Il Sorriso Perfetto. Блейк Пирс
in moto e seguì le sue istruzioni. Avvisò via radio gli altri agenti per metterli a conoscenza del piano e disse loro di restare sulla strada principale.
In effetti lo stretto viale era bloccato da macchine di pattuglia da entrambi i lati. Loro passarono oltre e uscirono. Murph e Dolan mostrarono i badge all’agente più vicino, che li lasciò passare senza chiedere il documento né di Toomey, né di Jessie, che era ovviamente riluttante a rivelare la propria identità a chiunque, anche a un poliziotto.
Entrarono a piedi dal cancello sul retro e salirono i gradini del portico fino all’ingresso, dove un altro agente chiese le loro generalità. Questo era più riluttante a farli passare senza vedere i documenti di ciascuno. Ma Dolan si chinò in avanti e sussurrò all’orecchio dell’uomo qualcosa che Jessie non poté sentire. L’uomo annuì e fece un passo indietro per farli entrare.
Mentre varcavano la soglia, Jessie cercò di eliminare dalla propria testa tutti gli intoppi della mattinata per concentrarsi solo su ciò che la circondava. Ora si trovava impegnata in un caso e la vittima, chiunque essa sia, meritava tutta la sua attenzione.
La porta sul retro si apriva sulla cucina, che era in stile contemporaneo e ben fornita dei più moderni elettrodomestici. In effetti tutto sembrava così nuovo e intatto da sembrare che ogni cosa fosse stata messa a nuovo negli ultimi sei mesi. Qualcosa di quel posto le ricordava le ville nuove di zecca di tutte quelle ricche coppie della contea di Orange, dove lei aveva brevemente vissuto prima di venire a sapere che il suo attuale ex-marito, Kyle Voss, era un violento sociopatico.
“Chi vive qui?” chiese senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Nell’angolo c’era agente in uniforme dall’aspetto giovane e con i capelli biondi che sentendola venne loro incontro.
“Pensavo che i detective avessero finito,” disse.
“L’FBI sta dando una mano,” spiegò Dolan, mostrando il suo cartellino e guardando la targhetta con il nome del giovane agente. “Può dirci qualcosa, agente Martin?”
“Sì, signore,” rispose Martin. “La casa è affittata a due donne. Gabrielle Cantu e Claire Stanton. La Stanton è la vittima. Aveva ventitré anni. È stata trovata questa mattina presto dalla Cantu e dall’uomo con cui era uscita.”
“Dove si trova ora la Cantu?” chiese Jessie.
“A casa dell’uomo,” rispose l’agente Martin. “Vive subito dopo la collina fuori da Mulholland Drive. La ragazza non ha familiari in città, quindi lui si è offerto di ospitarla fino a che non si sentirà meglio. È chiaro che non si senta a suo agio all’idea di tornare qui, e non lo sarà per un bel po’.”
“Dove è stata trovata la Stanton?” chiese Dolan.
“Nel bagno,” disse Martin. “Vi faccio vedere.”
Mentre faceva strada lungo il corridoio, Jessie notò che gli agenti federali Murph e Toomey stavano a distanza. Sembravano meno interessati ai dettagli del caso che a osservare tutti gli altri – agenti, gente presente sulla scena del crimine – all’interno della casa. Anche in una casa piena di agenti di polizia, tutto era considerato come potenziale minaccia per un testimone sotto protezione, nella fattispecie lei.
Jessie si chiese di che genere di affari si occupassero Gabrielle e Claire per potersi permettere di affittare un posto come quello ad appena vent’anni. Pensò che fossero entrambe impiegate in aziende di alto livello.
Ma la sua esperienza maturata fino ad ora in questo lavoro le diceva che era più probabile che fossero modelle o beneficiarie di fondi fiduciari. Poteva anche darsi che fossero attrici. E anche se era uno stereotipo, il fatto che abitassero nella San Fernando Valley aumentava le possibilità che si esibissero in spettacoli di varietà per adulti.
