La vita intima e la vita nomade in Oriente. Belgioioso Cristina

La vita intima e la vita nomade in Oriente - Belgioioso Cristina


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pagine appunto al momento delle sue nozze, appariva alla società parigina quasi nel tempo stesso in cui vi regnavano un Lamartine, un Balzac, come il leggendario «prince charmant» al quale nessuna resiste. Malgrado gli auspici, breve dovette essere la felicità coniugale per donna Cristina, più intelligente, più colta, si potrebbe anche dire più raccolta e più fiera del marito. Poco più di cinque anni bastarono a rendere necessaria la divisione della principessa dal marito che riprese, o meglio continuò, la sua vita di giovinotto gaudente. Ciò avvenne nel 1830, che è il medesimo anno nel quale la principessa Cristina cominciò a dare un gran lavoro alla polizia austriaca con viaggi, più o meno clandestini, a Ginevra, Berna, Genova, Livorno e Marsiglia, che furono illustrati da Raffaello Barbiera sulle traccie dei rapporti delle spie conservati nell'archivio di stato di Milano. Fra quelle carte lo stesso biografo diede maggior rilievo alle denuncie di un tal Raimondo Doria sedicente marchese, che cercherà più tardi di coinvolgere la principessa nelle indagini aperte contro Felice Argenti per un supposto attentato contro il Metternich, accuse che del resto non sembra abbiano trovato credito nelle alte sfere viennesi. Non può che destar meraviglia la parte eminente fatta ad una dama di poco più che vent'anni nella preparazione dei primi tentativi compiuti dalla Giovane Italia. La situazione sociale, la generosità ed il fascino della donna si erano imposte anche al Mazzini che le lasciò maneggiare a suo talento le centomila lire che essa aveva offerto nel 1831 per il malaugurato colpo di mano sulla Savoja. Il governo austriaco intervenne inceppando con sequestri la libera amministrazione del patrimonio della principessa che vi contrappose subito il magnifico gesto della vendita de' suoi giojelli. Essa fornì allo scrittore e propagandista Enrico Misley il denaro necessario alle pubblicazioni che denunciarono lo sgoverno che l'Austria ed i suoi sostenitori facevano del disgraziato popolo italiano. Non si potrebbe negare qualche fondamento al sospetto di esagerazione, anzi di affettazione, che accompagnò il tenore di vita della principessa nei primi tempi della sua «povertà». Questa fu sempre molto relativa, almeno prima del 1848, e certo non obbligava la discendente dei Trivulzio a dimorare in quell'appartamentino sotto i tetti nel quale essa si fece aiutare dal Thiers a cuocere le uova colle sue bianche mani affusolate. Accanto al sorriso scettico di qualche ironista, quell'innocente ostentazione della dama non ancora trentenne produsse un largo interessamento del gran mondo parigino alle strettezze dell'esule e si risolse in un effettivo discredito della politica vessatoria seguita dall'Austria in Italia. Del resto la principessa Cristina scese ben presto dal suo quarto piano per prendere in affitto un bell'appartamento nella Rue d'Anjou, ove aperse un salotto emulo degli altri celebri che ebbero tanta fama in quel quartiere di Sant'Onorato.

       A voler parlare di quel soggiorno parigino della principessa di Belgiojoso durante la Monarchia di luglio, un italiano della presente generazione si trova ormai in quella situazione imbarazzante, così ben tratteggiata dal Sainte-Beuve quando tenta di ritrarre madame Récamier nella sua età mitica, cioè durante il suo reame mondano anteriore al primo impero. Il rimpianto appassionato che quell'epoca d'intensissima attività politica e letteraria, di una sorta di libertinaggio intellettuale ha lasciato nei superstiti, dopo il crollo del regime nella fornace del 1848, appanna il quadro agli occhi dello storico. Comprendiamo che una società nella quale ancora regnava il Chateaubriand, mentre si affermavano il Lamartine, il Musset, Victor Hugo, Enrico Heine, il Balzac, il Thiers, il Mignet, il Vigny e cento altri, si disfrenavano le passioni di una Sand e di una Ortensia Allart, al tempo stesso in cui si estendevano le applicazioni delle scoperte scientifiche alla vita pratica e si diffondevano le ricchezze, una tale parentesi di rapide realizzazioni e di piaceri dello spirito posta fra le guerre dell'impero e l'inasprirsi delle rivendicazioni sociali fosse atta a suscitare l'entusiasmo di cenacoli raffinati. Noi ora vediamo peraltro la ristrettezza della base di un tal regime troppo assorto nel godimento del presente senza che i moniti del passato lo incuriosissero e lo preoccupassero per l'avvenire, e sentiamo come fosse necessaria una preoccupazione più alta, meno dilettantistica, si potrebbe anzi dire meno bizantineggiante, per riscattare tanti agi e tante feste.

