Augusto De Angelis: Tutti i Romanzi. Augusto De Angelis
Credi anche tu quel che vuoi!… Oramai!»
In quelle parole era un tale abbandono sfiduciato, un tale rinunzia ad ogni lotta, che l’amico lo afferrò per un braccio e lo obbligò a voltarsi verso di lui.
«Guardami, Giannetto! È spaventoso quello che è accaduto qui dentro, spaventoso sopratutto per te. Io mi sforzo di crederti innocente… Lo voglio! Ti dirò di più… È l’amico che ti parla… L’amico, il compagno dei tempi lontani… Credimi! Ti dirò quel che il mio dovere mi vieterebbe di dirti: c’è qualcosa in tutto questo di così torvo… Di così paradossale… Di così terribilmente artificioso… Che mi fa credere alla tua innocenza. Ma per l’amor di Dio, aiutami tu! Parla! Dimmi tutto. Mettimi in grado di scoprire la verità, anche se la ignori!»
L’altro non apparve commosso. Sembrava insensibile. Crollò di nuovo le spalle.
«Oramai!» ripeté.
De Vincenzi ebbe un nuovo scatto e questa volta la sua violenza si fece proprio brutale:
«Ma non capisci, imbecille, che è la vita che giuochi?!… Tutte le apparenze sono contro di te! Non capisci che io stesso non posso far nulla, se tu non mi dai il modo di scoprire la verità?»
«Non so! Non so nulla!…»
«Ma renditi conto, Giannetto, che nessuno ti può credere, quando dici di non saper niente! Questa è casa tua… la serratura non è stata forzata… Capisci quel che voglio dire? E poi, come si può ammettere che Garlini sia entrato in casa tua per farsi ammazzare… da un altro, se non ce l’hai condotto tu?… Garlini era il tuo agente e, mentre ti parlo, i periti stanno facendo l’esame dei libri della banca… Troveranno le cifre della tua partita, diranno che tu avresti dovuto pagare domani all’agenzia di Garlini quasi mezzo milione!…»
Giannetto lo ascoltava, evidentemente, ma non si muoveva; il suo volto rimaneva impenetrabile.
Il commissario ebbe un piccolo sussulto, quasi un’idea improvvisa gli fosse apparsa.
Lentamente, scandendo le parole, domandò:
«Avresti dovuto realmente pagare mezzo milione a Garlini?»
«Che vuoi dire?»
Allora, De Vincenzi gli parlò con semplicità, e con tale sincerità nella voce, che anche Aurigi ne fu per qualche minuto scosso.
«Ascoltami, Giannetto! Tu lo sai! Tranne nel caso della pazzia, per commettere un omicidio occorre una ragione, una causale, il movente. Il tuo movente, qualora fossi stato tu ad ucciderlo, c’è. È l’interesse… Il fatto preciso che avresti dovuto pagare domani una somma, che non avevi…»
Aurigi lo interruppe quasi con baldanza:
«Chi può dire che io non l’avessi?»
Subito l’altro si fece insinuante, pur continuando a scrutarlo: «Allora… hai pagato?»
«Tu lo sai, se io ho pagato!»
«No! Evidentemente, non lo so o per lo meno non lo so ancora. Come credi che potrei saperlo?»
«Oh! allora…»
«Allora, sei tu che devi dirmelo. E devi anche dimostrarmi come facevi ad avere il denaro, per pagare, se lo avevi.»
La risposta venne immediata, troppo immediata e troppo piena d’ansia.
«Non ho pagato!… E come potevo avere il denaro per pagare?»
De Vincenzi si ricordò allora di uno dei due fogli, che aveva trovati nelle tasche del morto e che si era cacciato nelle proprie, appena lettolo. Non l’aveva neppure mostrato a Maccari. Non l’avrebbe per ora mostrato neanche al giudice istruttore. Con un movimento macchinale fece per estrarre quel foglio dalla tasca; ma subito si trattenne. Non doveva mostrarlo ancora a Giannetto. Non doveva unicamente, perché avrebbe tradito il suo ufficio, facendolo.
