Il Dono Della Battaglia . Морган Райс

Il Dono Della Battaglia  - Морган Райс


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si alzava dal letto gettando via le lenzuola e iniziando a vestirsi. Lo vide muoversi furtivamente, attento a fare piano, e si rese conto che intendeva scivolare fuori dalla stanza prima che lei lo vedesse, così da non essere costretto a guardarla in faccia. Questo unì ulteriore insulto alla già presente ingiuria.

      “Oh, comandante,” disse vagamente.

      Lo vide immobilizzarsi per la paura. Si voltò e la guardò controvoglia e lei gli sorrise torturandolo con il grottesco aspetto delle sue labbra deformi.

      “Vieni qui, comandante,” gli disse. “Prima che te ne vai c’è qualcosa che voglio mostrarti.”

      Lui si voltò e camminò lentamente attraversando la stanza e raggiungendola. Rimase lì vicino a lei guardando ovunque ma non il suo volto.

      “Non vuoi dare un piccolo bacio d’addio alla tua dea?” gli chiese.

      Lo vide rabbrividire, per quanto leggermente, e provò una fresca ondata di rabbia bruciarle dentro.

      “Non preoccuparti,” aggiunse con espressione di colpo più cupa. “Ma c’è almeno una cosa che voglio mostrarti. Dai un’occhiata. Vedi là fuori all’orizzonte? Guarda bene. Dimmi cosa vedi laggiù.”

      Lui si fece avanti e lei gli mise una mano sulla spalla. Lui si chinò in avanti ed esaminò con attenzione la linea dell’orizzonte aggrottando la fronte confuso.

      “Non vedo niente, mia dea. Niente di diverso dal solito.”

      Volusia sorrise sentendo il vecchio spirito di vendetta salire dentro di sé, sentendo il suo vecchio desiderio di violenza e crudeltà.

      “Guarda meglio, comandante,” disse.

      Lui si chino un po’ di più e con un rapido gesto Volusia lo afferrò per la camicia e con tutta la sua forza lo spinse dalla finestra.

      Brin gridò dimenandosi e volando in aria, cadendo per una trentina di metri fino ad atterrare morendo sul colpo nella strada di sotto. Il tonfo riverberò tra le strade altrimenti silenziose.

      Volusia sorrise guardando il suo corpo e sentendo finalmente un senso di vendetta.

      “Guardati,” rispose. “Chi fra noi due è il più grottesco adesso?”

      CAPITOLO DODICI

      Gwendolyn camminava attraverso i bui corridoi della torre dei Cercatori di Luce con Krohn al suo fianco, risalendo lentamente la rampa circolare che si dispiegava ai lati dell’edificio. La scala era fiancheggiata da torce e devoti al culto che stavano silenziosamente sull’attenti con le mani nascoste nelle loro tuniche. La curiosità di Gwendolyn si faceva man mano più profonda mentre continuavano a salire di un piano dopo l’altro. Il figlio del re, Kristof, l’aveva condotta per metà strada dopo il loro incontro, poi si era girato per scendere, dandole istruzioni su come completare la propria ascesa da sola per raggiungere Eldof, che poteva incontrare solo da sola. Per tutto il tempo che ne avevano parlato le era stato presentato come un dio.

      Un lieve canto riempiva l’aria pregna di incenso mentre Gwen saliva lungo la graduale rampa e si chiedeva: quale segreto sorvegliava Eldof? Le avrebbe dato la conoscenza di cui aveva bisogno per salvare il re e il Crinale? Sarebbe mai stata capace di recuperare la famiglia del re da quel posto?

      Quando ebbe svoltato un angolo, la torre improvvisamente si aprì davanti a lei e Gwen sussultò per ciò che vide. Entrò in una stanza altissima, con il soffitto a una trentina di metri e le pareti ricoperta da terra fino in cima di vetrate colorate. Una soffusa luce inondava la stanza colorandola di scarlatto, viola e rosa e donandole una qualità eterea. E ciò che rendeva il tutto ancora più surreale era un uomo seduto da solo in quel posto immenso, al centro della stanza, con una scia di luce che scendeva su di lui come ad illuminare lui e lui soltanto.

      Eldof.

