Ribelle, Pedina, Re . Морган Райс

Ribelle, Pedina, Re  - Морган Райс


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      “Può stare in piedi,” disse Sartes, e rapidamente aiutò il ragazzo ad alzarsi. “Guardi, sta bene. Sono stati solo i fumi.”

      Questa volta non si curò del soldato che lo colpiva, perché almeno significava che non stava colpendo l’altro ragazzo.

      “Tornate al lavoro allora, tutti e due. Avete già sprecato troppo tempo.”

      Si rimisero a raccogliere il catrame, e Sartes fece del suo meglio per raccoglierne quanto poteva, perché l’altro ragazzo non era ancora chiaramente abbastanza forte per fare molto.

      “Mi chiamo Sartes,” gli sussurrò, tenendo d’occhio le guardie.

      “Byrant,” rispose in un bisbiglio il ragazzo, anche se sembrava nervoso mentre lo faceva. Sartes lo sentì tossire di nuovo. “Grazie, mi hai salvato la vita. Se potrò mai sdebitarmi, lo faro.”

      Fece silenzio mentre le guardie passavano ancora lì vicino.

      “I fumi sono nocivi,” disse Sartes, più che per mantenere la conversazione che altro.

      “Ci divorano i polmoni,” rispose Bryant. “Anche alcune delle guardie muoiono.”

      Lo disse come se fosse normale, ma Sartes non poteva vederci nulla di normale.

      Guardò il ragazzo. “Non hai tanto l’aspetto di un criminale.”

      Vide un’espressione di dolore velargli il volto. “La mia famiglia… il principe Lucio è venuto alla nostra fattoria e l’ha bruciata. Ha ucciso i miei genitori. Ha portato via mia sorella. Mi ha mandato qui senza un motivo.”

      Era una storia fin troppo familiare per Sartes. Lucio era malvagio. Usava qualsiasi scusa per causare miseria. Faceva a brandelli le famiglie solo perché poteva.

      “E allora perché non cercare giustizia?” suggerì Sartes. Continuò a scavare catrame dalla fosse, assicurandosi che nessuna guardia venisse vicino.

      Il ragazzo lo guardò come se fosse matto. “E come potrei farlo? Sono una persona sola.”

      “La ribellione è ben più di una persona,” rimarcò Sartes.

      “Come se a loro interessasse quello che succede a me,” ribatté Bryant. “Non sanno neanche che siamo qui.”

      “Allora dovremo andare noi da loro,” sussurrò Sartes.

      Sartes vide i tratti del ragazzo segnati dal panico.

      “Non puoi. Se solo si parla di fuga, le guardie ti appendono sopra al catrame e ti ci calano un po’ alla volta. L’ho visto. Ci uccideranno.”

      “E cosa succederà se restiamo qui?” chiese Sartes. “Se oggi fossi stato incatenato a uno degli altri, cosa sarebbe successo?”

      Bryant scosse la testa. “Ma ci sono le fosse del catrame, e le guardie, e sono sicuro che ci siano anche delle trappole. E poi gli altri prigionieri non ci aiuterebbero mai.”

      “Ma adesso ci stai pensando, giusto?” chiese Sartes. “Sì, ci saranno dei rischi, ma un rischio è molto meglio che morire di sicuro.”

      “E come mai potremmo farlo?” chiese Bryant. “Ci tengono nelle gabbie di notte, e siamo incatenati tutto il giorno.”

      Per quello almeno Sartes una risposta ce l’aveva. “Allora scapperemo insieme. Troveremo il momento giusto. Fidati di me, so come cavarmi dalla brute situazioni.”

      Non disse che quello sarebbe stato peggio di tutto ciò che aveva già passato in passato, né fece sapere al suo nuovo amico quanto scarse fossero le probabilità. Non c’era bisogno di spaventare Bryant più di quanto già fosse, ma dovevano andarsene.

      Se fossero rimasti di più, lo sapeva, nessuno di loro due sarebbe sopravvissuto.

      CAPITOLO OTTO

      Tano si sentiva teso come un animale che sta per spiccare un salto mentre camminava in mezzo ai tre prigionieri, tutti diretti verso la fortezza che dominava l’isola. A ogni passo si trovava a cercare una via di fuga, ma con il terreno aperto e gli archi che avevano i suoi aguzzini, non ce n’erano.

