Folgorazione. Блейк Пирс
Non deve essere stato facile. Per quanto riguarda l’altra casa in cui è stata uccisa l’altra vittima?”
“Non aveva un allarme” Dawes rispose. “E nemmeno alcun segno di intrusione. È possibile che entrambe le vittime abbiamo semplicemente fatto entrare il killer.”
Johnson guardò Riley e disse: “Questo suggerisce due possibilità. Il killer è dotato di eccellenti capacità di intrusione, oppure le vittime lo conoscevano e si fidavano di lui.”
Riley trasalì di fronte al tono convinto della sua affermazione, come se fosse giunto ad una conclusione davvero astuta. In quello stadio iniziale di un caso, lei immaginava che ogni cosa avesse numerose spiegazioni possibili, che richiedevano di essere analizzate.
Seguirono Dawes in un corridoio aperto con un alto soffitto. C’era una scala che conduceva di sopra, e una porta sembrava essere un armadio. Da un lato del corridoio, una porta aperta rivelava uno studio. C’era del nastro giallo sulla porta, e una squadra della scientifica era all’interno, intenta a raccogliere le prove.
“L’ufficio della vittima?” Johnson chiese.
“No, quello di sua moglie” lo Sceriffo Dawes rispose. “Ma ci sono segni che sia avvenuta una colluttazione qui dentro, inclusa una lampada da scrivania rotta.”
Indicando dall’ufficio al pavimento, Dawes aggiunse: “Vedete, ci sono dei graffi sul pavimento. Sembra che la vittima sia stata aggredita qui e trascinata fino al seminterrato. Se leggete nel rapporto, la prima vittima è stata apparentemente soggiogata con il cloroformio.”
Johnson annuì e disse: “Esiste una buona possibilità che anche questo sia avvenuto qui.”
Riley non poteva discordare, ma il suo tono continuava ad infastidirla. Avrebbe voluto poter oltrepassare il nastro giallo e provare a percepire cos’avesse provato il killer durante l’aggressione. Ma dubitava che Dawes o Johnson avrebbero apprezzato, e forse per un buon motivo. Interrompere il delicato lavoro della scientifica non era probabilmente una buona idea.
Mentre procedevano all’interno della casa, Riley la trovò molto più raffinata della maggior parte delle case eleganti in cui si era trovata, ma la sembrò anche spaventosamente e scomodamente grande. Dal breve rapporto sul caso che lei e Johnson avevano letto, Riley aveva l’impressione che i Banfield fossero stati una coppia senza figli. Si chiese come mai i due vivessero in tanto spazio.
Dawes li accompagnò in una grande zona aperta, con un soggiorno alla loro destra e una grande stanza da pranzo alla loro sinistra. La brillante luce del sole filtrava dalle grandi finestre.
Non c’era alcun disordine. Ogni cosa sembrava essere al proprio posto. Riley poté dire che le persone che vivevano lì conducessero una vita ordinaria e ben ordinata.
Nel soggiorno, due donne erano sedute su uno dei due divani di pelle color marrone cioccolato. Una delle due si alzò per accoglierli.
Lei disse: “Sono Elaine Bonet, e vivo alla porta accanto. Sono qui per occuparmi un po’ di Sheila. I suoi vicini intendono occuparsi di lei a turno. Non vogliamo che resti da sola.”
Elaine Bonet indossava un completo da jogging, come se avesse appena corso o fatto esercizio fisico. La moglie della vittima era ben vestita al confronto, come se fosse andata o fosse tornata da un evento formale.
Quando Riley ed i colleghi iniziarono a sedersi, qualcosa sul volto della moglie della vittima sembrò a Riley misteriosamente familiare. Era possibile che l’avesse incontrata quando lei e Crivaro erano stati lì a dicembre?
No, non può essere.
Guardandosi intorno, alla ricerca di qualche indizio che confermasse tale familiarità, Riley notò un libro poggiato sul tavolino da caffè con il volto della donna sulla copertina. Poi, comprese subito.
Ma certo! Quella Sheila Banfield!
Era una terapeuta della famiglia, autrice di quel libro, Il Tocco Analogico. Era un bestseller saggistico basato su come allevare figli nell’era digitale. Riley aveva letto alcune brillanti recensioni, ma aveva immaginato di avere molto tempo prima di doversi interessare a testi sulle figure genitoriali. Ora si sentì stranamente imbarazzata, come se dovesse ammettere alla donna che non lo aveva letto.
