La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno. Charley Brindley
sapevo cosa dirle.
Forse dovrei raccontare a Yzebel del nome che vorrei avere.
Il mio stomaco stava meglio, ma la testa continuava a farmi male. Quando sbattevo le ciglia, puntini neri mi vorticavano davanti agli occhi: sparivano e apparivano accompagnati dal dolore. Scossi la testa nel tentativo di schiarirmi la vista.
“Ti va di sentire una storia mentre cucino?”Mi domandò.
“Sì.” Presi la mia ciotola di contu luca. “Per favore.”
“La storia parla della Dea Madre, Regina Elissa. Molte, molte estati fa, ancora prima della nascita del nonno di mio padre, la Regina Elissa, che i romani chiamano Dido, venne sulle sponde del Byrsa dalla sua antica terra dell’est. Chiese alle persone che abitavano qui un piccolo pezzo di terra dove potersi stabilire con i pochiche l’avevano seguita in mare. Il capo di quegli uomini furbi e disonesti le dissero,‘Potrai avere la quantità di terra che può essere circoscritta dalla pelle di un singolo bue, e il prezzo sarà un talento di argento.’”
“Talento?” Mi alzai per poggiare la ciotola vuota sul tavolo. “Cos’è un…?”
Tutto intorno a me sfocò e cominciò a girare. L’ultima cosa che vidi era Yzebel che voleva raggiungermi prima che cadessi.
Quando mi svegliai mi ritrovai distesa vicino al fuoco su delle pelli di animale, coperta con il mantello di Tendao. Il telone grigio sventolava a causa della brezza e una donna sedutami accanto mi stava guardando.
“Come ti senti?”Mi chiese la donna.
Mi misi a sedere lentamente, tentando di capire cosa fosse successo. Sentivo un ronzio nella testa, come uno sciame di api arrabbiate. Nel momento in cui mi diedi un’occhiata intorno, riuscii a schiarirmi i pensieri. Il tutto però mi pareva così strano: il fuoco scoppiettante, il pungente fumo che mi roteava intorno, e i tavoli che circondavano il fuoco della cucina come degli animali dalle gambe rigide che aspettavano di essere nutriti. La gialla luce del sole si intravedeva tra le cime degli alberi bagnava tutto di oro e ambra. Il viso della donna risplendeva nel bagliore del pomeriggio.
Mi ricordai che era Yzebel.
Tirai su il mantello per coprirmi le spalle, distesi le braccia e poi mi tocai la nuca. Il bernoccolo si era rimpicciolito e non faceva più così tanto male come prima.
“Bene,” risposi. “Sto bene.” Feci una pausa, provando a ricordare. “Mi stava raccontando una storia riguardo una regina e un bue, ma non mi ricordo la fine.”
“Ti ricordi la caduta?”
“No.”
“Hai dormito per tutto il giorno,” aggiunse Yzebel.
“Mi dispiace.”
“Non essere dispiaciuta, eri sfinita.”
“Potrebbe raccontarmi di nuovo la storia, per favore?”
“Lo farò.” Yzebel si alzò. “Ma prima, voglio che ti alzi così posso vedere se rischierai di inciampare e cadere nel fuoco come hai quasi fatto stamattina.”
Nel momento in cui mi alzai, Yzebel mi prese per spalle, guardandomi negli occhi.
“Stai per cadere?”
Scossi la testa, poi diedi un’occhiata alla ciotola vuota sul tavolo.
“Hai fame?”
“Sì.”
Yzebel riempì il piatto a metà con contu luca e me lo porse. Mi accomodai vicino al fuoco mentre la donna mescolava quello che stava cuocendo nella grande pentola e mi raccontò dall’inizio la storia della Regina Elissa.
Quando arrivò alla parte riguardo all’argento, domandai, “Talento? Cos’è un…?”
Yzebel mi guardò preoccupata, probabilmente pensando che sarei svenuta di nuovo, ma le sorrisi. Ricambiò il sorriso e continuò il racconto.
