Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis

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Tu me ne rispondi. Ma bada, devi trattarlo con cortesia e soprattutto cerca di dargli l’impressione che non ci sei e che non lo sorvegli. Chiudi la porta, anche a chiave dal di dentro, se credi, e non far entrare nessuno, tranne naturalmente il giudice istruttore. Ma quello lo vedrò prima io. Hai capito?»

      L’agente s’inchinò, allargando le braccia con un gesto goffamente espressivo:

      «Sì, cavaliere.»

      «Va’.»

      E lo condusse lui stesso sin quasi dentro la camera, richiudendo la porta.

      Poi si avvicinò a Cruni.

      «E adesso ascoltami.»

      Rapidamente, ma con la maggiore chiarezza possibile, gli espose i punti essenziali delle affermazioni fattagli dal conte Marchionni e gli ordinò di controllarle. Si recasse al Savini, al Clubino, al palazzo del conte e interrogasse tutti coloro, che potevano confermare o meno quanto Marchionni aveva detto. Gli raccomandò, però, di usare la maggiore discrezione possibile. Cruni doveva capire come, tanto lui, quanto il commissario, giocavano una carta pericolosa, controllando a quel modo le informazioni di un testimone di quella importanza. Cruni rispondeva con cenni di assenso. Aveva capito perfettamente. Ad un certo punto, esclamò:

      «Anche a me, quel signore non sembra molto cristiano!»

      «Cristiano o no, caro Cruni, se il Questore viene a sapere quel che facciamo, senza avere avuta la sua autorizzazione, ci fa saltare tutti e due. Per me è cosa da nulla; ma per voi…»

      «Oh, per me!» fece il brigadiere, alzando le spalle, e preso il cappello, che aveva posato sopra una sedia dell’ingresso, si diresse verso l’uscio.

      Proprio in quel momento, dal di fuori, una chiave venne introdotta nella serratura. Il rumore, che fece girando si sentì netto e sicuro.

      De Vincenzi afferrò immediatamente Cruni per un braccio e lo trasse in un angolo. Tutti e due rimasero lì, appiattiti, con gli occhi fissi alla porta.

      La chiave girò due volte e l’uscio si aprì lentamente.

      R

      Il battente dell’uscio si aprì e nel riquadro di esso apparve la figura di un uomo tozzo e quadrato. Aveva il cappello grigio quasi sugli occhi e un lungo pastrano nero.

      Si fermò un istante, a guardare la stanza d’ingresso, ma non vide i due, che si erano nascosti dietro la porta della cucina. Avanzò lentamente, richiudendo con cura la porta dietro di sé. Poi si diresse nella camera del domestico e si tolse il pastrano e il cappello. Prese sul letto il panciotto a righe bianche e turchine e una giacca nera. Guardò un istante quegli indumenti, quasi chiedendosi se dovesse o meno indossarli e poi si decise. Si tolse gli abiti che aveva in dosso e rivestì quelli, che indicavano palesamente le sue funzioni.

      Si diresse poi verso la sala da pranzo.

      De Vincenzi lo poteva veder chiaramente. Un uomo piuttosto anziano, dai capelli grigi, ma con la pelle ancora fresca, solido e forte.

      Il commissario non lo lasciò entrare nella sala e, quando quegli fu in mezzo alla stanza d’ingresso, avanzò direttamente verso di lui.

      L’uomo ebbe un sobbalzo e istintivamente portò la mano alla tasca posteriore dei pantaloni. Con voce un poco turbata, ma minacciosa, chiese:

      «Che cosa fate qui dentro?»

      Il commissario gli chiese:

      «Voi siete Giacomo Macchi, il cameriere di Aurigi.»

      L’altro trasalì, ma ritrovò subito la propria sicurezza.

      «Io sono il cameriere del signor Aurigi, infatti. Ma loro chi sono e che cosa fanno in casa del mio padrone?»

      «Ve lo dirò dopo…» rispose De Vincenzi, dirigendosi verso la sala da pranzo. «Venite avanti, adesso… Datemi la rivoltella, che avete in quella tasca e rispondete alle mie domande.»

      «Con che diritto si permette?…»

      «Sono un commissario di Polizia. Presto! La rivoltella…»

      Il cameriere aveva vacillato. Dovette farsi forza e padroneggiarsi, per riuscire a togliersi la rivoltella dalla tasca e per porgergliela: «Non capisco…»

      «Capirete…» disse De Vincenzi, guardando la rivoltella:

      «Una Browning… Sei e mezzo… A sette colpi…»

      Fece scorrere la canna e si accertò che vi fosse il proiettile. Annusò il foro di uscita. Certamente quella rivoltella non aveva sparato di recente.

      «Una graziosa arma, perfettamente tenuta… Datemi il porto d’arme.»

      «Non l’ho…» rispose il cameriere, dopo avere esitato.

      «Bene! E la rivoltella è vostra?»

      «Sì… no… non è mia!»

      «Di chi, allora?»

      «Del signor Aurigi… del mio padrone…»

      «E perché la portate voi?»

      «L’ho presa, ieri sera. Contavo di rimetterla a posto stamane… Lui non se ne sarebbe accorto.»

      «Dove la tiene, di solito?»

      Il cameriere si voltò ad indicare un piccolo mobile nell’angolo della stanza, vicino al caminetto sul quale la pendola segnava le nove e tre quarti.

      «Lì, in quel mobile. Nel primo cassetto.»

      De Vincenzi andò al mobile fece per aprire il cassetto indicatogli. Ma era chiuso. Si volse a Giacomo:

      «La chiave?»

      Lo stupore del cameriere fu evidente.

      «Non so! Era aperto… è sempre aperto…»

      Si era avvicinato al mobile e aveva aperto gli altri tiretti, per cercarne la chiave.

      «Non capisco! Ieri sera era aperto e la chiave si trovava nella serratura.»

      De Vincenzi ebbe un gesto e si voltò verso Cruni:

      «Prendete uno scalpello, un ferro… In casa ci sarà bene uno scalpello, un martello, qualcosa per aprire questo cassetto!…»

      «Sì,» fece il cameriere. «In cucina, nell’armadio, c’è la cassetta dei ferri… Vado a prendergliela.»

      De Vincenzi, lo trattenne per un braccio.

      «No. Rimanete qui…» e fece un cenno a Cruni che andò in cucina.

      Il commissario, tenendo sempre Giacomo per il braccio, lo fissò negli occhi:

      «E voi dite che ieri sera era aperto?»

      «Certo! Il signor Aurigi lascia sempre tutti i suoi cassetti aperti. Egli sa che può fidarsi di me…»

      «Infatti!» disse il commissario, ironicamente.

      L’altro alzò le spalle:

      «Le ho detto che l’avrei rimessa a posto. Se gli avessi chiesto di prestarmela, me l’avrebbe data.»

      «E perché, vi occorreva la rivoltella, ieri sera?»

      Giacomo tacque.

      «Perché?» insistette il commissario.

      «Oh!» disse con sforzo il cameriere. «Io non so perché lei mi faccia tutte queste domande!… Mi ha trovata la rivoltella in dosso? Non ho il porto d’arme? Allora, se crede, mi arresti. Non c’è altro da dire!»

      «Ah! Credete proprio?»

      Cruni arrivava con uno scalpello e il commissario glielo tolse di mano con un gesto brusco.


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