in capo delle forze borboniche, col suo quartier generale. Tuköry colla sua avanguardia procedeva in silenzio per precipitarsi d'improvviso sul nemico, ma i Picciotti, tosto che videro le prime case del sobborgo, quasi avessero già in mano la città, non seppero frenarsi e presero a gridare Viva Garibaldi: Viva l'Italia; sparando delle schioppettate: così il piano di sorpresa andava fallito. I regi fortemente protetti da barricate, che difendevano e impedivano il passaggio del Ponte dell'Ammiraglio, spazzavano con un turbine di mitraglia e di moschetteria la via che vi conduceva e i campi d'intorno: – i Picciotti non ancora abituati al fuoco ed ai cimenti corpo a corpo, balenano per un momento, ma all'esempio dei mille che nulla paventano, serrati, concordi, disprezzanti della morte si slanciano, sperdono in men che si dica le truppe borboniche e, come un torrente impetuoso si avventano su Porta di Termini scacciandone i nemici, vincendone la resistenza: primi fra tutti Bixio, Carini, Sirtori, Turr, Fuxa, La Masa; già erano caduti fulminati, i prodi fra i prodi, Tuchöry, Rocco, La Russa, Pietro Inserillo e Giuseppe lo Squiglio assieme a tanti e tanti altri che ebbero la fortuna di fare la bella morte dei prodi; ebbero ferite più o meno gravi Turr, Benedetto Cairoli, Enrico Piccinini, Raffaello Di Benedetto, Leonardo Caccioppo; Bixio alla testa del suo bravo battaglione, coi carabinieri genovesi, con a fianco, Dezza, Menotti, Mosto, Missori, Canzio, Nullo, Carbone, Cucchi, Cavalli, Venzo ed altri bravi, a passo di corsa, con impeto furioso, attaccano ed espugnano la barricata di Porta Termini. Il Carbone, dei carabinieri genovesi, sale coraggiosamente per primo sulla barricata


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