Operazione Presidente. Джек Марс
CAPITOLO QUARANTASEI
La morte è un destino più dolce che la tirannia.
Eschilo
Due anni dopo…
CAPITOLO UNO
2 novembre
2:35 ora della costa orientale
Vicino al Tidal Basin- Washington DC
“Ok,” disse l’uomo, il fiato che si perdeva in nuvole bianche. “Che ci facciamo qui?”
Era tardi, e la notte era gelida con la pioggerellina che cadeva.
L’uomo si chiamava Patrick Norman, e stava parlando da solo. Era un investigatore, un uomo abituato a trascorrere lunghi periodi di tempo da solo. Parlare da solo faceva parte del lavoro.
Si trovava sul sentiero di cemento lungo la riva. Non c’era nessun altro in giro. Un attimo prima quello che sembrava un senzatetto si trovava disteso sotto dei giornali su una panchina a una cinquantina di metri di distanza. Adesso quell’uomo era sparito, e i giornali erano sparpagliati sul terreno bagnato.
Dal suo punto di osservazione, Norman riusciva a vedere il Lincoln Memorial lontano alla sua destra. Dritto davanti a lui e dall’altra parte del Tidal Basin c’era la cupola del Jefferson Memorial, illuminata da luccicanti azzurri e verdi. Le luci scintillavano sull’acqua.
Norman lavorava in quell’ambito da molto, e quello era il tipo di riunione che gli dava soddisfazione. A tarda notte, in un luogo isolato, con qualcuno che nascondeva la propria identità – rischioso, però era stato esattamente quel tipo di cose ad averlo ripagato, in passato. Altrimenti in quel momento non si sarebbe trovato lì.
Un uomo percorse lentamente il sentiero verso di lui. Era alto, indossava un lungo impermeabile e un cappello dall’ampia falda abbassato sul viso. Norman lo osservò avvicinarsi.
D’un tratto alle sue spalle ci fu del movimento. Norman si voltò, e c’erano altri due uomini. Uno era il senzatetto di prima. Era nero, in pantaloni da lavoro laceri e un pesante parka invernale. Il parka era bagnato e macchiato e sporco. Aveva i capelli ritti in strambi ciuffi e ricci sulla cima della testa. Il secondo uomo era solo un altro indefinito signor nessuno con impermeabile e cappello. Aveva folti baffi neri – se Norman avesse poi dovuto descriverlo, sarebbe stato questo il massimo che avrebbe saputo fare. Era troppo sconvolto sul momento per assorbire tanti dettagli.
“Come posso aiutarvi, signori?” disse Norman.
“Signor Norman,” disse l’uomo alto dietro di lui. Aveva una voce molto profonda. “Penso di essere la persona con cui vuol parlare.”
Norman sentì le spalle crollargli. Stavano giocando. Se quegli uomini avessero voluto fargli del male, probabilmente l’avrebbero già fatto. La cosa lo sollevò un po’ – quella era gente del governo. Fantasmi. Spie. Operativi dell’intelligence, si sarebbero definiti loro. La cosa lo infastidiva anche un po’. Nessuna misteriosa fonte con informazioni per lui. Quelli lì lo avevano trascinato là fuori in una notte piovosa per dirgli… cosa?
Gli stavano facendo perdere tempo.
Norman si voltò di nuovo per guardare in faccia l’uomo. “E lei chi è?”
Fece spallucce. Si mostrò un sorriso appena sotto all’ombra del cappello. “Chi sono non ha importanza. Ha importanza per chi lavoro. E posso dirle che i miei capi non sono contenti del livello del suo lavoro.”
“Sono il meglio che ci sia,” disse Norman. Lo disse senza esitare. Lo disse perché ci credeva. Su altro si poteva discutere. Ma una cosa che non era mai stata messa in questione era la qualità del lavoro che svolgeva.
