Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7. Giannone Pietro

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7 - Giannone Pietro


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questi il nostro reggente Camillo de Curte, che, come diremo, fu uno de' più rinomati nostri Professori di que' tempi, diede in Napoli, nel 1605, alle stampe una sua opera intitolata: Diversorii juris Feudalis Prima, et Secunda Pars: nella seconda parte della quale trattò de' remedj, che sogliono praticarsi nel Regno per difesa della giurisdizione regale, affinchè nè i diritti regali ricevano oltraggio, nè i suoi vassalli siano oppressi da' Prelati, usurpando la regal giurisdizione: dichiara in questo libro il modo solito e per lungo uso stabilito di resister loro: cioè nel principio di farsegli una, due e tre ortatorie: quando queste non bastano, di chiamargli: non obbedendo alla chiamata, di sequestrar loro le temporalità e carcerare i parenti più a lor congiunti, i servidori, anche gli amici: e per ultimo, non volendo obbedire, di cacciargli dal Regno. Modi legittimi, permessi ed approvati da una inveterata pratica di tutti i Regni d'Europa. Ma il libro appena fu dato alla luce, che ecco si vide nel medesimo anno uscir da Roma un editto, col quale fra gli altri libri venne anche severamente proibito questo, con tali parole: Camilli de Curtis secunda pars Diversorii, sive Comprensorii juris Feudalis, Neapoli apud Constantinum Vitalem 1605 omnino, et sub anathemate prohibetur49.

      Il Conte di Benavente, che si trovava allora Vicerè in Napoli, intesa la proibizione, non volle a patto veruno concedere Exequatur all'editto; anzi a' 14 decembre del medesimo anno, scrisse una grave consulta al Re Filippo III, nella quale fra l'altre cose occorsegli in materia di giurisdizione, gli diè raguaglio di questa proibizione fatta del libro del Reggente in Roma, sol perchè in questo si dichiaravano que' rimedj ed i diritti di S. M. che ha in simili occorrenze, rappresentando al Re, che contro questo abuso bisognava prendere risoluti e forti espedienti, perchè altramente ciò soffrendosi, non vi sarebbe chi volesse difendere la regal giurisdizione50.

      Parimente nel 1627, sotto il Pontificato di Urbano VIII, dalla Congregazione dell'Indice uscì un decreto sotto la data de' 4 febbrajo di quell'anno, dove oltre la proibizione fatta d'alcune opere legali di Treutlero, di Ugon Grozio e dell'Istoria della giurisdizion pontificia di Michele Roussel, fu anche proibito un libro che D. Pietro Urries avea allora pubblicato in Napoli in difesa del Rito 235 della nostra G. C. della Vicaria, intorno a' requisiti del Chericato, da riconoscersi da quel Tribunale; e perchè quel Rito, ancorchè antico, non mai però interrotto, si oppone alle nuove massime della Corte di Roma, fu tosto il libro proibito in Roma: Petri de Urries liber inscriptus: Aestivum otium ad repetitionem Ritus 235 M. C. Vicariae Neapolitanae51. Ma il Duca d'Alba Vicerè non fece valere nel Regno quel decreto, e ne scrisse al Re, da cui ne ricevè risposta sotto li 10 agosto del detto anno, maravigliandosi della proibizione fatta in Roma di quel libro dove non si difendeva, che un Rito antichissimo della Vicaria del Regno52.

      Questa vigilanza si tenne presso di noi, quando si volevano far valere i nostri diritti e le nostre patrie leggi ed istituti; poichè noi, affinchè non si ricevano bolle, brevi, decreti, editti ed in fine ogni provisione di Roma senza l'Exequatur Regium, ne abbiamo legge scritta stabilita dal Duca d'Alcalà nel 1561, quando vi era Vicerè, e che leggiamo ancora impressa nei volumi delle nostre Prammatiche53: requisito che in conformità della legge era necessario, e si praticava anche ne' decreti che venivano da Roma, per li quali si proibivano i libri: ed in ciò il Regno nostro non ha che invidiare (quando si voglia) nè a Francia, nè a Spagna, nè a Fiandra, nè a qualunque altro Principato più ben istituito e regolato del Mondo Cattolico.

      In Francia è a tutti noto che non han forza alcuna simili Bolle o Decreti proibitorj di Roma: sono quelli ben esaminati, e se si trovano a dovere, si eseguiscono, altrimente si rifiutano. Ciò che non potrà più chiaramente dimostrarsi, se non per quello che accadde nella proibizione dell'opere di Carlo Molineo. Avendo la Corte di Roma saputo, che non ostante l'indice Romano, per cui erano state affatto quelle proibite, venivano lette in tutti i Regni d'Europa, particolarmente in Francia ed in Fiandra, le cui Università e Censori, avendole solamente espurgate d'alcuni errori, le permettevano, tanto che giravano per le mani di tutti i Giureconsulti e d'altri Letterati, e tenute in sommo pregio; Clemente VIII riputando ciò a gran dispregio della Sede Appostolica, a' 21 Agosto del 1602, cavò fuori una terribile Bolla, colla quale sotto gravissime pene e censure proibì di nuovo assolutamente tutti i suoi Libri, anche gli Espurgati, dicendo, che non aliter quam igne expurgari possint. Rivocò per tanto tutte le licenze date, e volle che per l'avvenire affatto non si concedessero. Quindi nacque il moderno stile delle Congregazioni del S. Officio e dell'Indice, che nelle licenze, che si concedono, quantunque ampissime di legger libri, anche laidissimi e perniziosi, si soggiunga sempre: Exceptis operibus Caroli Molinei. Fu pubblicata questa Bolla, secondo il solito, in Roma a' 26 agosto di quell'anno 1602, ed affissa ad valvas Basilicae Principis Apostolorum in acie Campi Florae, soggiungendosi che tutti ita arctent, ac afficiant, perinde ac si omnibus, et singulis intimatae fuissent.

