L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico. Gaetano Negri

L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico - Gaetano Negri


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crea, come la metafisica, dei grandi edifici che, appena sorti, svaniscono, simili a quelle figure fantastiche di cui scorgiamo, talvolta, il profilo nelle nuvole spinte dal vento sull'azzurro del cielo. Tutta la scienza ormai la scienza dell'uomo come quella della natura, è la scienza dei fatti. L'ipotesi non vale se non come una preparazione alla scoperta del fatto, e la teoria deve seguire, non precedere il fatto. La storia, anch'essa, deve essere, sopratutto, una ricerca di fatti ed un'analisi psicologica dell'uomo. Noi dobbiamo ricreare, quanto più è possibile, nella storia, il dramma umano, rivivere nel pensiero, nel sentimento, nelle passioni della persona umana in un punto determinato del tempo, in un determinato conflitto di speranze e di timori, d'ire e di affetti, d'illusioni e di realtà.

       È ciò, appunto, che io ho tentato di fare col personaggio tanto curioso ed interessante dell'imperatore Giuliano. Non ebbi per lui nessun preconcetto di simpatia o di esecrazione. Ho cercato esclusivamente di comprenderlo, scrutando i moventi che lo avevano spinto al suo folle tentativo, ricreando l'ambiente in cui era vissuto, riguardando, infine, il mondo che lo circondava, attraverso l'atmosfera di quegli stessi pregiudizî in cui era cresciuto. Da uno studio siffatto balza fuori una figura vivente e si apre uno spiraglio da cui si scopre un lembo di realtà.

      Nello scrivere questo libro io non ebbi altro scopo, fuor di questo puramente oggettivo, e ci vorrebbe una larga dose di buona, dirò meglio, di cattiva volontà, per vedercene un altro. [pg!xii] Chi ha un temperamento critico sa guardare i fenomeni morali con quello stesso disinteresse speculativo con cui guarda i fenomeni fisici, con quella stessa necessaria imparzialità con cui il chimico analizza una sostanza e l'astronomo determina l'orbita di un corpo celeste. Una cosa è il sentimento ed un'altra la ragione. La causa vera del disordine che perturba i giudizî umani è che gli uomini portano il sentimento là dove non dovrebbero portare che la ragione. Errore funesto, ma non più funesto dell'errore di quei pensatori i quali credono che la ragione esaurisca l'universo e non s'accorgono, per la brevità del loro sguardo, che essa lascia pur sempre una larga striscia d'ignoto, dove il sentimento regna assoluto ed invincibile dominatore.

      Aprile 1901.

      G. Negri.

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      [pg!xiii]

      GIULIANO

      nel busto d'Acerenza

       Indice

      Acerenza, diventata, in questi giorni, famosa in Italia pel disastro della frana che l'ha colpita, è una piccola città della provincia di Potenza, posta sulla vetta di un'isolata montagna che s'innalza alla confluenza del Bradano col Signone. Acerenza ha il privilegio singolare di possedere il busto colossale dell'imperatore Giuliano. E, ciò che è propriamente un colmo di stranezza, il busto dell'apostata imperiale è collocato su di un alto pinnacolo della sua cattedrale, come l'imagine del santo protettore della città. Le indicazioni precise intorno a quel busto furono date, credo, la prima volta da Francesco Lenormant1. Acerenza pare fosse una delle poche città che cordialmente parteggiavano per la restaurazione politeista tentata da Giuliano. Il giovane imperatore vi doveva essere grandemente onorato. Un frammento d'iscrizione che si legge su di una pietra impiegata nella costruzione della cattedrale e che doveva appartenere al piedestallo di una statua, dice: «Al riparatore del mondo romano, al nostro Signore, Claudio Giuliano Augusto, [pg!xiv] principe eterno». Ed un secondo frammento di un'altra iscrizione più monumentale, portante alcune lettere del nome di Giuliano, fu letta dal Lenormant sulla soglia di una delle cappelle della cattedrale. È dunque assai probabile che il busto in marmo d'imperatore romano che adorna il vertice della cattedrale stessa rappresenti appunto Giuliano, ed abbia appartenuto ad una statua colossale che gli abitanti d'Acerenza avevano innalzata in suo onore. La probabilità è accresciuta dalla circostanza che facilmente si può spiegare il bizzarro equivoco pel quale l'apostata maledetto si è trasformato in un santo venerato. Il patrono della cattedrale d'Acerenza è San Canio, vescovo di Juliana, in Africa, il cui corpo, si narra, fu portato in Lucania dai Cristiani che fuggivano dall'Africa cacciati dai Mussulmani. «Ora — dice il Lenormant — il rapporto delle proporzioni rispettive sembra indicare che il frammento d'iscrizione in onore di Giuliano, formante la soglia di una delle cappelle, proviene dal piedestallo della statua. Quel frammento presenta solamente le lettere VLIAN. Se, come è probabile, i due avanzi furono estratti dal suolo nel medesimo tempo, i preti d'Acerenza, fra il 1090 ed il 1100, più preoccupati di San Canio che dell'imperatore Giuliano, avranno completata l'iscrizione mutilata in quella di Julianensis episcopus, e l'Apostata fu d'un colpo trasformato in martire ed in protettore celeste». Questo ritratto di Giuliano, già tanto interessante per la sua storia curiosa, lo è anche pel valore intrinseco dell'opera, per l'espressione intensa di vita e per una certa grandiosità potente che c'è nell'insieme. Pare anzi strano che, in un'epoca in cui l'arte era in piena decadenza, ci fosse uno scultore capace di plasmare una figura con sì semplice vigoria. Lo scultore ha voluto rappresentare non il pensatore, ma il soldato. Il capo è cinto da un serto d'alloro, e il corpo è coperto dal paludamento militare. Se questo è Giuliano [pg!xv] noi dobbiamo vedervi Giuliano vittorioso, alla testa delle sue legioni.

