Vivere La Vita. Lionel C

Vivere La Vita - Lionel C


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un verde molto intenso per lungo periodo dell'anno.

      In ogni momento, guardare fuori dalle finestre era una cosa bellissima, ma al mattino, quando il sole si innalzava da dietro la montagna, lo era ancora di più. Il sole, insieme alla montagna erano così vicine, che sembrava di poter toccare il tutto con la mano.

      Il calore e soprattutto la luce che entrava in casa, dava una vitalità ed una forza che ogni mattina faceva venire la voglia di gridare:

      < Vita dove sei? >

      < Perché ho voglia di viverti in pieno quest'oggi! >

      Allo stesso modo, quando di sera da dietro la stessa montagna compariva la luna, metteva una pace ed una serenità che aiutava moltissimo a capire se in quel giorno di vita si e riusciti a fare qualcosa di buono.

      Non aver fatto passare inutilmente la giornata.

      Poi si andava a dormire in tranquillità, serenità e pace, ringraziando per tutti i risultati avuti.

      Il primo ricordo, come forse quello di ogni bambino, è un po’ birichino ed ogni volta che ci ripenso, sorrido partendo dal mio più profondo e finendo con i muscoli facciali.

      Sempre.

      Ricordo seduti: me e mia madre, attorno il tavolo nella cucina.

      Dopo aver mangiato, quasi sempre da me, ma anche imboccato ogni tanto da mia mamma, mi portava al letto per farmi fare il pisolino pomeridiano.

      Se avessi potuto, avrei prolungato all'infinito ogni volta quei momenti attorno al tavolo, perché andare a dormire di pomeriggio, per me era la cosa più spiacevole che mi poteva capitare in quel momento di vita.

      Questo è il mio primo pensiero di vita vissuta.

      Il primo che ricordo.

      Purtroppo per me, andava a finire sempre allo stesso modo, cioè, io sdraiato sul letto che dovevo dormire.

      Non piangevo e non ricordo di aver mai protestato, ma al mio modo agivo.

      Una volta al letto, dopo un po' di momenti in qui stavo tranquillo, con gli occhi chiusi e senza la minima intenzione di dormire, quando credevo che il tempo era giusto, scendevo dal letto.

      Ricordo che quasi sempre, andavo in silenzio dietro alla porta, per provare a capire dov'era mia madre.

      Qualche volta la vedevo da dietro, lavando per terra nell’ingresso, o facendo altro. Qualche altra volta mi toccava uscire dalla camera, prima di riuscire a vederla.

      In tutti i casi, mi ricordo la stessa fine.

      Io, che sfregandomi gli occhi come uno che ha dormito per ore, le dicevo che ho già dormito, mentre lei, senza dirmi niente, prendendomi per mano, mi faceva fare dietro front e mi riaccompagnava al letto.

      Al letto per la seconda volta, scattavano sempre le sue misure di sorveglianza.

      Non saprei dire se era perché mi dovevo arrendere per forza, oppure ad altro, ma ritornato al letto, ricordo le mie prime domande, dubbi, perplessità.

      La mia domanda più grossa che e rimasta lì fresca e presente nella mia mente per tanto tempo era:

      < Ma se non era con me nella cameretta, come fa a sapere se sono stato nel letto, il tempo giusto o di meno? >.

      Arrivavano poi di corsa le altre domande, sorelle della prima:

      < Come può se ho dormito oppure no? >

      < Come può sapere se devo ancora dormire? >

      Queste sono le mie prime domande di vita vissuta.

      Le prime che ricordo.

      Tutto capitava quando ero appena un po' più alto di uno sgabello di quelli attorno alla tavola della cucina, e tutto in casa era molto grande.

      Cosi come grande mi sembrava mio padre.

      Molto grande e molto forte, quasi un gigante.

      Un gigante buono.

      Quando mi prendeva tra le sue braccia, oppure veniva a giocare con me.

      Mi piaceva moltissimo, ma ogni tanto, mi chiudevo un po', perché le sue mani forti e ruvide, mi facevano male sulla pelle.

      Questo non diminuiva il mio desiderio di stare con lui.

      Anzi, il desiderio era sempre più forte ogni volta, perché mi sentivo sicuro, protetto, ma soprattutto, con la certezza di avere un aiuto forte vicino a me.

      Sempre pronto.

      Un aiuto sempre pronto, come quando non riuscivo a salire sullo sgabello per sedermi a tavola in cucina, e per me sembrava lo sforzo più grande del mondo, ma la sua mano sul mio sederino, quando meno me lo aspettavo, mi dava una spinta così dolcemente forte che mi sembrava di volare.

      Volevo stare sempre con lui.

      In qualsiasi momento.

      Come quando si faceva la barba e li restavo vicino nel bagno.

      In piedi, sul coperchio del wc e dalla prima pennellata di schiuma che si metteva sulla faccia, e fino all'ultimo passaggio della macchinetta in qui metteva la lametta, non mi muovevo e non toglievo mai lo sguardo dal suo viso.

      Osservavo con la più grande attenzione ed in silenzio assoluto, ogni movimento della sua mano.

      Quasi non respiravo.

      Sarei rimasto sempre con mio padre.

      Non capivo perché non era possibile, non capivo perché ogni giorno ci lasciava ed andava via. Capivo ancora meno quando questo succedeva di sera e appena lui usciva di casa, noi tre, mia mamma, mio fratello ed io, andavamo a dormire.

      Da soli.

      Non comprendevo perché non restava a dormire con noi ed ancora meno, comprendevo quello che succedeva ogni volta, prima che lui andava via.

      Eravamo tutti lì, nel’ ingresso, d'avanti alla porta di casa mentre si preparava, e prima di uscire, baciava me, poi mio fratello ed alla fine, mia mamma. Era una cosa tutta strana che non capivo.

      Come un rito.

      Ogni volta mi dava quattro baci.

      In fronte, sulla bocca, su una guancia e poi sull'altra guancia.

      In quei momenti, mi sembrava che fosse meno gigante del solito e non sapevo, non capivo il perché.

      Ho capito poi, crescendo, che ogni volta usciva per andare a lavorare ed ogni volta ci baciava a tutti con il segno della croce.

      Come se fosse per l'ultima volta che ci vedeva.

      Infatti capitava molto spesso, troppo spesso che mariti e padri uscivano di casa per andare a lavorare e non tornavano mai più.

      Era il prezzo che la miniera si faceva pagare.

      Mi sono sempre sentito fortunato, privilegiato, perché il mio papà e sempre ritornato a casa, fino al giorno in qui non e più andato via.

      Era arrivato il giorno della pensione.

      Soltanto da quel giorno in poi, ho vissuto finalmente in totale tranquillità.

      Quella tranquillità che ho sempre respirato in casa, come quando con le mie macchinine giocavo sui tappeti che coprivano il pavimento e passando indisturbato da una camera all'altra, facevo dei grandissimi viaggi conosciuti soltanto a me. Ricordo più di una volta le persone grandi della mia famiglia oppure ospiti, che per spostarsi all'interno della casa passavano con tanta attenzione sopra me, che in quel momento, mi trovavo sul loro cammino.

      Nessuno mi ha mai disturbato.

      Nessuno mi ha mai detto che stavo disturbando.

      A viaggio finito, portavo sempre tutte le macchinine nel loro garage, al proprio posto.

      Non erano tante.

      Semplici,


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