Regno Diviso. Джек Марс

Regno Diviso - Джек Марс


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in sala operativa. C’era un generale del Joint Special Operations Command. Lui ha detto che pensano che lo schianto aereo sia il preludio di qualcosa di più grosso, e forse persino un diversivo. Può essere che Boudiaf parta perché il prossimo attentato avverrà qui?”

      “Non ti piacerebbe saperlo?”

      Luke annuì. “Recuperiamolo. Possiamo farci aiutare dalle forze dell’ordine locali?”

      Trudy scosse la testa. I capelli le si agitarono leggermente. “Impossibile. Troppo rischioso. Il dipartimento di polizia di Baltimora al momento sta cercando di sopravvivere a molta cattiva pubblicità. Assurdo che ci diano un mandato di arresto sulla base di quello che abbiamo, soprattutto con un preavviso di un attimo. Quindi la polizia di lì qui non ci metterà le mani – è esattamente il tipo di cosa che, se giocata male, pare una violazione dei diritti umani.”

      “Be’, allora giochiamocela bene. Quante persone ci sono in casa di Boudiaf?”

      “Sette.”

      A Luke crollarono le spalle. “Sette persone?”

      Trudy annuì e sollevò le sopracciglia. “Boudiaf ha una moglie giovane e una figlia di cinque anni. Ha un figlio adulto avuto da un matrimonio precedente, che vive in casa con sua moglie e suo figlio piccolo. E lì vive anche il nipote adulto di Boudiaf.”

      “Quindi nella casa vivono due bambini?”

      “Sì, e probabilmente oggi saranno a casa per via della neve.”

      Luke alzò gli occhi al cielo. “Fantastico. In più altri due maschi adulti.”

      “Sì,” disse Trudy.

      “Cosa presumiamo che stia facendo adesso Boudiaf?”

      “Dati gli orari che tende ad avere, presumiamo che stia dormendo.”

      “Allora andiamo. Se non ti spiace, da’ a Swann un calcio nel culo da parte mia e fallo venire qui.”

      * * *

      “Un bello sforzo adesso. Un bello sforzo. Adesso è ora, e tocca a te.”

      Ed Newsam giaceva sulla schiena sotto alla panca piana. Aveva le gambe come tronchi avvolte in pantaloni della tuta neri e sull’ampio petto una t-shirt nera tutta tirata. Le parole erano stampate sulla maglietta in lettere bianche: BOTTE E ANCORA BOTTE. Una volta il detto era ‘Botte e ancora botte finché non ti migliora l’umore’, ma l’umore di Ed era a posto così.

      Il suo MP3 sparava vecchi pezzi dei Public Enemy in vecchie cuffie. Aveva il corpo zuppo del sudore del primo mattino – si trovava lì dalle sei e mezza. E aveva sistemato la panca piana sui centosettanta. Una sola ripetizione buona era tutto quello che chiedeva. Meglio che buona – pura, perfetta, nessuna esitazione nel sollevamento e una bella, lunga, resistenza negativa per scendere. Roba da fargli esplodere il sudore fuori dai pori.

      “Mostrami quello che hai,” disse a nessuno tranne che a se stesso, e spinse la sbarra. Il peso scivolò verso l’alto, centimetro dopo centimetro. Lo tenne per un secondo in cima, poi cominciò la lenta discesa. Le braccia gli tremavano in modo assurdo. I polsi scrocchiavano come se si stessero per spezzare a metà. Le vene delle braccia sporgevano. Sentiva il sangue salirgli alla testa – pareva che gli potesse esplodere il cervello.

      Finalmente, lasciò andare – il peso atterrò con uno schianto metallico.

      Bellissimo.

      Ed stava cambiando stile di vita. Il recente viaggio in Iran fatto con Luke Stone lo aveva spaventato un po’. Lui e Stone erano quasi morti una mezza dozzina di volte. Ed non voleva morire – voleva vivere per veder crescere le sue due figlie. Ma aveva trentasei anni, e non stava certo ringiovanendo. Non lo aveva detto a nessuno, ma la verità era lì: in quella missione si era sentito vecchio e lento.

      Eppure, non voleva smettere di lavorare sul campo. Durante il periodo alla squadra Recupero ostaggi dell’FBI, avevano cominciato a usarlo come allenatore e supervisore invece che come agente e operativo. Brutta piega.

