Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II. Elia Augusto

Ricordi di un garibaldino dal 1847-48 al 1900. vol. II - Elia Augusto


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ne riporta ferita che non gli impedisce di continuare a combattere; per questo fatto il Carbone venne encomiato dal generale Garibaldi e promosso sottotenente.

      Nell'assalto della barricata Bixio, Dezza, Menotti, Bezzi, Canzio, Cucchi, Carbone, Damiani, Mosto, Venzo, Manci fecero prodigi di valore; Bixio sopra tutti; come una furia si precipitava dove era più forte la resistenza, tempestando di colpi i nemici, finchè cadde gravemente ferito.

      Forzata l'entrata in città, i Carabinieri Genovesi ed il resto di Mille seguiti dai bravi picciotti, si lanciarono sui borbonici forzandoli a cedere ed a ritirarsi; nel combattimento dei Quattro Cantoni fino a Piazza del Duomo ed a Porta Maqueda Cucchi, Miceli, Venzo, Mosto, ed altri bravi caddero feriti; ma i nostri, non ostante le preziose perdite, procedevano dovunque vittoriosi. Turr, Sirtori benchè feriti insieme agli altri ufficiali di Stato Maggiore si moltiplicavano, ed erano all'attacco del Palazzo Reale, erano a quello di Porta Maqueda, tagliavano le comunicazioni tra il mare e il Castello, mentre Dezza e Missori con un pugno dei Mille battevano il nemico all'Albergaria.

      La Loggia, e molti altri signori siciliani componenti il Comitato insurrezionale, con alcuni dei Mille fra i quali il Venzo, si cacciano fino alla Fiera-Vecchia, penetrano nelle Chiese, salgono sui campanili, ed il terribile tocco delle campane a stormo chiama in armi tutti i cittadini. La Città dei Vespri si ridesta, si erigono dovunque barricate, e i soldati napoletani, incalzati da ogni parte, sono costretti a ritirarsi nelle caserme e nel forte di Castellammare.

      Garibaldi si spinge fino in piazza Bologna, insedia il suo quartier generale nel palazzo Municipale e di là emana il primo suo atto dittatoriale in nome di Vittorio Emanuele, col seguente proclama:

      Siciliani!

      "Il generale Garibaldi, dittatore in Sicilia a nome di S. M. Vittorio Emanuele Re d'Italia, essendo entrato in Palermo stamattina 27 maggio, ed avendo occupata tutta la Città, rimanendo le truppe Napoletane chiuse nelle caserme e nel forte di Castellammare, chiama alle armi tutti i Comuni dell'Isola, perchè corrano nella metropoli al compimento della vittoria.

      Dato in Palermo, oggi 27 maggio 1860

G. Garibaldi.

      Il 28 fu giornata nella quale la città di Palermo sofferse orribilmente. La mitraglia fece vittime numerosissime, le bombe rovinavano, incendiavano, distruggevano tutto; ma mentre il bombardamento infieriva con tutti i suoi orrori, Garibaldi pensava anche all'organizzazione civile. Nominava Crispi segretario di Stato; il Duca della Verdura sindaco; istituiva un Comitato di difesa, presidente lo stesso della Verdura e componenti i signori Michele Mangiano, Tommaso Lo Cascio, barone Michele Capuzzo, barone di Paternò, Rubino Emanuele e Benedetto Scidita, Pietro Messineo, marchese Pilo, Patriola, Girolamo Mondino, ed altri patrioti, e segretario Vincenzo Scimecca.

      La mattina del 29 maggio, i garibaldini ebbero un rinforzo di siciliani condotti da Fardella.

      Per tutto quel giorno il combattimento continuò accanito, specialmente a Montalto ove il Laporta, il marchese Firmaturi, il Sant'Anna, sostenuti dai Carabinieri genovesi, fecero colle squadre dei Picciotti, con fermezza e valore, il loro dovere.

      Il generale Lanza, che fin dal mattino aveva fatto inutili sforzi per riprendere le posizioni perdute, e vedeva falliti tutti i tentativi per aprirsi le comunicazioni con Castellammare, fece cessare il bombardamento, durato tre giorni e tre notti senza intervallo.

      I Consoli esteri e l'Ammiraglio inglese, commossi per le tante rovine e gli eccidi che da tre giorni sterminavano la bella città, fecero dei passi presso il generale Lanza perchè si desse tregua con un armistizio a tanta effusione di sangue cittadino; il generale borbonico acconsentiva, e la mattina del 30 spediva al Dittatore Garibaldi la lettera seguente:

      Generale!

      "L'ammiraglio britannico mi fa conoscere che riceverebbe con piacere al suo bordo due miei generali, per aprire con lei una conferenza, nella quale egli servirà da intermediario.