“Un talento è una grande tavoletta di argento.” Prese il coltello. “Due volte più lunga del mio coltello, e di peso pari a quello che un uomo riuscirebbe a portare in un giorno. Vale quanto sei, forse sette, elefanti da guerra.” Raccolse una carota e la tagliò. “La nostra Elissa era bellissima, aveva lunghi riccioli e un dolce sorriso, ma non era così stupida come appariva a quegli indigeni sempliciotti. Dopo un po’ accettò i loro termini. Poi, con l’aiuto delle sue domestiche, tagliò la pelle di un bue in numerose striscioline sottili e le sistemò formando un enorme arco che si estendeva dalla costa del mare, intorno alla collina e poi di nuovo verso la costa.
“‘Avrò questa terra, circoscritta dalla pelle di un solo bue,’ disse Elissa al capo di quella gente.
“Avendo capito di essere stati battuti in furbizia, i nativi, stringendo i denti, le diedero la terra augurandole buona fortuna nel costruirsi il suo piccolo villaggio. Andarono via con il talento di argento a rimuginare sulla loro perdita.
“Elissa aveva scelto una porzione della battigia che conteneva uno dei migliori porti naturali della costa sud del Mara Thalassa, chiamato anche Mare Internum dai romani. Ciò si rivelò un beneficio per la Regina Elissa e il suo villaggio che chiamò Città Nuova, la nostra Cartagine.”
Il ragazzo che mi aveva minacciato nella foresta con il suo bastone si avvicinò a Yzebel. Fui sorpresa nel vederlo e mi domandai perché fosse venuto al suo focolare.
Volle prendere un pezzo di carne dalla pentola, ma Yzebel gli afferrò la mano e la spinse via.
“Guarda come sono sporche le tue mani. Sai comportarti meglio.”
“Ho fame.”
“Puoi aspettare come il resto di noi. Hai portato la legna da fuoco a Bostar come ti avevo detto di fare?”
Annuì, ma i suoi occhi erano fissi su di me e sul mio piatto di contu luca. “Ha rubato il mantello di Tendao.”
“No, non l’ha fatto.”
Presi un grande pezzo di carne dal mio piatto e lo morsi. Osservai il ragazzo che appariva più grande di me, probabilmente di un anno. A differenza degli occhi marroni di Yzebel, i suoi erano di un banale grigio.
Qual è il colore dei miei occhi? Spero di averli marroni come i suoi.
“Allora perché lo indossa?” piagnucolò il ragazzo. Era scontroso con Yzebel e sogghignava come se lo disgustassi.
Yzebel sbatté il suo cucchiaio di legno contro il margine della pietra così forte, che pensai si sarebbe rotto. Lo guardò severamente finché egli non abbassò lo sguardo.
“Se non imparerai a frenare quella linguaccia, qualcuno ti taglierà quel velenoso pugnale dalla bocca. Mi hai capito?”
“Sì,” disse, guardandomi male.
Pensa sia per colpa mia che è stato rimproverato? Ha una bocca cattiva e si merita quello che ha ricevuto. Presi un’altra rapa dal cestino. Forse non avrà imparato nulla dalle parole di Yzebel, però io sì. E dal modo in cui lo tratta penso possa essere suo figlio, forse il fratello di Tendao. Peccato non sia per niente come il giovane uomo.
Volevo sentire di più riguardo la Regina Elissa e i suoi ondeggianti riccioli, il suo dolce sorriso e i suoi modi intelligenti, però non volevo che continuasse la storia in presenza del ragazzo. Volevo che la raccontasse solo a me, così che la possa conservare e tramandarla a un’altra ingenua ragazza ignorante delle belle cose.
Finii di pelare la rapa e dopo averla tagliata, guardai Yzebel e indicai il cestino. Mi annuì e io ne presi un’altra per continuare il lavoro.
Il ragazzo si lavò le mani, se le asciugò sulla tunica, e si sedette a terra. Prese una rapa e la pelò con un coltello che tirò fuori da una fodera alla sua cintura.
“Jabnet,” parlò Yzebel, “Sai dove si trova il sole?”
Quindi Jabnet è il suo nome. Uno stupido nome per uno stupido ragazzino. Il nome che mi sono scelta è molto meglio, e anche nobile, forse addirittura regale.
Jabnet