Realisticamente, sapeva che non c’era alcunché di cui preoccuparsi. Era altamente improbabile che sarebbe stato un argomento di conversazione in tali circostanze. Sheila Banfield aveva altre cose per la testa al momento.
Mentre il volto sulla copertina sembrava raggiante e sorridente, la stessa Sheila appariva scioccata e intorpidita. Quando Dawes portò a termine le presentazioni, la donna disse quasi in un sussurro.
“Il BAU. Bene. Grazie di essere venuti.”
Avvicinandosi, l’Agente Johnson disse: “Siamo terribilmente dispiaciuti per quello che è successo, Dottoressa Banfield. Faremo tutto il possibile per trovare il responsabile.”
Sheila Banfield annuì silenziosamente.
Riley notò che aveva gli occhi che continuavano a guizzare, come se ciò che la circondava le fosse sconosciuto e non avesse idea di come avesse fatto ad arrivare lì. Riley aveva visto questo tipo di reazione tra i familiari in lutto in altre occasioni.
Accanto a Sheila, c’era una scatola di fazzolettini, ma sembrava quasi piena. Sheila non sembrava aver ancora pianto molto, ma Riley sapeva che quella parte doveva ancora arrivare, non appena lo shock avesse iniziato a svanire. Era un bene che avesse delle amiche che l’aiutassero ad affrontare la sua situazione.
Per richiesta di Johnson, Sheila iniziò a fornire la sua versione dei fatti.
“Sono stata nel nord-ovest per alcuni giorni, in giro per autografare il mio libro” disse. Annuì verso il testo ed aggiunse curiosamente: “L’ho, ecco, l’ho scritto io. Forse ne avete sentito parlare. Ho viaggiato molto per promuoverlo. Ero andata via per diversi giorni stavolta.”
Poi, prese un respiro profondo e proseguì.
“Ieri sera, dopo aver finito il mio tour, ho preso un volo di ritorno da Seattle. La mia auto era parcheggiata per me all’aeroporto a Provo. Quando ho iniziato a viaggiare, Julian …”
Restò in silenzio alla menzione del nome del marito.
Poi, continuò: “Julian mi accompagnava e veniva a riprendermi all’aeroporto, ogni volta che viaggiavo per la promozione di un libro. Ma era diventato un gran fastidio, specialmente da quando abbiamo più di un’auto, e io … ho pensato di guidare io stessa. A lui sembrava piacere l’idea. Ad ogni modo, ieri sera …”
La voce scemò per un momento.
“Sono rincasata piuttosto tardi ieri sera, intorno alla mezza, direi. Quando sono entrata dalla porta, ho visto che il sistema d’allarme non era attivato per qualche ragione. Questo mi ha preoccupata. Non era da Julian non impostarlo alla sera. Tutte le luci di sotto erano accese, perciò ho immaginato che Julian fosse ancora sveglio, così sono entrata.”
E ha lasciato la sua valigia sulla porta, Riley pensò, raccogliendo mentalmente dati.
“Ho visto che la porta del mio studio era aperta e la luce era accesa all’interno” Sheila continuò. “Ho pensato che fosse strano, perché raramente lui ci entrava. Ho guardato all’interno, e mi sono accorta che la lampada era rotta, e sembrava che qualcosa … di brutto fosse accaduto, e così ho iniziato a spaventarmi.”
Lei tremò, e per un istante, Riley si chiese se stesse per piombare in un tardivo crollo emotivo. Ma Sheila continuò a parlare in una voce misteriosamente distaccata, come se stesse raccontando un evento accaduto a qualcun altro.
Riley conosceva questo tipo di distacco emotivo, dato che l’aveva incontrato in alcuni interrogatori simili. Si chiedeva se l’Agente Johnson comprendesse che cosa provasse la donna.
Sheila riprese: “L’ho chiamato. Non mi ha risposto. Allora sono scesa di sotto a cercarlo. Non lo ho cercato sopra. Le luci erano spente lassù, ed ero certa che non fosse salito per andare a letto, lasciando le luci accese di sotto, e anche il sistema d’allarme disattivato.”
Indicando