      "La prego farmi conoscere se acconsente, e nel caso affermativo, permettere che i due miei generali passino la sua linea, facendoli Ella accompagnare dal palazzo reale, ove potrebbe mandarli a prendere, fino alla Sanità per imbarcarsi.

      "In attesa di una sua risposta, ho l'onore di essere

      "29 maggio 1860.

"Lanza".

      Garibaldi acconsentì e ordinò la cessazione del fuoco, disponendo che l'intervista avesse luogo all'una pomeridiana. Il maggiore Cenni fu inviato alle undici e mezzo con due guide al palazzo Reale.

      Erano scorsi pochi istanti dalla partenza del Cenni, quando veniva dato un allarme a Porta Termini; poco dopo incominciavano le fucilate: Erano Von-Mechel e Bosco, i quali ritornavano da Corleone, col dispetto di essere stati giuocati per la terza volta, e di avere inseguito non Garibaldi coi suoi volontari, ma un treno di cassoni e carriaggi inservibili.

      I garibaldini non risposero al fuoco; Carini e Sirtori si presentarono per dare la notizia dell'armistizio nel momento in cui il fuoco dei napoletani era più vivo; Carini ne riportò grave ferita, Sirtori fu ferito leggermente. Turr, raccolti quanti uomini potè sul momento, corse in appoggio dei nostri a Porta Termini.

      In quel momento il generale borbonico Letizia accompagnato dal Cenni traversava Toledo; saputo quanto accadeva, si offerse di recarsi egli stesso sul luogo del combattimento per portare ai suoi la notizia dell'armistizio, e per fare cessare il fuoco onde non si sospettasse un tradimento. Arrivato sul luogo, impose a Von-Mechel e a Bosco di cessare da ogni azione ostile, essendo che la tregua doveva essere rispettata da tutti. Garibaldi all'una si recò a bordo dell'"Annibal" nave da guerra Inglese, nella cui sala di consiglio ebbe luogo la conferenza e fu stipulata una tregua di 24 ore; ma, prima che questa venisse a scadenza, il generale borbonico richiese la sospensione delle ostilità per altri tre giorni, prodromo evidente della resa finale. E Garibaldi accondiscese ancora.

      Infatti il 6 giugno, i negoziati furono ripresi e senza difficoltà condussero ad una convenzione, per la quale le truppe napolitane sgombravano Palermo e il forte di Castellammare per la via di mare.

      Intanto tutte le principali città dell'Isola si erano affrancate a libertà, e di tutta la Sicilia, il 7 giugno, non restava in mano del Borbone che Messina, la cittadella di Milazzo, Augusta e Siracusa.

      Garibaldi s'insediava, col suo quartier generale e col suo governo, al Palazzo Reale.

      Dopo la presa di Palermo Garibaldi avuta notizia che Elia curato con cure fraterne dai bravi medici chirurgi, Ripari, Lampiasi, Cipolla, Maltese, era vivente a Vita, accolto amorevolmente in casa del patriota Salvatore Romano, mandò Menotti con incarico di portarlo possibilmente a Palermo, e ivi giunto il generale volle che fosse curato sotto ai suoi occhi e lo fece condurre al palazzo Reale.

      Occorreva provvedere ora al necessario per non perdere il frutto delle riuscite imprese. Faceva mestieri organizzare i corpi militari in forza dell'entusiasmo dei cittadini per poter far fronte ai pericoli delle rappresaglie d'un governo che, prossimo a cadere, voleva segnalare i suoi ultimi giorni con atti disperati e col sovvertimento delle turbe e di ogni ordine civile.

      Questi pensieri pesavano orribilmente sull'animo del dittatore, il quale trovava più difficile mettere riparo a queste difficoltà civili che il combattere formidabili eserciti borbonici. Per riparare a questi mali erano necessarie delle spedizioni nell'interno dell'Isola, affidate ai suoi fidi compagni; ma l'esecuzione di tale progetto gli riusciva nel momento assolutamente impossibile. Da Genova non arrivavano rinforzi. Anzi si avevano notizie che due navi cariche di volontari condotti dal maggiore Corte "L'Utile" e il "Charles Georgy" erano state catturate dalla crociera napoletana e condotte a Gaeta.

      Era un vero disastro che impensieriva il Dittatore, tanto più che si sapeva che trovavasi in viaggio la forte spedizione Medici. Per fortuna questo esperto condottiero, che aveva ereditato da Garibaldi tutte le astuzie e tutte le audacie, seppe deludere la vigilanza della crociera napoletana, approdando inaspettato a Cagliari e di là, per rotta impensata dai nemici, arrivare alla desiderata destinazione.

      Nella mattina del 19 giugno Medici sbarcava sulla vicina costa di Partinico con forte aiuto di uomini e di armi, e tutte le preoccupazioni del Dittatore erano dissipate – Medici aveva con sè il bravo colonnello Malenchini coi suoi toscani – e annunziava


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