Regno Diviso. Джек Марс

Regno Diviso - Джек Марс


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“Aspettava lui?”

      Luke annuì.

      Si portò una mano a lato del viso, come per impedire a Gunner di sentire quello che diceva. “È bello.”

      Adesso sorridevano tutti. “Forse un po’ giovane, però,” disse Luke.

      Fece l’occhiolino a Gunner. “Ok. Posso aspettare. Pronti per ordinare?”

      Ordinarono uova, pancake, salsiccia, tutto quanto. Gunner prese il succo d’arancia. Luke si attenne a una tazza di caffè senza fondo. Poi si acclimatarono. Luke l’orario lo sentiva, ma d’altra parte era sveglio e al lavoro da prima delle cinque del mattino, e che cosa c’era di più importante di un po’ di tempo con suo figlio?

      “Ho visto lo schianto aereo al notiziario stamattina,” disse Gunner senza preamboli. “È rimasto ucciso un deputato americano.”

      Luke annuì. “Sì. Brutta cosa.”

      “Vai lì?”

      “In Egitto?” disse Luke.

      Gunner scrollò le spalle. “Boh. Ovunque sia stato lo schianto.”

      “È stato in Egitto,” disse Luke. “Non so se andrò lì. Non me l’ha chiesto nessuno. E non c’è necessariamente una ragione per cui ci vada.” Luke riusciva a sentire l’evasività della sua risposta. “Stanno ancora indagando sulle ragioni.”

      Gunner scuoteva la testa. “Il programma che ho visto diceva che probabilmente è stato un attentato terroristico. Il conduttore diceva di esserne sicuro al novantanove per cento.”

      Luke sorrise di nuovo. Il sorriso era un po’ più mesto di quello precedente. “Be’, se un conduttore televisivo dice di essere sicuro al novantanove per cento di una cosa, allora deve essere vera.”

      “Prenderesti in considerazione l’idea di non andare, se te lo chiedessi io?”

      Luke annuì. “Lo prenderei in considerazione. Ma ti chiederei anche di capire che ho un lavoro da fare.”

      “Papà, e se ti dicessi che voglio entrare nell’esercito?”

      Ecco com’era quel ragazzo. Aveva una mente sveglia, che prendeva deviazioni brusche. A volte era difficile sapere che cosa ci fosse dietro il prossimo angolo.

      “Be’, ti direi che, se fra cinque anni la pensi ancora così, allora ti aiuterei a scandagliare le opzioni a tua disposizione. Ma vorrei anche scandagliare le tue motivazioni. Ci sono modi più semplici di mettersi in forma. E se pensi di volerlo fare perché sembra uno spasso, posso dirti subito che non lo è. L’idea di spasso salterà dritta fuori dalla finestra la prima volta che un sergente istruttore ti urlerà addosso standoti col fiato sul collo durante una corsa di dieci miglia prima di colazione, o la prima volta che ti ritroverai a faccia in giù nel freddo fango mentre ti sfilano proiettili veri sopra la testa. E la prima volta che i cattivi veri cercheranno di ucciderti usando metodi innovativi e sorprendenti di cui mai si era parlato durante l’addestramento? Non sarà uno spasso.”

      Gunner scosse di nuovo la testa. In volto aveva il fantasma di un sorriso. “Lo farei perché così tu puoi preoccuparti per me tanto quanto io mi preoccupo per te.”

      Fine. Dei. Giochi.

      Luke rimase temporaneamente senza una risposta. Quel ragazzino era capace di questo e altro.

      “Comunque, ecco una buona notizia,” disse Gunner cambiando istantaneamente argomento. Era capace di fare anche questo – metterti in posizione disperata e poi improvvisamente lasciarti andare. Era un po’ un gioco del gatto col topo.

      “Racconta,” disse Luke.

      “Lo sai che la nonna e il nonno adorano sciare. Be’, andiamo nell’appartamento che hanno in Colorado per qualche giorno. Quindi sarà bello. Sciare mi piace.”

      Luke annuì. Non riusciva a immaginare quanto riuscissero a sciare a questo punto i genitori di Rebecca, ma vabbè. “Quando partite?”