“È quello che credevano anche loro, quando l’hanno assunta. Penso che sarà d’accordo sul fatto che sono stati pazienti. L’hanno pagata per un anno senza risultati. Però, improvvisamente è passato tutto questo tempo, e adesso i giochi sono quasi fatti. Sono costretti a prendere un’altra direzione, una direzione che speravano di non prendere. Le elezioni si svolgeranno tra cinque giorni.”
Norman scosse il capo. Sollevò le mani, i palmi verso l’alto, sui fianchi. “Cosa posso dirvi? Volevano che trovassi prove di corruzione, e le ho cercate. Non ce ne sono. Quella può essere tante cose, ma non corrotta. Non ha legami con l’attività del marito, né formali né informali. Il marito non gestisce neanche più gli affari quotidiani dell’azienda, e l’azienda non ha contratti governativi, né qui né altrove. Tutti i suoi capitali prematrimoniali vengono gestiti in un blind trust, senza apporto da parte sua – misura che ha preso quando si è guadagnata un posto in Senato quindici anni fa. Non ci sono prove di tangenti di nessun tipo, nemmeno un accenno o una voce.”
“Quindi ha fallito nel trovare qualcosa?” disse l’uomo.
Norman annuì. “Ho fallito nel…”
“Ha fallito, in altre parole.”
Un bagliore di luce apparve nella mente di Norman, una cosa che non aveva considerato perché prima non gli era mai stata chiesta.
“Volevano che trovassi qualcosa,” disse. “Che ci fosse oppure no.”
Gli uomini attorno a lui non dissero nulla.
“Se era così, perché non me l’hanno detto dall’inizio? Avrei detto loro di attaccarsi, e non avremmo mai avuto questa incomprensione. Se volete inventare brutte notizie, non assumete un investigatore. Assumete un pubblicitario.”
L’uomo si limitò a fissarlo. Il suo silenzio, e il silenzio dei suoi due accoliti, era snervante. Norman sentì il cuore accelerare il battito. Gli tremò appena il corpo.
“Ha paura, signor Norman?”
“Di voi? Neanche un po’.”
L’uomo guardò i due dietro a Norman. Afferrarono Norman senza una parola, ciascuno eseguendo su di lui una dolorosa mossa armbar, uno per lato. Gli strattonarono le braccia dietro alla schiena e lo costrinsero a mettersi in ginocchio. L’erba bagnata gli inzuppò istantaneamente i pantaloni.
“Ehi!” urlò. “Ehi!”
Urlare era una vecchia tecnica di fuga che aveva imparato a una lezione di autodifesa anni prima. Era stata di aiuto un paio di volte. Quando si era sotto attacco, urlare più forte che si poteva. La cosa sconvolgeva l’aggressore, e spesso faceva scappare la gente. Nessuno se lo aspettava, perché la gente normale raramente alza la voce. La maggior parte delle vittime non lo fa mai. Era una verità dolorosa – molta gente a quel mondo era stata rapinata o violentata o assassinata perché troppo educata per urlare.
Norman raccolse il fiato per il grido più forte della sua vita.
L’uomo gli strattonò la testa verso l’alto dai capelli e gli ficcò in bocca uno straccio. Era uno straccio grande, bagnato e sporco di petrolio o benzina o di qualche altra sostanza nociva, e l’uomo glielo spinse in profondità. Gli ci vollero molte spinte violente per ficcarlo fino in fondo. Norman non riuscì a credere a quanto arrivò in profondità, e a quanto gli riempisse tutta la bocca. La mascella gli si spalancò al massimo.
Non poteva far tornar su lo straccio. L’odore disgustoso che aveva, il sapore, lo facevano soffocare. La gola gli si mise in moto. Se avesse vomitato, sarebbe morto asfissiato.
“Ga!” disse Norman. “Ga!”
L’uomo gli diede uno schiaffo a lato della testa.
“Zitto!” sibilò.
Gli era caduto il cappello dal capo. Adesso Norman gli vedeva i feroci e pericolosi occhi azzurri. Erano occhi privi di pietà. Erano anche