Il Sorriso Perfetto. Блейк Пирс
di servizio.
Jessie avvertì un’esplosione di adrenalina generata dall’ansia che le fece sentire un formicolio alle dita. Ricordando a se stessa di restare concentrata, si inginocchiò a terra e perlustrò la stanza con lo sguardo mentre aspettava che il suo corpo ritrovasse la calma. Le ci volle meno tempo di quanto credesse.
Senza nessuno in vista, sfrecciò fuori e afferrò la pistola. Guardando in basso vide una scia di impronte insanguinate che si allontanavano dal corpo dell’agente e andavano in direzione dell’adiacente sala da pranzo. Restando accucciata dietro al divano, Jessie avanzò fino a quando poté vedere chiaramente dentro alla stanza.
Lì c’era un altro agente steso a terra. Questo era a faccia in giù, con una chiazza di sangue che si stava rapidamente allargando, riversandosi dal collo e formando una pozza attorno a volto e busto.
Jessie si sforzò di non restare imbambolata a guardare mentre seguiva le impronte che dalla sala da pranzo andavano alla veranda che poi portava alla piscina sul retro. La porta scorrevole era aperta e una leggera brezza spingeva le tende verso l’interno, facendole gonfiare.
Jessie controllò la stanza. Era vuota, quindi lei si portò fino alla porta scorrevole e sbirciò fuori. Si vedeva un corpo in uniforme che galleggiava a faccia in giù nell’acqua, che stava rapidamente prendendo una tinta rosata. Fu a quel punto che sentì qualcuno schiarirsi la gola alle sue spalle.
Ruotò su se stessa, armando al contempo la pistola. Di fronte a lei, dalla parte opposta della stanza, c’erano sia Bolton Crutchfield che suo padre, Xander Thurman, che sembrava in ottima forma, considerato che solo poche settimane prima era stato colpito da degli spari al ventre e alla spalla, che aveva probabilmente il cranio fratturato e che era saltato giù dal quarto piano. Entrambi gli uomini erano armati di lunghi coltelli da caccia.
Suo padre sorrise mentre scandiva silenziosamente con le labbra la parola “farfallina”, il suo nomignolo di bambina. Jessie sollevò la pistola e si preparò a sparare. Mentre le sue dita si apprestavano a premere il grilletto, Crutchfield parlò.
“Ti avevo promesso che ci saremmo rivisti, signorina Jessie,” le disse, l’atteggiamento pacifico come quando le aveva parlato attraverso la spessa barriera di vetro nella sua cella.
Le sue settimane di libertà non l’avevano reso meno morbido. Alto un metro e settanta o poco più e con un peso di forse settanta chili, era meno fisicamente prestante di Jessie. La sua faccia paffuta lo faceva sembrare più giovane di una decina d’anni, rispetto ai trentacinque che effettivamente aveva. I suoi capelli castani ordinatamente pettinati con la riga in parte le ricordavano i ragazzi del club di matematica alla scuola media. Solo i suoi freddi occhi castani lasciavano trasparire ciò di cui era realmente capace.
“Pare che tu ti sia messo con brutta gente,” disse Jessie con voce purtroppo tremante, accennando con un movimento del capo a suo padre.
“È questo che adoro di te, signorina Jessie,” disse Crutchfield con tono ammirevole. “Non ti tiri mai indietro, neanche quanto ti trovi in una situazione senza speranze.”
“Credo che si possa riformulare la frase,” sottolineò Jessie. “Siete venuti entrambi a uno scontro a fuoco, armati di coltelli.”
“Che maliziosa,” si meravigliò Crutchfield, girandosi verso Thurman per avere la sua conferma.
Suo padre annuì, sempre in silenzio. Poi entrambi gli uomini riportarono l’attenzione su di lei. Contemporaneamente, i loro sorrisi svanirono.
“È l’ora, signorina Jessie,” disse Crutchfield mentre entrambi gli uomini le si avvicinavano in tandem.
Lei sparò prima a suo padre, tre colpi al petto, prima di portare l’attenzione su Crutchfield. Senza esitare, gli piantò altri tre proiettili nel torso. L’aria era pregna di fumo acre e dell’eco degli spari.
