Il Dono Della Battaglia . Морган Райс

Il Dono Della Battaglia  - Морган Райс


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nascosto il segreto, un segreto che potrebbe salvare questo posto e tutta questa gente.”

      “Sì, è così,” rispose inespressivo.

      Gwen fu presa alla sprovvista da quella immediata a schietta risposta e non sapeva come controbattere. Si era aspettata che avrebbe negato.

      “Davvero?” gli chiese strabiliata.

      Lui sorrise ma non disse nulla.

      “Ma perché?” gli chiese. “Perché non dovresti condividere questo segreto?”

      “E perché dovrei farlo?” chiese lui.

      “Perché?” ribatté lei di stucco. “Ovviamente per salvare questo regno, per salvare il suo popolo.”

      “E perché dovrei volerlo fare?” insistette lui.

      Gwen socchiuse gli occhi confusa: non aveva idea di come rispondere. Alla fine sospirò.

      “Il tuo problema,” continuò Eldof, “è che credi che tutti debbano essere salvati. Ma è qui che sbagli. Guardi il tempo attraverso le lenti di pochi decenni. Io lo guardo dal punto di vista di secoli. Tu guardi la gente come fosse indispensabile: io li vedo come ingranaggi nella grande ruota del destino e del tempo.”

      Fece un passo più vicino, con occhi sempre più perforanti.

      “Alcune persone, Gwendolyn, sono destinate a morire. Alcune persone devono morire.”

      “Devono morire?” chiese Gwen inorridita.

      “C’è bisogno che alcuni muoiano per liberarne di altri,” rispose lui. “Alcuni devono cadere così che altri possano elevarsi. Cosa rende una persona più importante di un’altra? Un luogo più importante di un altro?”

      Lei soppesò le parole, sempre più confusa.

      “Senza distruzione, senza spreco, la crescita non sarebbe possibile. Senza le sabbie vuote del deserto non ci possono essere fondamenta su cui costruire grandiose città. Cosa conta di più: la distruzione o la crescita? Non capisci? Cos’è la distruzione se non un fondamento?”

      Gwen, perplessa, cercava di capire, ma le sue parole non facevano che accrescere la sua confusione.

      “Quindi hai intenzione di startene da parte e lasciare che il Crinale e la sua gente muoiano?” chiese. “Perché? che bene te ne verrebbe?”

      Eldof rise.

      “Perché tutto dovrebbe sempre essere per un beneficio?” le chiese. “Non li salverò perché non sono destinati ad essere salvati,” disse con enfasi. “Questo posto, il Crinale, non è destinato a sopravvivere. È destinato ad essere distrutto. Questo re è destinato ad essere distrutto. Tutto questo popolo è destinato ad essere distrutto. E non sta a me mettermi sulla strada del destino. Mi è stato concesso il dono di vedere il futuro, ma è un dono di cui non abuserò. Non cambierò ciò che vedo. Chi sono io per mettermi sulla strada del destino?”

      Gwendolyn non poté fare a meno di pensare a Thorgrin e Guwayne.

      Eldof sorrise.

      “Ah sì,” disse guardandola. “Tuo marito. Tuo figlio.”

      Gwen lo guardò scioccata, chiedendosi come avesse potuto leggerle la mente.

      “Vuoi così tanto aiutarli,” aggiunse, ma poi scosse la testa. “Ma a volte non si può cambiare il destino.”

      Lei arrossì e scrollò via le sue parole, determinata.

      “Io cambierò il destino,” disse con enfasi. “A qualsiasi costo. Anche se dovessi rinunciare alla mia stessa anima.”

      Eldof la guardò a lungo, osservandola con attenzione.

      “Sì,” disse. “Lo farai, vero? Posso vedere questa forza in te. Lo spirito di un guerriero.”

      La scrutò attentamente e per la prima volta lei scorse un poca di incertezza nella sua espressione.

