Ombre di occaso. Alfredo Oriani
è uno dei bisogni più insaziabili dell'anima, alla quale toglie colla ondulazione dei ritmi e l'indistinto significato delle voci, la coscienza dei limiti, quando l'idea fiammeggia e la passione scoppia, questa brama si muta quasi in ripugnanza. Nelle grandi tragedie la rivelazione è al tempo stesso così profonda e precisa che ogni musica la falserebbe, giacchè, nel momento di spezzarsi la vita, condensa tutti i ricordi in una visione, mentre il cuore si restringe nello sforzo di riunire le speranze dinanzi alla suprema interrogazione del pensiero.
Allora la musica non basta più.
Quali note potrebbero davvero esprimere le ultime due parole di Gesù: Consummatum est?
Quale romanza significare il dolore di Napoleone immobile colle braccia conserte guardando dal lido di Sant'Elena oltre l'Oceano?
E poichè si volle trascinare sul teatro la Bohème di Murger, come avrebbero potuto Puccini e Leoncavallo tradurre quel ritratto così breve e così vivo di Musette: «Ella appena nata domandò certamente uno specchio»? Come pretendere ad una nuova commedia musicale dopo il Barbiere di Siviglia, che nemmeno esso è una commedia, se la musica non può nè ridere nè piangere? Come ridere delle sue figure fatalmente indistinte, mentre il riso non erompe che dalla evidenza di un difetto senza dolore? Nel Barbiere di Siviglia il riso scatta dai lazzi della favola non dai motivi del canto, che vi passa attraverso con una andatura da ballo e la solita prosodia dei recitativi.
Che cosa vi è da capire nella musica? Nulla.
Da sentire? Tutto.
E voi, signora, che ne pensate?
Le donne amano quasi sempre nella musica una poesia, che dispensa dalla azione, una raffinatezza ottenuta senza nè disciplina nè epurazione del pensiero: e così possono credersi superiori alla gente, che si dibatte nella vita come in una tragedia grondante di lagrime e di sangue.
Conosceste mai qualche illustre maestro o suonatore? Studiaste mai il loro carattere? Una sensibilità pronta e labile, una inconsistenza timida ed inetta. La poesia ebbe dei forti, la musica non avrà mai che dei delicati.
Nella nostra vita moderna essa rappresenta quindi un ideale di sensi e di fantasia, senza efficacia sul carattere e senza attrazione sul pensiero. I teatri lirici hanno oramai esaurito i temi di tutti gli altri teatri, senza che l'arte drammatica abbia potuto arrestarsi sulla lubrica parabola della propria decadenza; la musica popolare invece non ha trovato per la grande rivoluzione francese e per la bella rivoluzione italiana che la Marsigliese e l'inno di Garibaldi, due marcie da saltimbanchi.
Oggi la originalità della musica pare esausta come quella della architettura. Verdi, ingegno dispari, grossolano e malinconico, violento e monotono, promosso dalla vecchiaia agli onori del genio, ha voluto mostrarsi anch'egli capace di significare tutta la vita, e si è attaccato a Falstaff, uno dei tipi più bassamente comici, perchè di una comicità tutta istintiva e sensuale. Mancava la commedia al suo repertorio, ma troppo altro mancava alla sua arte. Quindi ne uscì una musica scolastica fra una resurrezione di vecchie forme, senza fremito di riso, senza freschezza e senza colore. Per essere felice a Falstaff bastava di accarezzare il contorno di un'anca femminile o di una mezzina da bettola; ma se la sua giocondità di bruto sarebbe rimasta un mistero per Verdi giovane, più elegiaco che tragico come tutti i romantici, a Verdi vecchio doveva parere una mostruosità ripugnante. E così, nel suo spartito, Falstaff non è più che uno sciocco noioso, tuffato in una favola opaca come una nebbia, fra personaggi che sembrano cantando assoggettarsi ad un saggio di concorso.
Tutte le aristocrazie d'Europa sursero ad applaudire l'ultima opera del vecchio grande maestro, mentre il popolo, più sincero, non ne imparò invece alcun motivo, e seguita a cantare le proprie canzoni anonime.
Qu'est ce que ça prouve?
IL MISTERO DELL'ANARCA
E Dio ha scelto le cose pazze del
mondo per svergognare le savie, e le
cose spregevoli e le cose che non sono
per ridurre al niente quelle che sono.
San Paolo, Ai Corinti.
Vi ricordate, signora?
