Il codice di Perelà. Aldo Palazzeschi

Il codice di Perelà - Aldo Palazzeschi


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reggia.

      Il Re è stato informato della vostra presenza in questa città ed ha subito espresso il desiderio di avervi sotto il tetto regale.

      Le guardie reali non hanno punto esagerato portandoci le vostre notizie, voi siete davvero l'uomo più singolare che si sia mai veduto sotto tutti i regni di questo mondo. Voi venite dunque?

      — Di lassù.

      — Dove lassù?

      — Lassù dove io rimasi sempre prima di scendere alla luce.

      — Siete stato molto tempo prima di venire alla luce?

      — Ci sarà stato quanto tutti gli altri, nove mesi.

      — Forse più di trent'anni. Anzi, certo, trentadue in trentatrè anni.

      — Ma ci canzona sapete, ci canzona.

      — Non ha punto aria da canzonare, taci.

      — Domandagli quando è nato.

      — Quando siete nato?

      — Non so. Stamane all'alba io discesi alla luce.

      — Ma che diavolo vuol dire con questo scendere?

      — Vuol dire che è venuto alla luce stamani, nascere e venire non è la stessa cosa?

      — Ma lui dice che è sceso.

      — E quando uno nasce cosa fa, sale?

      — Ma nemmeno scende. Ed è nato così grande e grosso?

      — Ma è di fumo, è di fumo, cosa c'è da stupirsi?

      — Scusate, siete nato con le scarpe?

      — No, le trovai appena sceso.

      — E dagli con questo sceso!

      — Ma lui dice sceso per nato, cosa c'è da stupirsi?

      — E avendo vissuto trent'anni e forse più, come voi dite, nel seno materno, dovreste serbare un ricordo, una visione di quel tempo.

      — Un ricordo, non una visione. Tutto io rammento ora per ora, ma vedere non mi era possibile, intorno a me era tutto nero.

      — Ma allora vedevate?

      — Nero.

      — Voi vedevate nero?

      — Ma sicuro, ma sicuro, cosa c'è da farla tanto lunga, nel seno materno non si può vedere che nero. Che cosa si deve vedere?

      — Caro mio, nel seno materno si vede un bel corno!

      — Si vede che lui ci vedeva, e vedeva nero, un utero nero, ecco tutto!

      — Utero nero?

      — Ma naturalmente, cosa c'è di strano?

      — Diteci un poco, signore, come lasciaste vostra madre?

      — Quando io discesi esse non c'erano più, ed io discesi appunto perchè non udii più la loro voce.

      — Esse? Chi?

      — Pena! Rete! Lama!

      — Chi sono?

      — Sono le sue madri.

      — Ma è pazzo, è pazzo!

      — Come come come?

      — Sì.

      — Sì? Avete tre madri?

      — È pazzo!

      — Sicuro, ha tre madri, cosa c'è di strano, è un uomo strano, è strano in tutto, cosa c'è di strano?

      — Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe.... Re.... La....

      — Chiamiamolo Perelà!

      — Chiamiamolo Perelà.

      — Ma no Perelà, cosa vuol dire Perelà?

      — Ci fu un re che si chiamava Gola, cosa vuol dire Gola? Si può chiamare lui Perelà.

      — Ma dunque spiegateci, spiegateci per amor del cielo, che cosa dobbiamo raccontare al Re?

      — Dove io restai fino a stamane, non era il seno di una qualunque madre, era la sommità di un camino.

      — Ahaaaaa!

      — Uhuuuuu!

      — Ohooooo!

      — Ecco!

      — Un camino?

      — Povero diavolo!

      — Ardevano sotto a me costantemente alcuni tronchi, un perenne, mite fuocherello, ed una spira di fumo saliva su su per il camino dove io era. Non ricordo quando in me nacque la ragione, ma io incominciai ad esistere, e gradatamente conobbi il mio essere, udii, capii, sentii. Udii in principio una confusa cantilena di voci che mi sembrarono uguali, capii che sotto a me esistevano degli esseri che avevano qualche attinenza con me, sentii che io era una vita.

      Intesi giorno per giorno meglio le voci, incominciai a distinguere le parole, capirne il significato, e sentii ch'esse rimanevano in me non inerti, ma incominciavano la trama di un loro lavoro.

      Senza interruzione il fuoco ardeva e la spira calda saliva ad alimentare questa mia vita. Io era oramai un uomo.

      Sotto a me erano tre vecchie che alternativamente leggevano, alternativamente parlavano. Appresi così quello che gli altri uomini apprendono dai loro insegnanti. Pena, Rete, Lama, non tralasciarono di prepararmi a nessuna utile cognizione.

      Io imparai di guerra, d'amore, di filosofia.... tutto era in quel libro.

      — Anche la filosofia?

      — Sì.... una filosofia leggera.... leggera.... era quella che poteva giungere sino a me.

      — Meno male.

      — E tutte le cose mi giungevano così.

      — Le tre vecchie si chiamavano dunque?

      — Pena, Rete, Lama.

      — Che nomi!

      — Io ho conosciuto un uomo che si chiamava Dato, che prodezze!

      — Quelli non erano i loro nomi, erano solamente tre parole che usavano per distinguersi. Oh! Esse dovevano chiamarsi bene altrimenti!

      — Ma sapevano che voi eravate lassù, alla cima del camino?

      — Lo sapevano? Io non riuscii a scuoprirlo mai. Esse non dissero mai una parola che riguardasse me.

      — E voi non parlaste mai?

      — Solamente stamane mi sono accorto di parlare, quando per la prima volta le ho chiamate. Pena! Rete! Lama! Pena! Rete! Lama! Pe.... Re.... La....

      — Non piangete più.

      — Fatevi coraggio.

      — O bella, erano le sue mamme vè, lasciatelo piangere povero diavolo.

      — Ma se stavano sempre lì a leggere avranno avuto la loro buona ragione.

      — Potevano stare al camino per scaldarsi, o bella!

      — Anche d'estate tenevano il fuoco acceso?

      — Sempre.

      — Allora lo sapevano, erano d'intesa di non parlarne.

      — Ma voi che cosa pensate di voi?

      — Fui ammassato e composto da quella spira di fumo, cellula per cellula, come le pietre di un edifizio? In maniera che tutto il prodotto di quel fuoco venisse usato per la mia costruzione....

      — Ma il fumo non andava fuori dal camino?

      — Il camino era otturato alla sommità dove io giungeva colla mia testa.

      — Ah! Ecco! L'utero nero era dunque serrato.

      —


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