L'Imperatore Giuliano l'Apostata: studio storico. Gaetano Negri
la verità. Certo, Libanio è un uomo di partito, un ellenista appassionato, e non ha la piena sicurezza di giudizio che si ammira nel mediocre ma equilibrato Ammiano Marcellino. Tutto quello che dice Libanio deve essere ricevuto con beneficio d'inventario, ed esaminato con un granello di sale, ma, in ogni modo, non è possibile farsi un'idea chiara e precisa di ciò che è stato e di ciò che ha voluto fare Giuliano, se non si leggono gli scritti di questo suo devoto amico ed appassionato ammiratore.
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All'estremità opposta a quella in cui si trova Libanio, noi vediamo Gregorio di Nazianzo, che fa parte, insieme a Basilio ed a Gregorio di Nissa, di quel terzetto di grandi teologi ed oratori, al quale è dovuta la vittoria finale dell'ortodossia nicena. Nato a Nazianzo, in Cappadocia, nel 330, Gregorio era coetaneo di Giuliano, e si trovò insieme a lui in Atene, dove furono condiscepoli di studio. Ma Gregorio era tanto infervorato di Cristianesimo, quanto l'altro d'Ellenismo, e, sebbene Giuliano prudentemente nascondesse le sue tendenze, queste furono indovinate da Gregorio che concepì tosto una viva antipatia pel compagno. Tale antipatia si convertì ben presto in un odio veramente feroce. Gregorio aveva acquistata, come vescovo, ma sopratutto come oratore, un'altissima posizione nel mondo ecclesiastico, e questa posizione, aumentando la sua responsabilità, lo faceva più implacabile pel nemico del Cristianesimo. A ciò si aggiunga che la grande coltura del suo spirito lo rendeva maggiormente sensibile al pericolo che il nuovo genere di guerra, iniziato da Giuliano, creava alla religione cristiana. La morte di Giuliano, che fu per gli ellenisti un colpo terribile e desolante, fu pei Cristiani, e, sopratutto, pei Cristiani letterati e filosofi, come Gregorio, un sollievo inaspettato che li liberava dal più spaventoso degli incubi, ed essi innalzarono un grido di gioia. Nessun grido più esultante e più spietato di quello di Gregorio nei due discorsi infamanti, nelle due colonne infami, come egli stesso li chiama, da lui scritti contro Giuliano, quando ne fu conosciuta la morte. In questi discorsi, Gregorio non è uno storico, e molto meno un giudice; è un polemista terribile, ispirato da un furore che gli toglie del tutto la serenità dell'occhio e del giudizio, ma un [pg!10] polemista dall'ampio volo, e di una eloquenza che trascina. Se Libanio ci rappresenta l'impressione d'esultanza che Giuliano aveva prodotta nel mondo ellenico, Gregorio ci rappresenta ancor più vivamente l'impressione d'orrore prodotta nel mondo cristiano. Le esagerazioni dell'amore e dell'odio, dell'ammirazione e dell'aborrimento si correggono a vicenda, e ne esce una figura rispondente alla verità.
Non vi può essere esempio più curioso della relatività soggettiva dei giudizii umani. Ecco qui due uomini, due contemporanei, di ingegno aperto, di grande coltura, due, infine, fra le più eminenti personalità del loro tempo. Sono essi, e l'uno e l'altro, venuti a contatto con un principe audace, in balia dei più strani capricci della sorte, un principe che ha empito il mondo delle gesta compiute nella sua brevissima, meteorica esistenza. E l'uno e l'altro parlano di quel principe in solenni discorsi, tenuti quando egli era morto, quando della sua opera nulla era rimasto, quando, pertanto, nè il lodarlo poteva recar vantaggio, nè il combatterlo poteva avere un interesse polemico. Ebbene, e l'uno e l'altro sono così esaltati, anzi, acciecati dalla passione che, mentre per l'uno quel principe è un miracolo di virtù, per l'altro è un mostro d'ignominia. Intorno alla sua memoria, i partiti continuarono, per qualche tempo, a tenzonare. Di Giuliano può dirsi davvero che, in vita, è stato
segno d'immensa invidia
e d'indomato amor.
Egli aveva sollevata una tempesta. Le onde di quella tempesta palleggiarono furiosamente il suo cadavere, e lo gittarono sulla spiaggia sfigurato e dilaniato. Che dobbiamo noi fare, per ricomporre quella figura, nella [pg!11] sua realtà? Guardare a ciò ch'egli stesso ci ha detto e ci ha narrato della sua vita, delle sue speranze, dei suoi disinganni. Lì, noi avremo un ritratto genuino, lì, riconosceremo l'uomo vero, con le sue doti meravigliose e con le sue debolezze, e avremo liberato il nostro giudizio dalle imprecazioni appassionate del Cristiano come dalle fallaci apoteosi del Pagano.