Ma nessuno dei due uomini si fermò né rallentò. Com’era possibile? Anche con dei giubbotti antiproiettile, avrebbero dovuto quanto meno barcollare.
Aveva finito i colpi, ma tirò lo stesso il grilletto, insicura su cos’altro fare. Mentre i due avanzavano verso di lei con i coltelli sollevati sulle loro teste, Jessie gettò via la pistola e si mise in posizione di difesa, completamente consapevole che si trattava di una mossa inutile. I coltelli scesero su di lei, netti e veloci.
*
Con un sussulto Jessie si mise a sedere di scatto sul letto. Era madida di sudore e respirava affannosamente. Guardandosi attorno nella stanza, vide che era sola. I balconi delle finestre erano ancora ben chiusi per evitare l’ingresso di chiunque. La porta della sua camera aveva ancora la sedia incastrata sotto alla maniglia come ulteriore precauzione di sicurezza. L’orologio segnava le 1:39 di mattina.
Si sentì qualcuno bussare debolmente alla porta.
“Tutto bene là dentro, signorina Hunt?” chiese l’agente federale. “Ho sentito un rumore.”
“Solo un brutto sogno,” disse lei in risposta, non vedendo alcun motivo per cui dover mentire su ciò che lui probabilmente già sospettava.
“Va bene. Mi faccia sapere se le serve qualcosa.”
“Grazie,” rispose Jessie, ascoltando il familiare scricchiolio delle tavole del pavimento sotto alla moquette mentre l’uomo si allontanava.
Fece scivolare le gambe fuori dal letto e si sedette tranquilla per un momento, permettendo al battito del suo cuore e al respiro di tornare alla normalità, o quasi. Si alzò in piedi e andò verso il bagno. Ci voleva una doccia, come anche un cambio delle lenzuola bagnate.
Mentre attraversava la stanza, non poté fare a meno di guardare verso l’unica finestra con i balconi leggermente aperti per lasciar entrare un po’ di luce. Le parve di vedere la sagoma di qualcuno all’ombra degli alberi oltre la piscina. Anche dopo essersi assicurata che si trattava di un tronco o di un agente, continuò a sentirsi inquieta.
Là fuori da qualche parte c’erano due serial killer a piede libero. Ed entrambi la stavano cercando. Non c’era modo di aggirare il fatto che anche in una casa messa in totale sicurezza con tutte queste protezioni, lei era un facile bersaglio.
*
Gabrielle e il suo partner della serata, Carter, ritornarono a casa dopo le 2. Erano entrambi un po’ brilli e lei dovette ricordargli di tenere la voce bassa per non svegliare Claire. Attraversarono barcollanti il corridoio e arrivarono alla camera da letto, dove si diedero un lungo bacio. Gabby si tirò indietro un momento per guardarlo e gli rivolse il suo più seducente sorriso. Lui le sorrise a sua volta, anche se non con troppo slancio. Le piaceva. Era più grande di lei, sui quarantacinque anni, e quindi in grado di controllare il suo entusiasmo molto meglio del ragazzetto ricco e tutto tecnologia con il quale stava uscendo.
Aveva un aspetto elegante e distinto e le ricordava in qualche modo alcuni degli amici di suo padre, quelli che le lanciavano occhiate furtive quando pensavano che lei non se ne accorgesse. L’uomo aspettò che fosse lei a riprendere il bacio. Quando Gabby si ritrasse con atteggiamento canzonatorio per vedere quale sarebbe stata la sua reazione, lui finalmente parlò.
“Hai un bel posticino qui,” le disse sussurrando con tono derisorio.
Se va tutto bene, per un po’ mi aiuterai a pagarne le spese.
Riuscì a tenere per sé quel pensiero e gli rispose con un meno opportunistico “Grazie. C’è una parte che sono particolarmente ansiosa di farti vedere.”
Finì la frase indicando con un cenno del capo il letto.
“Dici che dovrei dare un’occhiata? Ho come la sensazione che una visita guidata sarebbe la migliore soluzione.”
“Perché non ti metti comodo lì? Faccio un rapido passaggio in bagno per darmi una rinfrescata e ti raggiungo in un momento.”
Carter sorrise e andò verso il bordo del letto. Mentre si levava le scarpe e iniziava a sbottonarsi la camicia, Gabby si diresse verso il bagno che condivideva con l’amica.