      Ma che pro? niente valse questa Bolla, nè in Francia, nè nelle Fiandre, nè altrove: l'opere di questo insigne Giureconsulto niente perderono di pregio, nè erano meno stancate da' Professori ora di prima: tutti i Giureconsulti, ed ogni Pratico l'ebbe tra le mani, ed era più studiato quest'Autore, e più frequentemente allegato nel Foro che Bartolo e Baldo; e resesi così necessario, che, come dice Bertrando Loth54, nella Francia ed in Fiandra niuno insigne Pratico o Avvocato può starne di senza, particolarmente nell'Artesia, dove le Consuetudini di quella Provincia essendo simili a quelle di Parigi, gli scritti di questo Autore sono stimati più di tutti gli altri, e molta autorità ha ottenuto ne' loro Tribunali.

      I Prammatici franzesi gli hanno così famigliari che non vi è arringo o scrittura che si faccia, che non sia ripiena di allegazioni tratte da quelli in qualunque materia, sia di ragion civile o canonica. Ma niun argomento più convince non essere stata in Francia ricevuta questa Bolla, e di non essersi di tal proibizione tenuto alcun conto, quanto quella magnifica ed esatta Edizione fatta modernamente di tutte le Opere di questo Autore in Parigi, e proccurata per opera ed industria di Francesco Pinson il giovane, celebre Avvocato di Parigi, il quale oltre avervi aggiunte alcune sue note molto erudite ed accomodate alla moderna pratica, aggiunse ancora alle suddette opere alcune altre appartenenti alla materia ecclesiastica, che compongono il quarto e quinto tomo. Fu divolgata questa edizione in Parigi in cinque volumi, con espresso privilegio del Re, perchè più chiaramente si conoscesse nel Regno di Francia non essersi tenuta in niun conto la proscrizione di Roma.

      Ed in vero non meritavan tanta abbominazione l'Opere di questo Autore, che dovesse portar tanto orrore, il quale, ancorchè non bene sentisse in vita colla Chiesa romana, morì poi Cattolico; e se si permettono, come bene a proposito osservò Van-Espen55, l'opere de' Gentili, ancorchè piene di lascivie e di laidezze, che possono con facilità corrompere i costumi dei giovani; perchè non s'avran da permettere l'opere d'un così insigne Giureconsulto per la loro gravità, dottrina ed erudizione, dalla lezione delle quali possono ritrarre gran frutto? Tanto maggiormente che se bene in quelle vi siano mescolate alcune cose che non bene convengono colla dottrina della Chiesa romana, hanno a ciò rimediato colle loro note, ed avvertimenti Gabriele de Pineau e Francesco Pinson, in maniera che ora è più facile di poter essere contaminati i giovani dalla lezione de' libri lascivi de' Gentili, che il Giureconsulto cristiano possa essere in pericolo, leggendolo, di deviare dalla dottrina della Chiesa Cattolica.

      Altri esempi non meno illustri potrebbero raccorsi dalla Francia e dalle province di Fiandra, che convincono il medesimo: come delle proscrizioni fatte in Roma del Libro di Cornelio Giansenio Vescovo d'Iprì, intitolato Augustinus, e della Bolla per ciò emanata dal Pontefice Urbano VIII nel 1643, che comincia: In Eminenti; delli decreti profferiti in Roma dalla Congregazione del S. Ufficio sotto li 6 settembre del 1657 per li quali, fra l'altre, furono proscritte le Lettere volgarmente chiamate Provinciali; della Bolla d'Alessandro VII promulgata in Roma nel 1665, per la quale furon proscritte due Censure della Facoltà di Parigi, non fatte valere nè in Francia, nè in Fiandra: e di tante altre delle quali Van-Espen trattò diffusamente56.

      Solo


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<p>49</p>

Leggesi nell'editto del 1605 sotto Clem. VIII nell'Indice de' libri proib.

<p>50</p>

Questa consulta si legge tra' M. S. di Chiocc. tom. 17 de Typograph.

<p>51</p>

In Indice libr. prohib. sub Urban. VIII ann. 1627, 4 Feb. V. Petram. d. Rit. 235.

<p>52</p>

È da vedersi la lettera del Re nel t. 17 de' M. S. Giur. di Chioc.

<p>53</p>

Prag. 5 de Citation.

<p>54</p>

Bertrand. Loth in Resol. Belgic. tract. 14 quaest 2 art. 7.

<p>55</p>

Van-Espen par. 4 de Usu plac. Regii, cap. 2 § 4.

<p>56</p>

Van-Espen loc. cit. cap. 3, 4, 5 et 6.