       Non si potrebbe negare tale vanto alla principessa di Belgiojoso che, fra tante esperienze psicologiche e mondane, recava l'ardore della sua fede patriottica ed a quel suo apostolato in difesa dell'Italia perseguitata riconduceva spesso anche inaspettatamente le divagazioni ed i trionfi femminili. Le fu imputata una mancanza di coerenza nel frequente oscillare dal metodo riformatore al rivoluzionario e dal programma repubblicano al monarchico; ma le accuse che le furono mosse dal più autorevole storico del Risorgimento, Alessandro Luzio, per qualche condiscendenza formale alle imposizioni dei governanti austriaci, non possono diminuire l'ammirazione per una lunga vita avventurosa che ritrova appunto la sua unità nell'efficace amor di patria. Meno sicura è la linea di condotta di questa dama con pretese teologiche nei dibattiti filosofico-religiosi. È noto che si arrischiò a scrivere un «Essai sur la formation du dogme catholique» pubblicato nel 1842. Vi tratta con qualche disinvoltura i Padri della Chiesa ed affronta i più spinosi problemi con tanta spigliatezza da aver subito legittimato il dubbio che la collaborazione dell'abate Coeur vi avesse una parte preponderante. La principessa aveva in cuore un profondo attaccamento alla Chiesa Cattolica, che si paleserà anche nelle sue impressioni di viaggio in Oriente, e temette poi per quasi tutta la vita che i consigli di quell'eloquente sacerdote francese non bastassero a preservare il volume dalle censure ecclesiastiche. Con tutto ciò il solo pensiero di redigere un tal libro attesta nobilissime preoccupazioni ed una preparazione filosofica veramente eccezionale in una donna. Si consacrò pure a dilatare i confini della fama di Giambattista Vico e pubblicò un saggio sul filosofo napoletano, seguito da una traduzione della «Scienza nuova». Chi mai si sarebbe aspettato di rintracciare un tal merito nella vita di una regina dei salotti, arbitra della moda, centro di rivalità e di cupidigie? La scelta è difficile fra le numerose testimonianze che ci sono rimaste del soggiorno di Cristina di Belgiojoso in Parigi, variato dalle villeggiature a Versailles, a Marly, alla Jonchère presso Rueil. Il lettore esperimentato riconosce spesso in quei racconti gli echi di risentimenti, d'invidie, di gelosie e di delusioni, sovratutto di queste ultime, implacabili negli uomini vanitosi. Vi è tutta una letteratura, in gran parte fantastica, sulle relazioni fra la principessa ed Alfredo de Musset. I magnifici versi del poeta «per una morta» pubblicati nella Revue des Deux Mondes, e le caricature schizzate a penna e riprodotte nel volumetto della viscontessa de Janzé (poi divenuta la principessa di Faucigny Lucinge) sono gli elementi positivi per risalire con un'indagine non ancor fatta spassionatamente all'origine di quella clamorosa rottura che turbò nei suoi vertici la società parigina intorno al 1840. Non vi è quasi esempio di altre signore straniere che avesser conquistato tanta rinomanza in un mondo chiuso e spesso impassibile verso i nuovi venuti come è l'alta società francese. Alla principessa di Belgiojoso furono intimamente devoti uomini come Claudio Fauriel, scopritore del Medio Evo neo-latino e maestro di Alessandro Manzoni, gli storici Mignet e Agostino Thierry, ospite questi per lunghi anni di cecità in un padiglione eretto nel giardino Belgiojoso della Rue Montparnasse, perfino l'amarissimo Enrico Heine. Il giudizio di testimoni così acuti e liberi dovrebbe pur bilanciare le insinuazioni maliziose dei Don Giovanni respinti o giocati. Leggete in ogni modo, se volete farvi un'opinione personale di questa bella sfinge, le pagine di Madame Jaubert, sorella del conte d'Alton-Shée, della contessa d'Agoult, donne esperte del cuore umano e delle competizioni femminili e concluderete certo che la riputazione di crudele freddezza fabbricata ai danni di Cristina di Belgiojoso è una triste favola. «Pallida, sed quamvis pallida pulchra tamen» fu definita in un momento di irritazione da Alfredo de Musset e, se l'aspetto suo fu cereo e a volte spettrale, la sua bellezza seppe pure animarsi quando sentimenti affettuosi od emozioni patriottiche facevano affluire il sangue nelle vene di quel corpo diafano. Alta, magra, con occhi e capelli nerissimi, collo allungato, la principessa di Belgiojoso, maestra di tutte le eleganze che potessero accentuare il significato della sua personalità estetica, eserciterebbe certo un gran fascino anche nella nostra società contemporanea. Apparsa, fuggiasca e perseguitata, nella capitale del Romanticismo, vi fu da troppi considerata un simbolo vivente di quel mondo d'eccezione e pagò il prezzo di tanti successi cogli strali avvelenati che i contemporanei le lanciaron dietro talvolta additandola alla posterità. L'interesse destato da tutto questo battagliare intorno all'Elena romantica non può che riverberarsi in una maggiore attrattiva offerta dagli scritti svariati nei quali essa ha pur lasciato traccie de' suoi sentimenti e de' suoi sogni.

       A Parigi la principessa di Belgiojoso non visse solo tra i salotti e le biblioteche,


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