Vivere La Vita. Lionel C
vita, sconfitta che ci ferma dalla nostra corsa frenetica, ancora a terra dopo essere caduti, mettendoci a riflettere su come mai è stato possibile che fosse capitata proprio a noi quella cosa, in quei momenti, se abbiamo il coraggio di riflettere fino in fondo, la maturità e la lucidità di farlo e farlo nel modo giusto, con sangue freddo, forse ci rendiamo conto che vogliamo più bene alle nostre proprietà materiali, che a noi stessi.
Ci rendiamo conto che forse sappiamo molto di più sul conto dei nostri beni materiali, conoscendo forse ogni pezzo che li compone, la sua funzione e funzionalità finale ed ogni bisogno che hanno per farli rendere al massimo.
Purtroppo, la stessa cosa, forse non la possiamo dire sul nostro conto.
Su noi stessi.
Perché?
in momenti così, senza chiedersi niente altro, ma soltanto guardando i risultati di quello che abbiamo vissuto, viene fuori che forse in quasi tutte le situazioni il risultato è quello che è, forse perché nella nostra vita abbiamo dato la precedenza a quello che abbiamo e non a quello che siamo.
Al verbo avere.
Poi e soltanto poi...al verbo essere.
Esattamente il contrario di come la natura nel suo modo perfetto di lavorare, ci ha insegnato e continua ad insegnarci in ogni momento.
â¦.....
Tutto è cominciato in un posto molto lontano.
Forse neanche troppo lontano in questione di spazi, di distanze, ma lontanissimo per i modi di vivere.
Il modello di vita di quel posto ed il modello di vita di questo posto, camminavano in due direzioni diverse. Due direzioni così diverse tra loro, che sarebbe stato impossibile incontrarsi e per chi non è mai entrato in contatto diretto con una realtà di quel tipo, è molto difficile riuscire ad immaginarla. Non perché la persona che provasse ad immaginare, non avesse le capacità giuste per farlo e farlo bene, ma perché i due modelli di vita, erano completamente diversi tra di loro.
Forse diametralmente opposti.
Quel modello di vita, si trovava al di là della "Cortina di Ferro" ed il posto dove è cominciato tutto, nei tempi della grande crisi economica del ventinove, era chiamato:
"La Valle del Pianto".
Una vallata abbastanza stretta nei Carpazi Meridionali.
Il posto dove per centinaia di anni e passato il confine tra la Transilvania e di conseguenza L'impero Austro Ungarico al nord e la Valahia, un principato rumeno, al sud.
Nella città dove sulle sue alture, lo scrittore francese Jules Verne aveva collocato ed ambientato il suo romanzo di avventura: "Castello di Carpazi".
Al interno della vallata non molto lunga, ce una catena di sette città di piccola media grandezza, quasi attaccate tra di loro ed alcuni piccoli paesini. Il motivo per quale erano sorte quelle città era anche "il motore" che faceva girare tutta la vita nella vallata.
Il carbone.
Già scoperto, estratto ed usato nel periodo del Impero Austro Ungarico.
Una bella vallata, circondata, o meglio incastonata al interno delle montagne.
Subito a prima vista, in quelle condizioni, potrebbe sembrare una cosa che toglie il fiato, opprime e che potrebbe addirittura togliere la vitalità e la voglia di vivere, soprattutto a chi è abituato ai grandi spazi.
In realtà , non è così.
Anche se aprendo le finestre di qualsiasi casa, la prima impressione è che le montagne sono così vicine da poterle quasi toccare, non opprimono, non schiacciano la gente dentro casa.
Anzi.
Sono montagne alte intorno ai duemila metri e sono quasi interamente coperte da una vegetazione molto ricca.
Aprendo le finestre, la prima impressione percepita è che un gigante tutto verde, vuole condividere la stessa casa con gli esseri umani. Poi, dandosi un po' di tempo per conoscersi e capirsi a vicenda, si scopre nei vari periodi dell'anno che ognuno rispetta lâaltro, restando al proprio posto.
