Il Dono Della Battaglia . Морган Райс

Il Dono Della Battaglia  - Морган Райс


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era una delle prove, uno dei momenti grandiosi della sua vita. Cercò di escludere il mondo e di concentrarsi interiormente. Sul suo allenamento. Su Argon. Su sua madre. Sui suoi poteri. Lui era più forte dell’universo, questo lo sapeva. C’erano dei poteri dentro di lui, poteri che andavano oltre il mondo fisico. Quella creatura era in questo mondo, ma i poteri di Thor erano superiori. Lui poteva convocare i poteri della natura, gli stessi poteri che avevano creato quella bestia, e rimandarla all’inferno da cui era venuta.

      Thor sentì il mondo che rallentava attorno a lui. Sentì il calore salirgli alle mani e diffondersi lungo le braccia, le spalle. Poi di nuovo un formicolio alla punta delle dita. Sentendosi invincibile Thor aprì gli occhi. Sentì un potere incredibile scorrergli dentro, il potere dell’universo.

      Thor allungò un braccio e posò una mano su un tentacolo della bestia e subito lo scottò. La bestia ritirò il tentacolo immediatamente lasciando la presa, come se fosse stata bruciata.

      Thor si mise in piedi, un uomo nuovo. Si voltò e vide la testa del mostro che si levava dal bordo della nave aprendo la mandibola e preparandosi ad ingoiarli tutti. Vide i suoi fratelli e sorelle della Legione scivolare, quasi trascinati oltre il bordo.

      Thor lanciò un forte grido di battaglia e si buttò contro la bestia. Si tuffò su di essa prima che potesse raggiungere gli altri, rinfoderando la spada e allungando invece i palmi ardenti. Afferrò con forza la testa del mostro e vi mise sopra le mani sentendo che così gli bruciava il muso.

      Thor tenne salda la bestia mentre questa strideva e si dimenava cercando di liberarsi dalla sua stretta. Lentamente, un tentacolo alla volta, la creatura iniziò ad allentare la presa attorno alla barca e Thor sentì i suoi poteri crescere dentro di sé. Tenne stretta la bestia e poi sollevò entrambe le mani sentendo il peso del mostro e sollevandolo sempre più su in aria. Presto la creatura si librò fra le sue mani mentre il potere di Thor lo faceva galleggiare in aria.

      Poi, mentre la bestia si trovava a una buona decina di metri sopra la sua testa, Thor si voltò e spinse la mani in avanti.

      La bestia volò in aria, al di sopra della nave, gridando e ruotando su se stessa. Sfrecciò in aria per una trentina di metri e alla fine si afflosciò. Cadde quindi in mare con un forte tonfo e affondò sotto la superficie.

      Morta.

      Thor rimase in silenzio, tutto il corpo ancora caldo. Lentamente, uno alla volta, gli altri si ripresero rimettendosi in piedi e raccogliendosi attorno a lui. Thor rimase fermo, con il fiatone, frastornato, guardando quel mare di sangue. Oltre, all’orizzonte, i suoi occhi si fissarono sul castello nero che troneggiava su quella terra. Il luogo che sapeva teneva rinchiuso suo figlio.

      Era giunto il momento. Ora non c’era nulla a fermarlo ed era finalmente ora di andare a recuperare suo figlio.

      CAPITOLO UNDICI

      Volusia si trovava di fronte ai suoi molti consiglieri tra le strade della capitale dell’Impero, fissando lo specchio con orrore. Osservò il suo nuovo volto da ogni angolazione: metà era ancora bellissimo mentre l’altra metà era sfigurato, sciolto, e la cosa le faceva ribrezzo. Il fatto che metà della sua bellezza fosse ancora presente peggiorava soltanto le cose. Sarebbe stato tutto più facile, si rendeva conto, se tutto il viso fosse stato sfigurato. Almeno non avrebbe ricordato nulla del suo aspetto precedente.

      Volusia ricordava il suo aspetto meraviglioso, la fonte del suo potere che l’aveva portata attraverso ogni evento della sua vita, che le aveva permesso di manipolare uomini e donne senza distinzioni, di far cadere gli uomini in ginocchio con un solo sguardo. Ora era tutto svanito. Ora era solo una ragazza di diciassette anni come tutte le altre, peggio ancora un mezzo mostro. Non poteva sopportare la vista del suo volto.