Il salotto aveva un grande televisore mega-schermo con altoparlanti per il dolby surround, poltrone in pelle e un angolo bar. Quando imboccarono il corridoio che portava alle camere, Jessie notò che non c’era molto da dire in materie di pezzi d’arte. C’erano gingilli e dispositivi tecnologici, ma niente che suggerisse che le tenutarie avessero investito a lungo termine sulla casa.
Quando raggiunsero la prima camera da letto, l’agente Martin si fermò.
“Questa era la stanza di Claire Stanton,” disse. “Il bagno la collega alla camera dell’altra ragazza. È così che l’ha trovata. La Stanton era nella vasca.”
“La squadra che si occupa della scena del crimine ha finito qui?” chiese Jessie. “Va bene se entriamo?”
“Sì. Il corpo è stato portato via. Se vuole le posso far mandare le foto dall’investigatore della scena del crimine.”
“Grazie,” rispose Jessie, entrando nel bagno.
Il corpo era stato anche portato via, ma i resti della carneficina erano ancora lì. Mentre il resto del bagno appariva intatto, la vasca, un modello in stile antico, posizionata al centro, era ricoperta di sangue, la maggior parte del quale si era raggrumato in una pozza scura e viscosa vicino al buco di scolo.
Mentre Jessie studiava la scena, le foto le arrivarono sul telefono dal CSI. Lei le aprì mentre Dolan, che aveva ricevuto lo stesso messaggio, faceva la stessa cosa con il suo telefono.
Nella prima immagine il corpo di Claire Stanton si vedeva steso nella vasca, a faccia in su, con un braccio allungato fuori dal bordo. Aveva gli occhi sgranati e il sangue le scendeva dal collo, ricoprendole il petto e buona parte del volto.
Ciononostante, si vedeva che la ragazza era bella, anche più delle camionate di bellocce che aspiravano a Hollywood. Bionda e piccolina, con gambe e braccia toniche e abbronzate, assomigliava alla cheerleader principale di una grossa università.
Altre fotografie mostravano particolari del collo e delle ferite inferte. Anche se era difficile esserne sicuri, una prima ispezione dei tagli, irregolari e sbrindellati, dava l’impressione che non fossero stati causati da coltelli. Se Jessie avesse dovuto indovinare, avrebbe detto un cacciavite o…
“Chiavi,” disse Dolan.
“Cosa?” chiese l’agente Martin dall’angolo della stanza.
“Queste ferite al collo, sembrano fatte con delle chiavi lunghe. Gli operatori che hanno lavorato sulla scena del crimine hanno detto qualcosa al riguardo?”
“Non ero nei paraggi mentre stavano valutano la scena, agente,” ammise.
“Penso che tu abbia ragione,” disse Jessie. “È come se i colpi fossero arrivati da diverse angolazioni, affondando a profondità differenti, quasi come se l’aggressore tenesse in mano diverse chiavi e gliele abbia piantate tutte nel collo contemporaneamente.”
“Non sapevo che avessi un addestramento in analisi della scena del crimine,” disse Dolan, inarcando le sopracciglia scettico.
“Non ce l’ho. Ma ho imparato a vedere quello che ho davanti agli occhi,” ribatté lei. “E ho anche una certa esperienza in aggressioni con armi da taglio. Cosa più importante, ho una formazione in comportamento psicologico. E sulla base delle immagini preliminari che abbiamo qui, direi che stiamo probabilmente trattando una scena di crimine passionale, piuttosto che un’aggressione premeditata.”
“Come fai a dirlo?” chiese Dolan, senza mettersi a discutere.
“È difficile immaginare che uno premediti di scegliere le chiavi come metodo d’attacco. È un casino e non è certo uno strumento sicuro in termini di efficacia. A me sembra più una cosa improvvisata.
“Un crimine passionale?” ripeté Dolan con tono canzonatorio.
“È un cliché, ma sì.”
“Questo non dà grosso sostegno della teoria che si sia tratto di Crutchfield o di Thurman,” puntualizzò lui. “Da quello che ho capito, sono entrambi piuttosto meticolosi.”
“Sono d’accordo che in questo modo la cosa appaia meno probabile.”
“Quando è arrivata la