Non tutti gli scritti di Giuliano giunsero fino a noi. Tuttavia ne abbiamo in quantità sufficiente per essere pienamente illuminati sul valore dell'uomo e dello scrittore. Rapidissimo dettatore, come vivacemente ce lo dipinge Libanio2, non vi erano preoccupazioni di guerra o di governo che lo distogliessero dal comporre discorsi, trattati, satire, lettere, in cui versava, con un talento naturale, al quale mancava solo il tempo di adoperare la lima, tutta la pienezza del suo spirito versatile. È in questi scritti che si raccoglie il pensiero genuino di quel giovane inquieto che sprecava, nel correr dietro al più ingannevole miraggio le forze di un ingegno acuto e di un'anima generosa.
Gli scritti di Giuliano non hanno tutti il medesimo valore. Abbiamo, da una parte, i discorsi panegirici ch'egli componeva sulla falsa riga della retorica della scuola, la quale poneva tutta l'arte e l'eloquenza in un arido ricettario di formole. Sono, come vedremo, l'espressione di un opportunismo spiegabile, ma, certo, non lodevole nel giovane e sospettato principe. Abbiamo poi i discorsi filosofici, un affettato e poco organico ammucchiamento di dottrine e di simboli, raccolti nell'insegnamento neoplatonico. Questi discorsi, al pari dei panegirici, sono pesanti ed artifiziosi, e, [pg!12] considerati come esercizi letterari e filosofici, hanno, per sè stessi, uno scarso valore. Ma sono preziosi come un saggio delle tendenze e delle abitudini che dominavano nelle scuole del tempo, e, sopratutto, come una dimostrazione del simbolismo mistico con cui il Politeismo si andava piegando alle esigenze del monoteismo, e cercava di lottare col Cristianesimo vittorioso.
Accanto a queste esercitazioni scolastiche, abbiamo i discorsi d'occasione, le satire e le lettere. Qui rivive, davvero, uno spirito originale di cui la pedantesca educazione non aveva illanguidito il fiore, uno spirito che portava, in ogni cosa, una prontezza di percezione, un'impressionabilità geniale, un'acutezza di visione e di giudizio che danno alla sua parola un'espressione vibrante di schiettezza e di verità. È qui che bisogna studiare Giuliano, e quando ricordiamo che questo scrittore brillante, talvolta profondo e talvolta poetico, questo satirico acuto, questo pensatore meravigliosamente versatile e dotto, questo erudito pel quale non solo la sua diletta letteratura ellenica ma anche l'odiata letteratura cristiana non aveva segreti, questo lettore appassionato ed instancabile di Omero, di Bacchilide, di Platone, era quello stesso giovane condottiero di cui il fedele Ammiano Marcellino ci narra le stupende imprese guerresche e ci descrive l'indomabile valore, non possiamo esitar nell'affermare che egli è stato, malgrado l'errore fondamentale della sua vita, una delle figure più cospicue che abbiano illustrata la decadenza fatale dell'antica società.
La storia di Giuliano deve esser fatta con queste quattro fonti che, essendo contemporanee, hanno un valore insuperabile. Le altre narrazioni delle gesta di Giuliano o son giunte a noi in una condizione troppo [pg!13] frammentizia e guasta, per essere documenti sicuri, o provengono, per la massima parte, da scrittori che sono posteriori almeno di un secolo a Giuliano, e quindi non meritano che scarsa fede.
Sarebbero assai interessanti, per la conoscenza di Giuliano, le storie di Eunapio, che, nato nel 347, può ritenersi contemporaneo e testimonio delle gesta del giovane imperatore, sebbene egli stesso ci dica che era in età troppo fanciullesca — κομιδῆ παῖς — per formarsene un giudizio diretto. Eunapio era un fervente ammiratore di Giuliano, e della sua ammirazione le sue storie dovevano dar continue prove. Ma, appunto per ciò, ci pervennero rovinate da ciechi fanatici e ridotte a frammenti poco importanti, perdita tanto più deplorevole perchè Eunapio aveva avuto a sua disposizione le Memorie del medico Oribasio, uno dei più fidi amici di Giuliano.
Ma Eunapio ci ha lasciate, in un altro suo libro, nella Vita dei Sofisti, delle brevi biografie, direi meglio, dei bozzetti dei principali fra i filosofi neoplatonici, in mezzo ai quali fu educato Giuliano. Sebbene egli sia un ben misero scrittore, e, direi quasi, indegno dei tesori di erudizione, che vi dedicarono il Boissonade ed il Wyttenbach, pur egli ha, per la storia di Giuliano, il pregio incomparabile di essere, lui pure, un contemporaneo. Infatti, sebbene appartenesse alla generazione posteriore a quella di Giuliano, egli conobbe personalmente quasi tutti gli uomini di cui ci fa il ritratto, ed anzi, fu parente ed allievo di Crisanzio, uno dei maestri di Giuliano. Noi, pertanto, troviamo in lui delle notizie preziose. Leggendo le vite di Edesio, di Crisanzio, di Prisco, di Oribasio, sopratutto quella di Massimo, il superuomo di quel piccolo mondo, ci sentiamo trasportati nell'ambiente della società neoplatonica, con una [pg!14] vivacità d'impressione assai maggiore di quella