Prose (1880-1890). Cesare Pascarella
Cade in terra facendo uno strillo,
Che anche i sassi ne senton pietà.
Quando s'alza che torna in sè stesso
Corre a casa e che trova? La moglie
Che gridando fra orribili doglie
Di due figli lo fa genitor.
Lui li prende e li guarda i visetti
E li vede che sono il ritratto
Di colui che compiva il misfatto
Di quel vile del suo traditor.
E fu allora che ai gran dispiaceri
Del suo quadro, nonchè la consorte,
Lui decide di darsi la morte
Suicidando se stesso da sè.
E impugnato un tubetto di biacca.
Lo sorbiva piangendo, e tapino
Ed in braccio del suo manichino
Lui moriva fra grandi dolor.
Signore e Signori,
Nei secoli venturi molte cose nuove compariranno nel mondo, moltissime altre dilegueranno; ma il manichino, o signori, non potrà mai perire perchè sta troppo saldamente piantato su due basi, dalle quali nessuna forza umana lo potrà mai rovesciare: sull'economia e sulla morale. Sull'economia? Eh! Dio buono, finchè il mondo sarà mondo, esisteranno pittori; finchè vi saranno pittori, siatene certi, vi saranno sempre pittori affamati, e fino a che vi saranno pittori affamati vi sarà il manichino. Sulla morale? Eh, lo so bene che verranno tempi in cui i procaci atteggiamenti degli ignudi dei modelli e delle modelle che non son sempre modelle di virtù, pervertiranno i popoli; e allora il manichino si allontanerà in volontario esilio; ma quando gli uomini e, forse, le donne torneranno a chiedere nei quadri e nelle statue i concetti seri e pensati e la nota classica, allora egli ricomparirà a domandare il suo posto. Allora la folla delle damine che si raccattano il gonnellino, la processione dei conti e delle contessine, l'esercito dei cavalieri della rosa e dei moschettieri che fumano la pipa, che si arricciano i mustacchi e che alzano il bicchiere, gli sciami languidi e dinoccolati degli incroyables e delle merveilleuses fuggiranno, con le loro smorfie e i loro sdilinquimenti, e il manichino avvolto nelle rigide pieghe del suo mantello ricomparirà vittorioso. E, spazzato via tutto quel ciarpame di velluti, di rasi e di sete, di nastri, di frange e di trine, sarà lui, il manichino, che si pianterà fiero e gagliardo sulle travi rotte e cadenti del ponte Sublicio a rattenere l'impeto delle orde etrusche invadenti l'antica Roma; sarà lui che si coprirà il capo ordinando che i suoi figliuoli sien tratti al supplizio; sarà lui che stenderà il braccio sui carboni ardenti, innanzi alla faccia barbuta del re Porsenna; sarà lui che, avvolgendosi nella toga bianca, cadendo trafitto a morte in Senato sotto la statua di Pompeo, esclamerà dolorosamente con l'eloquenza del gesto: — Tu quoque Brute, fili mi: sarà lui infine che, ramingo per le terre d'Italia, cieco e vecchio, andrà supplicando la pietà dei passanti, mormorando col gesto triste: Date obolum Belisario! E quando sulle rovine dei bassi tempi sorgerà il gentil fiore azzurro dell'ideale, sarà lui, il manichino, che ritornerà di Terra Santa a cavallo d'un caval a riabbracciare la sua donna che lo attese per ben sette anni sul verone del maniero avito. Lui scenderà cinto di maglia nel torneo di Tolosa, e galopperà su un leardo pomellato, con la salda lancia in resta; lui, col liuto su la schiena, cacciato in bando, s'aggirerà solingo e pensoso nella selva bruna, fuggendo ogni chiaror fuor che la luna! Lui, infine, salirà trepidante, fra il fogliame verde scuro dell'edera, sopra il veron di gotica torretta, e lassù si stringerà al petto la castellana infedele, mentre la scaletta di seta oscillerà lievemente, nel bujo, baciata dalla tepida e dolce aura notturna!
E poi, o signori, dalla scimmia non dirò che ci siate venuti voi; ma io ci son venuto di certo. Chi potrà dire che cosa verrà dal manichino?
Forse nelle lontane epoche dell'avvenire, egli saprà rimediare al malanno che ora lo affligge, la calvizie, e saprà ornare di una bella barbettina bionda le sue gote pallide. Forse allora, egli avrà non più nelle vuote orbite due punti neri inanimati; ma due lucenti e mobili occhi, e nel suo corpo batterà un cuore ove pulseranno onde purissime di sangue. Sarà bene? Non lo credo.
Ah, meglio il manichino di legno che il manichino di carne e d'ossa!
Il manichino di legno non vi secca con la sua parola sciocca e vanesia, non vi annoia, per divertirvi, zufolandovi all'orecchio le ariette e le frasi udite ai concerti e nei teatri, non vi infastidisce ripetendovi le discussioni politiche da lui udite fra il fumo dei sigari, su le panche dei caffè, non vi punge con gli spilli della maldicenza, non vi scaglia nella schiena la freccia avvelenata della calunnia, non viene ad ammirare i vostri quadri per poi andare a sparlare delle opere vostre, non penetra amicamente nei vostri studii a rubarvi i bozzetti. Oh, meglio, meglio il manichino di legno, credete. Pure, la trasformazione si compirà, e sarà ancora una volta provato l'assioma della dottrina darwiniana sulla evoluzione, così detta, perfettiva degli esseri. Verrà un giorno in cui anche i manichini si agiteranno a chiedere diritti e guarentigie, a vociare discorsi e a unirsi in falange compatta e ordinata per soverchiare le prepotenti forze degli umani. In quel giorno il pittore sarà costretto dal suo manichino a posargli da modello. Forse allora i manichini invaderanno i pubblici uffici, le università, il parlamento, il senato, la reggia; e andranno a scacciare dalle cattedre delle Accademie di belle arti i professori, per diventare essi professori a loro volta. Il più onestamente mite si limiterà a chiedere il grado di sottotenente nella milizia territoriale. I più irrequieti chiederanno di far parte del Circolo artistico, e uno di costoro, acclamato dal plauso unanime, seduto sul seggio presidenziale avrà l'onore di governare le legioni artistiche.
Forse uno di loro chiederà al consiglio direttivo il permesso di annoiare il prossimo suo e terrà un corso di conferenze nella maggior sala dell'Associazione. E, quel manichino riconoscente, inizierà la serie tenendo una conferenza su questo bel soggetto: «Cesare Pascarella».
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