      “Non mi aspettavo di trovare qualcosa del genere in te,” continuò con voce più umile. “Ci sono pochi eletti, come te, che hanno il potere di cambiare il destino. Ma il prezzo che dovrai pagare sarà molto grande.”

      Sospirò, come scacciando una visione.

      “In ogni caso,” continuò, “non cambierai il destino qui, non nel Crinale. La morte sta sopraggiungendo. Ciò che serve loro non è di essere salvati, ma un esodo. Hanno bisogno di un nuovo capo che li conduca attraverso la Grande Desolazione. Penso tu già sappia che sei tu quel capo.”

      Gwen provò un brivido a quelle parole. Non poteva immaginarsi ad avere la forza di rifare tutto di nuovo.

      “Come posso guidarli?” chiese, esausta al solo pensiero. “E dove potremmo andare? Siamo nel mezzo del nulla.”

      Lui si voltò facendo silenzio e iniziando ad allontanarsi. Gwen provò un improvviso ardente desiderio di saperne di più.

      “Dimmi,” disse correndogli dietro e afferrandolo per un braccio.

      Lui si voltò e le guardò la mano, come se un serpente lo stesse toccando. Alla fine lei la tolse. Numerosi dei suoi monaci accorsero uscendo dall’ombra e si raccolsero attorno a loro, guardandola con rabbia. Alla fine Eldof fece loro un cenno ed essi si ritirarono.

      “Dimmi,” le disse. “Risponderò a una domanda. Solo a una domanda. Cosa desideri sapere?”

      Gwen fece un respiro profondo, disperata.

      “Guwayne,” disse senza fiato. “Mio figlio. Come posso riaverlo indietro? Come posso cambiare il destino?”

      Lui la guardò a lungo e con durezza.

      “La risposta è davanti ai tuoi occhi da tempo, eppure non la vedi.

      Gwen si scervellò, disperata di capire, eppure non poteva comprendere cosa fosse.

      “Argon,” aggiunse. “Rimane un segreto che ha avuto paura di rivelarti. È lì che si trova la tua risposta.”

      Gwen era scioccata.

      “Argon?” chiese. “Argon sa?”

      Eldof scosse la testa.

      “No. Ma il suo maestro sì.”

      A Gwen girava la testa.

      “Il suo maestro?” chiese.

      Gwen non aveva mai considerato che Argon avesse un maestro.

      Eldof annuì.

      “Chiedigli di portarti da lui,” disse con tono pregno di fatalità. “La risposta che avrai stupirà anche te.”

      CAPITOLO TREDICI

      Mardig camminava attraverso i corridoi del castello con determinazione e contemplava nella sua mente ciò che stava per fare. Allungò un braccio e con mano sudata afferrò il pugnale che teneva nascosto alla vita. Percorreva la stessa strada che aveva fatto milioni di volte prima d’ora, la strada che lo portava da suo padre.

      La camera del re non era più distante ormai e Mardig svoltava e girava lungo i familiari corridoi, oltre le guardie che si inchinavano con riverenza alla vista del figlio del re. Mardig sapeva di avere poco da temere da loro. Nessuno aveva idea di cosa stesse per fare e nessuno avrebbe saputo ciò che sarebbe successo se non dopo molto tempo dall’accaduto, quando il regno sarebbe già stato suo.

      Mardig sentiva un turbine di emozioni contrastanti mentre si sforzava di mettere un piede davanti all’altro, con le ginocchia tremanti, sforzandosi di essere risoluto e preparandosi a compiere il gesto che aveva pianificato per tutta la vita. Suo padre era sempre stato un oppressore per lui, lo aveva sempre disapprovato, apprezzando invece gli altri figli, i guerrieri. Approvava addirittura sua figlia più di lui. E tutto perché lui, Mardig, aveva deciso di non prendere parte a quella cultura della cavalleria; tutto perché preferiva bere vino e andare


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