      Il cuore di Gwen le batteva forte in petto vedendolo lì seduto dalla parte opposta della stanza, come un dio calato dal cielo. Sedeva lì con le mani raccolte nella sua tunica dorata e luccicante, la testa completamente calva e un enorme e magnifico trono fatto d’avorio con torce da entrambe le parti e una rampa di gradini che vi conduceva. Quella stanza, quel trono, i gradini che vi conducevano davano l’idea di avvicinarsi a ben più che un re. Gwen si rese subito conto perché il re si fosse sentito minacciato dalla sua presenza, dal suo culto, dalla sua torre. Era tutto disegnato per ispirare ammirazione e sottomissione.

      Non le fecce nessun cenno, né si accorse della sua presenza e Gwen, non sapendo cos’altro fare, iniziò a salire la lunga scala dorata che conduceva al trono. Camminando vide che dopotutto non era completamente solo là dentro, dato che oscurati dall’ombra si trovavano fedeli tutti allineati lungo la rampa, con gli occhi chiusi e le mani serrate nelle tuniche. Si chiese quante migliaia di seguaci avesse.

      Alla fine si fermò pochi metri davanti al suo trono e sollevò lo sguardo.

      Lui la guardava con il suo sguardo che sembrava antico, blu ghiaccio, luccicante, e mentre le sorrideva non dimostrava alcun calore. Erano occhi ipnotici. Le ricordava i momenti in cui si trovava in presenza di Argon.

      Non sapeva cosa dire mentre lui la guardava: sembrava che le stesse scrutando l’anima. Lei rimase lì in silenzio aspettando che fosse pronto e accanto a sé poté sentire Krohn che si irrigidiva, all’erta quanto lei.

      “Gwendolyn del Regno Occidentale dell’Anello, figlia di re MacGil, ultima speranza di salvezza per la sua gente e per la nostra,” disse lentamente, come se stesse leggendo alcuni antichi scritti, con la voce di una profondità mai sentita, come se provenisse dalla pietra stessa. Gli occhi di Eldof erano proiettati nei suoi e la sua voce era ipnotica. Mentre lo guardava Gwen perse ogni senso del tempo e dello spazio e si sentì da subito come risucchiata dal suo culto. Si sentiva in trance, come incapace di guardare da qualsiasi altra parte nonostante ci provasse. Si sentì subito come se lui fosse il centro del mondo e capì all’istante come tutta quella gente fosse giunta a venerarlo e seguirlo.

      Gwen lo fissò momentaneamente senza parole, una cosa che raramente le era capitata. Non si era mai sentita così rapita, lei che era stata dinnanzi a tanti re e regine, lei che era in prima persona una regina, lei che era figlia di un re. Quell’uomo aveva una qualità, qualcosa di difficile da descrivere: per un momento dimenticò addirittura perché era andata lì.

      Alla fine si ricompose e fu capace di parlare.

      “Sono qui,” iniziò, “perché…”

      Lui rise interrompendola, un suono breve e profondo.

      “So perché sei qui,” le disse. “Lo sapevo ancora prima di te. Sapevo del tuo arrivo in questo posto in effetti e lo sapevo prima che tu attraversassi la Grande Desolazione. Sapevo della tua partenza dall’Anello, del tuo viaggio alle Isole Superiori e dei tuoi viaggi attraverso l’oceano. So di tuo marito, Thorgrin, e di tuo figlio, Guwayne. Ti ho guardata con grande interesse, Gwendolyn. Ti guardo da secoli.”

      Gwen provò un brivido a quelle parole, anche per la familiarità di quella persona che non conosceva. Sentì un formicolio nelle braccia, lungo la spina dorsale, chiedendosi come potesse sapere tutto questo. Sentì da subito che si trovava nella sua orbita e che non sarebbe potuta fuggire anche se avesse provato.

      “Come fai a sapere tutto questo?” gli chiese.

      Lui sorrise.

      “Io sono Eldof. Sono tanto l’inizio quanto la fine della conoscenza.”

      Si alzò in piedi e Gwen fu scioccata di vedere che era alto il doppio di ogni uomo avesse mai incontrato. Fece un passo più vicino a lei scendendo la rampa e con gli occhi così ipnotizzanti che Gwen si sentì come incapace di muoversi in sua presenza. Era così difficile concentrarsi davanti a lui, pensare con la propria testa.

      Gwen si sforzò di fare chiarezza nella propria mente, di concentrarsi sugli affari di cui doveva trattare.

      “Il tuo re ha bisogno di te,” gli disse. “Il Crinale ha bisogno di te.”

      Lui


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