      In un’esplosione di rabbia e disperazione Volusia gettò lo specchio a terra e lo guardò andare in frantumi sulla strada linda della capitale. Tutti i suoi consiglieri rimasero lì in silenzio distogliendo lo sguardo, sapendo che era meglio non parlare in quel momento. Fu chiaro anche a lei, guardando i loro volti, che nessuno voleva più guardarla, nessuno voleva vedere l’orrore che ora appariva sulla sua faccia.

      Volusia si guardò attorno cercando i Voks, desiderosa di farli a brandelli, ma se n’erano già andati, erano scomparsi non appena avevano scagliato quell’orrendo incantesimo su di lei. Le avevano consigliato di non unirsi a loro e ora si rendeva conto che gli avvertimenti erano stati corretti. Aveva pagato un caro prezzo. Un prezzo che non le sarebbe mai stato restituito.

      Volusia voleva sfogare la sua rabbia su qualcuno e i suoi occhi si posarono su Brin, il suo nuovo comandante, un guerriero statuario che aveva solo pochi anni più di lei e che le faceva la corte da lune. Giovane, alto e muscoloso, aveva un aspetto mozzafiato e le era corso dietro per tutto il tempo fin da quando l’aveva conosciuta. Eppure adesso, con sua rabbia, non voleva neanche incrociare il suo sguardo.

      “Tu,” gli sibilò contro Volusia, capace a malapena di contenersi. “Adesso non mi guardi neppure?”

      Volusia avvampò quando lui sollevò la testa ma non incrociò il suo sguardo. Ora questo era il suo destino per il resto della sua vita, lo sapeva: sarebbe sempre stata guardata come qualcosa di strano.

      “Mi trovi disgustosa adesso?” gli chiese con voce rotta dalla disperazione.

      Lui tenne la testa bassa e non rispose.

      “Molto bene,” disse Volusia dopo un lungo silenzio, determinata ad eseguire la sua vendetta su qualcuno. “Allora ti ordino di guardare il volto che odi di più. Mi darai prova che sono bellissima. Dormirai con me.”

      Il comandante alzò lo sguardo e la guardò negli occhi per la prima volta con paura e orrore stampati in volto.

      “Mia dea?” le chiese con voce rotta, terrorizzata, sapendo che avrebbe dovuto affrontare la morte se le avesse disobbedito.

      Volusia sorrise, felice per la prima volta, rendendosi conto che si trattava di una vendetta perfetta: giacere con l’uomo che la trovava più ripugnante.

      “Dopo di te,” disse facendosi da parte e indicando la stanza.

      *

      Volusia si trovava di fronte alla grande finestra ad arco al piano superiore del palazzo della capitale dell’Impero e mentre il sole sorgeva e le tende le sfioravano il viso, piangeva in silenzio. Poteva sentire le lacrime che gocciolavano sulla parte buona del suo volto, ma non dall’altra parte, quella sciolta. Lì era insensibile.

      Un leggero russare risuonava nell’aria e Volusia si diede un’occhiata alle spalle vedendo Brin steso lì, ancora addormentato con il volto contorto in un’espressione di disgusto anche nel sonno. Aveva odiato ogni momento del suo incontro con lei, lo sapeva, e questo le aveva concesso una piccola vendetta. Ma ancora non si sentiva soddisfatta. Non poteva lasciarla passare liscia ai Voks e aveva necessità di vendicarsi oltre.

      Quello era un piccolo pezzo di vendetta, una minuscola parte di ciò che desiderava. I Voks del resto erano scomparsi mentre lei, la mattina successiva, era ancora viva, ancora incastrata con se stessa come sarebbe stata per il resto della sua vita. Imprigionata in quell’aspetto, in quel volto sfigurato che lei stessa non poteva sopportare.

      Volusia si asciugò le lacrime e guardò fuori, oltre il confine della città, oltre le mura della capitale, verso l’orizzonte. Mentre i soli sorgevano iniziava a vedere le deboli tracce degli eserciti dei Cavalieri del Sette, con i loro stendardi all’orizzonte. Erano accampati là fuori e stavano mettendo insieme i loro eserciti. La stavano lentamente circondando raccogliendo milioni di soldati da ogni angolo dell’Impero, tutti pronti ad invadere. Ad annientarla.

      Accettava il confronto. Non aveva bisogno dei Voks, lo sapeva. Non aveva bisogno di nessuno dei suoi uomini. Poteva ucciderli da sola. Dopotutto era una dea. Aveva lasciato il regno dei mortali da molto e ora era una leggenda, una leggenda che nessuno – nessun esercito al mondo – poteva fermare. Li avrebbe accolti da sola e li avrebbe uccisi tutti una volta per tutte.

      Poi alla fine non ci sarebbe stato più nessuno ad affrontarla.


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