Allora, come per farsi perdonare da se stesso quella severità, quella freddezza d’indagine, che certamente in lui doveva sempre esistere, ma che questa volta, data la sua amicizia per quell’uomo, lo faceva soffrire, parlò ancora con calore rinnovato.
«Ma benedetto Iddio, non rinchiuderti in un silenzio aspro e terribile, che ti perde!… Non vedi che tutto ti accusa! Come vuoi che Garlini sia venuto qui, se non con te o per trovar te?»
«Non lo so!»
«È pazzia la tua! Vuoi difenderti, fingendo la pazzia?»
L’altro spalancò gli occhi, come se quell’insinuazione avesse avuto soltanto il potere di stupirlo.
«Ma non mi difendo! Non mi difendo; soltanto ti supplico di non torturarmi! Se ancora un po’ della tua vecchia amicizia è rimasta in te, se proprio puoi riuscire a non disprezzarmi, non continuare a voler sapere da me quel che io non posso dirti, perché lo ignoro!»
Cadde a sedere e si prese la testa fra le mani. S’intese un singhiozzo e le sue parole si fecero supplichevoli.
«Non posso… non posso dirti nulla!… Non so… non capisco… ho paura di capire!»
Rialzò la testa, con uno scatto di disperazione. Nella voce gli suonava uno strazio sordo:
«Ho paura, capisci! Ho paura di sapere quel che è successo qui dentro!»
De Vincenzi continuava a fissarlo. Certo tutto il dramma doveva trovarsi racchiuso in quelle parole. Ma Giannetto non avrebbe pronunziate le altre, che sarebbero state necessarie a spiegarlo. Meglio era fingere di non voler sapere, senza contare che adesso sarebbe stata una crudeltà.
«Bene! Calmati… Dopo tutto me la caverò da me, anche se tu non vuoi. Abbiamo troppi indizi, per non riuscire…»
Cercava le parole. Ad un tratto, si cacciò deliberatamente la mano in tasca e trasse non quel foglio, che prima aveva stretto tra le dita, senza osare di mostrarlo ad Aurigi, ma un altro, il secondo di quei due, che aveva trovati nelle tasche del morto. E glielo mise davanti agli occhi.
«Guarda!»
Non c’era bisogno di dirglielo. Giannetto aveva visto e un brivido lungo lo aveva percosso.
Chiese con voce che non vacillava:
«Lo aveva in tasca?»
«Sì. Lo aveva in tasca, nella tasca interna del frak… È tuo vero? È un tuo biglietto a Garlini. C’è la data di ieri… C’è la tua firma… Dice…»
Giannetto l’interruppe con sarcasmo. Era riuscito a vincere il turbamento e si era fatto freddo:
«Lo so quel che dice!»
Ma De Vincenzi lesse:
«“Vieni stanotte alle dodici e mezzo… Preparati a mantenere l’impegno”… e la firma, la tua firma… Ebbene?…»
Adesso le domande e le risposte, le parole dei due si fecero incalzanti. Vibravano come colpi di rivoltella.
Realmente il dramma aveva raggiunto, attraverso quel colloquio, l’acme della tragicità.
«È chiaro, no?» pronunciò con tutta la sua ironia, Giannetto. «Che vuoi di più?»
«È chiarissimo… per mandarti alla fucilazione…»
«Oh!» ed alzò le spalle.
Poi subito aggiunse, con freddezza decisa:
«Era un farabutto. L’ho ucciso. È questo che volete sapere tutti quanti? Ora lo sai! Adesso basta! È finito. Non ho altro da dirti.»
«Già… ma invece non è finito. C’è il tuo alibi… Tu sei uscito alle undici e mezza dalla «Scala» e sei stato a passeggiare per due ore… T’hanno visto!»
L’altro, quasi senza volerlo, s’illuminò di speranza:
«Chi