      Dissi, se questo è Giuliano, perchè, malgrado le indicazioni affermative del Lenormant, che hanno avuto testè la conferma di un insigne archeologo, Salomone Reinach, in una comunicazione da lui letta all'Istituto di Francia, qualche dubbio non può a meno di sorgermi nell'animo. In primo luogo, mi pare non possa esservi alcuno che abbia qualche dimestichezza con gli scritti di Giuliano, il quale non provi un'impressione di stupore nel vedersi davanti questo ritratto. Ma come? Il pensatore, lo scrittore che aveva passata tutta la sua giovinezza sui libri, il filosofo ed il teologo sottile ed inquieto, lo studioso infaticato che, anche in mezzo alle cure della guerra, si alzava, nel cuor della notte, per leggere i suoi autori e comporre i suoi trattati, il sognatore utopistico che non pensava che alla rivoluzione morale del mondo, alla creazione di un Stato religioso di cui egli sarebbe il pontefice massimo, avrebbe avuto i lineamenti e l'aspetto di questo Romano d'antico stampo, di questo soldato risoluto, quadrato e robusto nella mente come nel corpo, di quest'uomo a cui, certo, possiamo attribuir la forza della volontà ed il vigore dell'indole, ma a cui parrebbe del tutto estranea quella mescolanza di idealità e di pedanteria che era così caratteristica dello spirito di Giuliano? Se questo è il suo ritratto genuino, v'era tutta una parte di lui che non traspariva nel suo volto, che rimaneva nascosta nei penetrali più segreti dell'anima. In questa effigie potrei riconoscere l'eroe di Strasburgo, il duce audace del passaggio del Tigri, ma invano vi cerco lo scrittore modesto ed arguto della lettera a Temistio, il moralista severo del frammento sui doveri del sacerdozio, il poeta pungente, ingegnoso e dotto del Misobarba.

      Ma confrontiamo l'imagine d'Acerenza coi ritratti scritti [pg!xvi] che ci hanno lasciato Gregorio di Nazianzo ed Ammiano Marcellino. Come vedranno i lettori che vorranno addentrarsi in questo mio libro, il profilo tracciato da Gregorio non è in alcun modo conciliabile con questo busto di vigoroso soldato. Gregorio ci presenta un giovane convulso, una specie di epilettico dallo sguardo vagabondo, dal collo dondolante, dai lineamenti mobilissimi, dall'atteggiamento incerto ed instabile, una figura interessante, che però non ha nemmeno il più lieve vestigio di quella maestà fiera, ma posata e sicura, che splende sul volto dell'eroe d'Acerenza. È vero che Gregorio era ispirato dall'odio contro Giuliano così che egli ne ha disegnato il ritratto coll'intenzione di farne la caricatura. Ma non bisogna, però, dimenticare che Gregorio ha convissuto lunghi mesi con Giuliano sui banchi della medesima scuola; pertanto, data anche l'intenzione di farne la caricatura, ci doveva pur essere, nella caricatura, un fondo di verità. Se non che, si potrebbe forse osservare che Gregorio ha conosciuto Giuliano giovanissimo, prima che la dura vita di soldato, da lui condotta in Gallia, lo avesse invigorito e trasformato in un uomo d'azione, e non è da ritenersi impossibile una corrispondente trasformazione della sua figura.

      D'importanza capitale è la descrizione d'Ammiano che ha accompagnato Giuliano in Persia e che, quindi, ce lo presenta quale era negli ultimi tempi della sua vita. — Mediocris erat statura,


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