Folgorazione. Блейк Пирс

Folgorazione - Блейк Пирс


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stava sorvolando gli Appalachi nello Utah. Sebbene in quel periodo dell’anno ci fosse solo un accenno di neve, se non sui picchi dei monti, il terreno le riportò alla mente i ricordi dell’ultima volta in cui era stata in quello stato, soltanto il dicembre precedente. Ci era stata insieme a Crivaro, a lavorare al suo primo caso in quanto agente del BAU a pieno titolo.

      Questo caso si sarebbe rivelato altrettanto orribile quanto quello che avevano risolto allora,  un serial killer che pedinava le persone nei campeggi? Non sembrava impossibile, dato il metodo in cui erano stati eseguiti gli omicidi. Ma forse, stavolta, avrebbero fermato il killer prima che causasse ulteriori vittime.

      E forse almeno il tempo sarà più bello, pensò.

      Quando l’aereo si fermò sulla pista, Riley notò che c’era un’ulteriore questione che la stava tormentando. Era abituata a lavorare con un uomo che la chiamava “Riley”, mentre lei lo aveva sempre chiamato “Agente Crivaro”, almeno fino a quella mattina. Era stato perfettamente naturale per entrambi.

      Che tipo di formalità doveva aspettarsi dal suo nuovo partner?

      Appena lei e Johnson si alzarono dai loro sedili, diretti all’uscita, lei gli disse: “Voglio solo chiarire una cosa tra noi, prima che iniziamo a lavorare insieme.”

      “Di cosa si tratta?” Johnson chiese, indossando il suo soprabito.

      “Come dovremmo chiamarci?”

      Johnson fece spallucce e rispose: “Beh, mi piace mantenere le cose professionali. Ecco, preferirei che si rivolgesse a me come Agente Johnson. Come vuole che la chiami?”

      Riley apprezzò che le stesse dando una scelta. A differenza di Crivaro, dubitava che avrebbe considerato quest’uomo una sorta di mentore. Sicuramente non voleva che la chiamasse semplicemente “Riley”.

      Lei rispose: “Vorrei che mi chiamasse Agente Sweeney.”

      “OK, allora. D’accordo.”

      Appena scesero sulla pista, videro un uomo dalla postura cadente, che fumava una sigaretta, in attesa. Riley pensò che assomigliasse ad un detective dal carattere duro di un vecchio film. Aprì il suo impermeabile sgualcito, e mostrò il suo distintivo.

      “Sono lo Sceriffo Collin Dawes” disse loro.

      “È stato lei a chiedere l’aiuto del BAU?” Johnson chiese.

      Dawes annuì, e Johnson presentò se stesso e Riley.

      I due uomini si voltarono e camminarono insieme verso il veicolo dello sceriffo, in attesa.

      Johnson disse a Dawes: “Sembra che abbiate una situazione insolita qui.”

      “Nulla che abbia mai visto prima” Dawes rispose. “Se non avessimo delle foto, sarebbe difficile persino da descrivere.”

      Stando dietro ai due uomini, Riley si sentì stranamente lasciata fuori.

      Questa potrebbe diventare la normalità, si disse.

      Forse farei meglio ad abituarmici.

      CAPITOLO SETTE

      Dopo che Riley e Johnson entrarono nel veicolo in attesa dello Sceriffo Dawes, ancora una volta lei dovette soffocare l’impulso di lamentarsi. Trovava alquanto sgradevole restarsene seduta sul retro ad ascoltare i due uomini parlare, come se lei non fosse nemmeno presente, o peggio, come se fosse una bambina esclusa da una conversazione tra adulti. Sebbene si stesse ancora sforzando di adeguarsi al nuovo partner, si obbligò a restare in silenzio ad ascoltare.

      Con voce bassa e ringhiante, Dawes commentò: “Pensavo di aver visto gli ultimi casi del genere prima di venire qui nello Utah. Sono qui da cinque anni, e le cose sono rimaste piuttosto ordinarie finora. Mi piacevano così.”

      “Dov’era stato prima?” Johnson chiese.

      “Los Angeles” Dawes rispose. “Ero un detective della omicidi. Ho visto la mia bella dose di omicidi laggiù, mi creda. Ad ogni modo, la verità è che l’omicidio per folgorazione è una cosa nuova persino per me. Dica che sono all’antica, ma sono abituato a killer che uccidono con coltellate o a colpi di pistola. Immagino che le cose si faranno brutte in questi giorni.”