      “Potrebbe anche sembrare ragionevole,” disse Elsio dietro di lui, “Non posso dire che il tuo destino sarebbe migliore venendo con noi, ma di certo durerai di più. Non c’è nessun posto dove fuggire sull’isola, eccetto che per gli Abbandonati, e io ti darei la caccia.”

      “Forse allora dovrei farlo e accelerare le cose,” disse Tano, cercando di mascherare la sua sorpresa riguardo alla facilità con cui quell’uomo aveva letto le sue intenzioni. “Una freccia nella schiena non dev’essere poi così male.”

      “Non peggio di una spada che ti infilza,” disse Elsio. “Oh sì, ne abbiamo sentito parlare anche qui. Le guardie ci portano notizie quando ci lanciano qui nuova gente da punire. Ma credimi, se ti do la caccia io, non ci sarà niente di rapido. E ora continua a camminare, prigioniero.”

      Tano ubbidì, ma sapeva di non poter percorrere tutto il tragitto fino alla parte dell’isola in cui si trovava la fortezza. Se l’avesse fatto, non avrebbe mai più rivisto la luce del giorno. Il momento migliore per la fuga era sempre presto, quando ancora si avevano le forze. Quindi Tano continuò a guardarsi in giro, cercando di valutare il terreno e il suo momento.

      “Non funzionerà,” disse Elsio. “Conosco gli uomini. So quello che intendono fare. È sorprendente quello che impari di loro mentre li fai fuori. Penso che in quel momento si veda la loro vera anima.”

      “Sai cosa penso?” chiese Tano.

      “Dimmelo. Sono sicuro che l’insulto porterà gioia alla mia giornata. E dolore alla tua.”

      “Penso che tu sia un codardo,” disse Tano. “Ho sentito parlare dei tuoi crimini. Una manciata di omicidi di persone che non avevano la forza di controbattere. Un po’ di tempo trascorso a capo di una banda di criminali che combattevano in vece tua. Sei patetico.”

      Tano sentì le risate alle sue spalle.

      “Oh, è questo il meglio che sai fare?” disse Elsio. “Sono offeso. Cosa stai cercando di fare, attirarmi vicino a te in modo da potermi colpire? Pensi davvero che sia così stupido? Voi due, tenetelo fermo. Principe Tano, se ti muovi, metterò una freccia in un punto molto doloroso.”

      Tano sentì le braccia delle due guardie avvolgersi attorno alle sue, tenendolo fermo al suo posto. Erano uomini forti, ovviamente abituati ad avere a che fare con prigionieri disobbedienti. Tano si sentì girare trovandosi faccia a faccia con Elsio, che stava tendendo l’arco perfettamente in posizione, pronto a tirare.

      Proprio come Tano aveva sperato.

      Tano si ribellò contro le guardie che lo tenevano fermo e sentì Elsio ridere.

      “Non mi dire che non ti avevo avvisato.”

      Sentì lo schiocco della corda dell’arco, ma lui non si stava sforzando di liberarsi nel modo in cui credevano. Invece si girò, trascinando una delle guardie nella traiettoria della freccia e sentendo l’impatto della punta contro il corpo dell’uomo. La freccia lo trafisse e finì per sporgergli dal petto.

      Tano sentì la presa allentarsi mentre la guardia afferrava la freccia, quindi non esitò. Attaccò l’altra guardia, gli strappò il coltello dalla cintura e spinse l’uomo contro Elsio. Con i due ingarbugliati tra loro, riuscì ad afferrare l’arco della guardia morente scoccando quante più frecce poteva mentre scappava.

      Tano zigzagò facendosi strada oltre delle rocce spezzate, correndo a tutta velocità verso il nascondiglio più vicino. Probabilmente gli salvò la vita il fatto che non cercò di correre ancora verso la sua barca, dirigendosi invece in mezzo agli alberi.

      “Non c’è niente da quella parte se non gli Abbandonati!” gli gridò dietro Elsio.

      Tano si abbassò mentre una freccia gli passava fischiando vicino alla


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