Vivendo insieme in grande sintonia.
Montagna e uomo.
Uomo e montagna.
Nelle giornate di autunno, ogni mattina si scopriva di avere d'avanti alle finestre un quadro diverso di natura viva, con tutti i colori possibili ed immaginabili, che forse il miglior pittore, non sarebbe mai riuscito a trovare e stendere così bene su una sua tela. Oltre il grande spettacolo di arte pura, c'era la possibilità , o forse il privilegio di vedere, vivere, essere partecipi ogni giorno alla vita della natura che dalla tinta unita di verde intenso, passava attraverso questa combinazione unica e molto ricca di colori, per arrivare al grigio povero delle piante spoglie, prima che la neve rivestisse il tutto, del suo manto bianco e compatto.
Quando questo accadeva sembrava che all'improvviso, niente e nessuno si muoveva più, ma che tutto il mondo si era fermato per non disturbare. Per dare la possibilità nel silenzio assoluto ai fiocchi di neve, all'inizio piccoli e poi sempre più grossi e fitti, di scendere lentissimi e leggeri fino a terra.
Per rivestire il tutto con tanta pazienza e delicatezza.
Il vestito, era quasi sempre molto spesso.
Cosi luccicante, morbido e delicato, che sembrava un vestito di velluto bianco della migliore qualità , creato dal migliore maestro sarto che rivestiva il tutto come se fosse una bella principessa siberiana venuta fuori da chissà quale favola.
Non si faceva in tempo a stupirsi di tanta bellezza, perché quasi sempre nel mattino successivo alla nevicata, andando subito alla finestra per guardare fuori lo splendido spettacolo, l'occhio restava impigliato in un'opera ancora più meravigliosa.
Sulla parte esterna dei doppi vetri delle finestre, il gelo aveva confezionato dei fiori di ghiaccio che la miglior artista dell'uncinetto, avrebbe fatto fatica ad immaginare.
Nel giorno in qui la raffinata bellezza dei fiori di ghiaccio cominciava a lasciare spazio a qualche goccia di acqua, si sapeva che da lì a poco, i primi pezzi di verde si facevano posto nel bianco assoluto.
Sulle finestre, le gocce di acqua diventavano sempre più numerose e quando scomparivano del tutto, guardando fuori, si vedeva che il colore predominante era il verde, con forse ancora qualche piccola macchia di bianco. Un verde umido e pesante, che però in poco tempo, diventava sempre molto intenso, fresco e leggero.
Insieme a lui arrivavano anche le vocine vivaci dei primi uccellini.
Quando i canti diventavano più forti, numerosi e diversi tra di loro, era il segnale di stare pronti ed attenti in vista di quello che sarebbe accaduto.
Unâesplosione di vita che avrebbe oscurato il verde fresco, con un numero illimitato di colori forti e vivi, donati dai fiori di ogni tipo.
Dal profondo dei prati, alle punte degli alberi.
Era la grande festa per il risveglio della vita.
Il lungo letargo era finito e si continuava a festeggiare senza sosta, finché il tutto diventava di un verde compatto, forte ed intenso. Così bello e vivo, che ogni mattina mentre si spalancavano le finestre per gustare la buona aria che inondava tutta la casa, veniva quasi sempre la voglia di invitare il gigante di granito finemente rivestito di seta verde, ad entrare, per far' parte integrante in ogni momento della propria vita.
Nella propria famiglia.
Era uno spettacolo unico, ed ogni giorno che si viveva da quando al mattino il sole grosso e luminoso iniziava a fare la sua comparsa sopra una montagna, e fino alla sera quando in silenzio e quasi di fretta scompariva dietro ad un'altra montagna, ci si rendeva conto del grande privilegio di poter assistere, vivere in prima fila ogni volta, in qualsiasi momento,