      “Stasera,” disse Gunner. “Quindi perdo un altro giorno di scuola. Lo sai come sono. Pensano che la scuola sia per i poveri.”

      Luke sorrise. Gunner aveva intuizioni affilate come rasoi. Era come se potesse farsi strada nella mente della gente per darci un’occhiatina. Luke ripensò a Boudiaf, che cercava disperatamente di far lasciare la città alla famiglia. La famiglia di Luke – una sola persona – se ne andava, guarda caso. Era proprio un bene. Qualsiasi cosa dovesse accadere, almeno Gunner non sarebbe stato nelle vicinanze.

      Oltre, sullo schermo televisivo apparve il viso di Susan. La telecamera si allontanò per fare una panoramica, prendendola a figura intera, lì sul palco. Indossava ancora il tailleur azzurro della mattina. Con la mente, Luke se la immaginò scendere dal letto nuda, nell’oscurità che precede l’alba, per affrontare un’altra giornata provante. Sospirò.

      Sullo schermo, Susan era più bella che mai, forse meno formale che in passato. Meno presidenziale? Si poteva dire così. La telecamera si allontanò ulteriormente, mostrando la sala stampa gremita della Casa Bianca.

      Luke fissò la stanza. Venne inondato da sensazioni, ed era importante non distogliere lo sguardo. Quella era la stanza in cui si era preso un proiettile per Susan e in cui era stata assassinata Marybeth Horning. Per un istante, Luke vide la testa della Horning saltare per aria, e gli venne il prurito al fianco nel punto in cui era penetrato il proiettile.

      Susan stava per parlare.

      Gli occhi di Gunner saettavano avanti e indietro tra la tv e la faccia di Luke.

      “Ami Susan?” disse.

      “Questa è una domanda difficile a cui rispondere,” disse Luke. “Siamo entrambi adulti. Abbiamo avuto entrambi alti e bassi. Abbiamo entrambi lavori impegnativi – lei probabilmente ha il lavoro più impegnativo del mondo intero.”

      “La ami come amavi la mamma?”

      Luke allora guardò Gunner. Scosse lentamente la testa. “Non amerò mai nessuno come amavo tua madre. Tranne te. A te voglio bene alla stessa maniera.”

      Annuì alla verità di quello che aveva appena detto. Qualsiasi cosa avessero insieme lui e Susan, ed era una cosa fantastica, ed era importante – non era uguale a quello che avevano avuto lui e Becca un tempo. Immaginava che Susan potesse dire una cosa simile su lei e Pierre. Tanto di cappello a un tredicenne per averglielo chiarito.

      Sullo schermo televisivo, Susan avanzò verso i microfoni.

      “Buongiorno,” disse.

      CAPITOLO OTTO

      12:15 ora della costa orientale

      Sala stampa

      Casa Bianca, Washington DC

      “Buongiorno,” disse Susan. “Non ho molte informazioni per voi, quindi sarò breve.”

      Era sul palco. Guardava una cinquantina di giornalisti e più o meno altrettanti fra telecamere e microfoni, cosa che sapeva avrebbe portato il suo volto e le sue parole quasi in ogni angolo del globo. Da molto tempo aveva smesso di preoccuparsene.

      Per un breve momento, lasciò vagare lo sguardo per la stanza. Era una tetra mattinata invernale. Pareva che la gente non avesse voglia di starsene lì. Nemmeno lei. Le notizie erano brutte, e non voleva essere lei a darle. Ma la situazione richiedeva leadership, e così…

      “Come tutti sapete, circa alle quattro del mattino, alle undici secondo l’ora locale, un aereo charter si è schiantato avvicinandosi all’aeroporto di Sharm el-Sheikh sulla penisola del Sinai, in Egitto. A bordo c’erano il deputato degli Stati Uniti per il Texas Jack Butterfield così come altri nostri stretti amici, incluso Sir Marshall Dennis del Regno Unito e il console generale egiziano a Londra, Ahmet Anwar. A bordo di quell’aereo è morto un totale di ottantatré persone, inclusi ventisette americani e persone provenienti da altri dieci paesi. Non ci sono stati


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