La donna imperiale cadde sulla banchina del lago dinanzi al lungo sorriso delle acque, che raccontano spesso i segreti delle Alpi, come lo specchio tradisce quelli della bellezza. Un impeto di orgoglio le gonfiò il cuore ferito, rialzandola nel fulgore di una minaccia, mentre sul volto pallido le calava già l'ombra della morte, ed il murmure della folla stupefatta cresceva come un susurro di foglie sotto il soffio corrucciato del vento. Con gesto rigido e lieve indicò il vascello, che l'aspettava, perchè l'aiutassero a salirvi; cento braccia si protesero in silenzio, e rimasero alzate verso di lei, quando a barella sparve sulla tolda, e il vascello oscillò. Viaggiatrice senza meta, che fuggiva dalle ombre della propria casa, cercando ai monti ed ai mari un refugio contro le memorie, ebbe forse paura di ritornare nella prigione di una camera fra il cerimonioso cordoglio degli indifferenti adunati, dal tristissimo caso senza poterne intendere la tragica rivelazione. Ma il lago stesso parve forse troppo piccolo alla morente, e troppo affollato il vascello e troppo vicino alla riva e troppo lento a salpare, mentre gli occhi le si chiudevano sotto le carezze pesanti del gran sonno, e la sua anima si levava nell'ansia di quel viaggio lungamente invocato. Come tutti gli infelici rattenuti senza motivo dalla vita, ella guardava da anni all'altra riva invisibile, sulla quale aspettano coloro che amammo: guardava e vagava ingannando il lungo desiderio colla finzione di una fuga troppo breve attraverso paesi sconosciuti, nell'abbarbaglio di visioni salienti dal fondo verde delle valli e dalle cerule distese del mare. Forse alla fissità del suo sogno era necessaria una cornice di ondeggianti orizzonti e di mutevoli moltitudini, coi ritmi delle parole incomprese e il vanire della opera tumultuosa come nel dissolversi di un miraggio.
Oramai della imperatrice nessuno più si ricordava.
La bionda Valchirie, che aveva stupito l'Europa, non era più che una signora vestita di nero, ancora bella, costretta a mutare spesso di nome per meglio serbare l'incognito, pallida, che non sorrideva più. Fra i poeti amava Heine, fra le terre la Ionia, fra i laghi il Lemano, e al disopra di tutto e di tutti il mare. Ella lo aveva interrogato ad ogni riva e ad ogni ora, sentendo a poco a poco il pensiero addormentarsi sulla ondulazione della sua musica profonda; e quando una improvvisa, stridula voce della memoria la destava davanti alle acque rutilanti di sole, o scure e roche sotto gli sguardi lontani delle stelle, avrebbe voluto essere sola sopra una nave nera, come l'olandese cantato dal suo poeta, per trascorrervi lontano, oltre i confini delle tempeste, alle estreme solitudini, dalle quali Dio ascolta finalmente chi piange. Perchè ella credeva nessun dolore pari al suo di madre e di imperatrice, sempre inseguita dalla follìa e dalla morte, colpita nei genitori, nei figli, nei fratelli, nel regno donde era uscita, nell'impero al quale era stata assunta, in tutto quello che aveva sperato, in tutto quello che aveva amato, sino ad invocare la morte come un compenso e ad errare come un fantasma.
Passata quasi, nella rapida magìa del desiderio, da una festa di ballo al trono degli Asburgo ancora vacillante per gli ultimi tremoti rivoluzionari, ebbe appena il tempo di apparirvi leggiadramente nella spensieratezza giovanile, che un'altra bufera si destava e l'imperatore doveva accorrere indarno da Vienna sui piani lombardi contro le vittorie italiane; quindi la regina di Napoli ramingava anch'essa dietro il caduco marito giovanile, nè regina più ne donna, a nascondere nell'ombra di un appartamento parigino l'ultima dissoluzione di una maestà, che nemmeno la morte avrebbe potuto nobilitare. Ma l'antico impero, ferito al cuore dall'Italia, soccombeva poco dopo al giovane regno prussiano, costringendo l'ultimo re bavarese ad uscire dall'incanto, nel quale Wagner cullava il suo sogno d'invitta verginità, per offrire a Guglielmo, il lungo nemico, la vecchia corona del sacro romano impero. Egli compì la prova col sonnambulo eroismo dei cavalieri scendenti insino a lui dal San Graal, coll'anima tesa al dolore dei sacrifici ininterrotti sulla terra; e forse dalla umiltà di quella sottomissione, come dall'atto estremo di una rinuncia a tutte le realtà della vita, sentì di risalire per sempre nel proprio sogno di una bellezza senza amore,