      Riley poteva bene immaginare perché un detective della omicidi volesse allontanarsi da Los Angeles. Dawes si era sicuramente aspettato che lo Utah fosse più tranquillo. Si rese anche conto del fatto che le maniere dure di Dawes non erano un’ostentazione. L’uomo aveva assistito a molti brutti episodi e il suo aspetto lo dimostrava.

      Dawes disse a Johnson: “Sembra che lei venga dall’est.”

      “Boston” Johnson chiarì.

      Dawes lo guardò con sorpresa.

      “Boston? E il suo cognome è Johnson? Ehi, penso di aver sentito parlare di lei. Non ha risolto il caso di quel killer stupratore di bambini circa un anno fa?”

      “Così pare” Johnson rispose, con un largo sorriso che non appariva esattamente modesto.

      “Vorrei sapere come ci è riuscito” Dawes domandò.

      Non appena l’agente iniziò a rispondergli, Riley sospettò che probabilmente lo sceriffo si sarebbe pentito di tale richiesta. Sulla base del suo stesso racconto, Johnson sembrava aver messo la sua preda all’angolo sulla base di statistiche, dividendo la città in zone e analizzandole a seconda della presenza di casi ufficiali di molestatori sessuali, fino a quando non aveva astutamente scoperto il vero colpevole.

      Lei dovette ammettere che l’utilizzo della matematica per trovare un assassino era una notevole impresa. Ma Riley non poteva fare a meno di chiedersi se Johnson avesse mai dovuto lasciare la propria scrivania per elaborare quell’enorme numero di dati, almeno finché non avesse guidato una squadra di poliziotti a quello che sembrava come un comune arresto di routine.

      Non poté fare a meno di paragonare quello che lui aveva fatto con quello che aveva ottenuto lei sul campo. Al confronto, la sua stessa carriera sembrava una sorta di ininterrotti caos, pericolo e profonda confusione. Non riusciva ad immaginare di ottenere ciò che avevano fatto lei e Jake senza andare sul campo, a dare la caccia a quei killer.

      Questo tizio sa che cosa significhi sporcarsi le mani? lei si chiese.

      Come avrebbe fatto lui se il caso si fosse dimostrato brutto quanto la maggior parte di quelli a cui lei aveva lavorato? Questo nuovo caso sembrava già orrendo quanto il resto.

      E, si chiese, come sarebbe riuscita a prendere ordini da un uomo che le sembrava al tempo stesso un sapientone e una recluta inesperta?

      Nonostante gli sforzi per prestare attenzione, Riley si ritrovò a deconcentrarsi per il racconto incredibilmente tedioso, dettagliato di Johnson, in merito al suo maggior caso. Si chiese se lo Sceriffo Dawes avrebbe voluto avere questa scelta.

      Restare bloccata nel sedile posteriore in realtà ha i suoi vantaggi, pensò sarcasticamente.

      Passò il resto del breve viaggio a sud dall’Aeroporto di Provo, fino alla scena del secondo crimine, guardando fuori dal finestrino. L’ampia vallata che oltrepassarono era fiancheggiata da due vaste catene montuose, le cui cime erano innevate. Lei trovò ancora il paesaggio desolato e modesto, rispetto a quello della Virginia, ma non era così cupo quanto era apparso quando era stata lì a dicembre. Non c’era la neve a quell’altitudine, e la temperatura era fresca e piacevole. I boccioli di fiori apparivano ovunque.

      Presto, entrarono a Beardsley, una cittadina di grandezza modesta ma elegante, che era posizionata in maniera pittoresca tra i monti e situata vicino ad un lago. Infine, lo sceriffo parcheggiò in un ampio vialetto di fronte ad una casa, grande e di aspetto piuttosto nuovo in stile spagnolo, sul cui lato anteriore c’era un garage per tre auto.

      Quando entrarono all’interno, Riley notò un paio di valige sulla porta. Si chiese che cosa ci facessero lì.

      Indicando il sistema d’allarme, Johnson chiese: “Come ha fatto l’intruso a superare l’allarme elettronico?”

      “Non abbiamo avuto il tempo di verificarlo.”

      Johnson osservò attentamente


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