      Questa… questa era la piega giusta.

      Subito dopo le vacanze aveva ridotto, e poi eliminato, pane e pasta e torte di mele e biscotti. Aveva rotto col suo primo vero amore, McDonald – non parlavano più la stessa lingua. E si era impegnato a recarsi in palestra prima del lavoro almeno tre giorni a settimana. I suoi allenamenti erano sempre stati brutali. Adesso si stavano avvicinando alla mostruosità.

      Adorava stare lì.

      Adorava essere di nuovo allo Special Response Team, e adorava quello che avevano fatto col vecchio posto sotto la leadership di Stone. La palestra era nuova di pacca e c’era tutto ciò di cui aveva bisogno, dalle corde da combattimento alle sbarre per trazioni a una macchina per gli squat da centottanta chili a un sacco da boxe. Se arrivava abbastanza presto, spesso il posto era tutto suo.

      L’energia del nuovo SRT faceva provare a Ed un entusiasmo che non sentiva da un po’. E Stone sembrava stracontento come lui. Erano spariti la barba e i capelli da macho dandy. Erano spariti gli occhi spiritati e le espressioni sofferenti.

      Luke non si era mai lasciato andare fisicamente – era sempre al massimo in quel frangente, meglio di quanto un uomo avesse diritto di aspettarsi una volta passati i quaranta. La sua resistenza all’invecchiamento fisico sembrava quasi sovrumana. Ma la fine del matrimonio, il divorzio e poi la morte dell’ex moglie lo avevano ficcato in un deserto psicologico, e per un po’ era sembrato che potesse non fare più ritorno.

      Però adesso era tornato. E andava a fuoco. Era un bene. L’impegno di Stone dava a Ed la fiducia di cui aveva bisogno per impegnarsi nell’organizzazione. L’SRT non sarebbe sopravvissuto senza uno Stone concentrato al cento per cento, e questo era Stone adesso. Quando Ed aveva accettato il lavoro, Stone gli aveva promesso che non sarebbe sparito di nuovo dai radar, e finora aveva tenuto fede alla parola.

      “Pensi al diavolo…,” disse Ed.

      Stone era appena entrato in palestra. Attraversò a grandi falcate la nuova pavimentazione di gomma puntando dritto a Ed. Stone si era appena fatto la barba ed esibiva un taglio a spazzola. Aveva gli occhi svegli e in allerta. Indossava pantaloni marrone chiaro e una camicia chiusa da una cravatta vera. La cravatta aveva su una caricatura di John Lennon – Stone stava persino sviluppando uno stile personale. Indossava abiti formali al lavoro, ma le cravatte spesso erano estrose, e a volte chiaramente ridicole.

      Stone sorrise e gli disse qualcosa.

      Ed si tolse le cuffie. “Prego? Non ti ho sentito.”

      Stone scosse la testa. “Ho detto, cosa strilli?”

      Ed fece una smorfia. “No che non l’hai detto.”

      Stone rise. “Dai, bello. Ti offro un caffè? Abbiamo molto di cui parlare.”

      * * *

      “Come stanno le ragazze?” disse Luke.

      Si erano accomodati alla mensa a pieno servizio, due pasti al giorno, dell’SRT. Era stata un’idea di Luke – gli pareva che avere i pasti disponibili sul posto avrebbe fatto venire le persone al lavoro prima al mattino, e che le avrebbe tenute lì a pranzo. Se la gente si trovava all’interno del quartier generale dell’SRT quando mangiava, e persino quando faceva ginnastica, potevano accadere cose – potevano scintillare idee, crearsi collegamenti. Era questo che Luke voleva dai suoi.

      Finora l’idea funzionava esattamente come da programma. Oggi era una giornata di nevicate, ed erano solo le sette e mezza. E comunque la sala era già un andirivieni di sgobboni che facevano colazione.

      Ed fece spallucce. “Bene. Crescono troppo in fretta.” Era stravaccato sulla sedia, ancora con la tuta, a mescolare olio di cocco biologico nel caffè al posto della panna.

      “Cassandra mi fa fare i salti mortali per vederle, ma non è una novità. Nulla che non possa gestire. Ha presentato una mozione al tribunale per costringermi a rivelare dove mi trovo in qualsiasi momento. Io ho detto che spesso si tratta di informazioni


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