Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota. Otello Cavara

Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota - Otello Cavara


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       Otello Cavara

      Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota

      Pubblicato da Good Press, 2020

       [email protected]

      EAN 4064066068929

       Dal giornalismo all'aviazione.

       Come si diventa piloti.

       La conquista del brevetto.

       L'ala estrema d'Italia.

       La squadriglia esule

       Combattimenti su l'Adriatico.

       Parabole di osservatori e piloti.

       Le prime “acrobazie„ sul caccia.

       Sul Piave e a Pola.

       Indice

      Anche quando il giornalista vola da solo, le personalità a bordo del suo apparecchio sono due: il pilota e l'osservatore; l'uno agisce e l'altro nota. Se il fenomeno non gravita sulla portanza dell'apparecchio, raddoppia però il lavoro del singolare aviatore il quale, oltre provvedere alla manovra, all'orientamento, all'azione bellica, avverte i moti psicologici dai quali sgorga tale operosità, raccoglie con una preoccupazione di esattezza impressioni panoramiche, e procura di vivere nella sua totalità missioni anche se estese ad aeroplani, navi, truppe. Le abitudini acquisite in numerosi anni di vita giornalistica — immediata ricerca nell'attualità di cause e studio di effetti — lo accompagnano pure in volo, mentre in terra si esplicano in implacabili interviste ch'egli infligge ai più esperti perchè la scienza acquisita in terra lo aiuti ad eliminare sorprese in cielo.

      Si riesce aviatori, gli eroi per esperimentare primi le macchine di volo divinate dal loro genio; gli studiosi di meccanica e di aeronautica per amore di motori e di apparecchi; gli appassionati dello sport per il gusto di maggiori cimenti; i guerrieri per la voluttà delle battaglie individuali; i giornalisti per conoscere il meglio, il nuovo della vita e partecipare alla buona guerra nostra tra bagliori inauditi di bellezza e costumi superstiti di cavalleria.

      Un pubblicista non giunge generalmente impreparato al pilotaggio di aeroplani. L'autore di queste note fu, come redattore del Corriere della Sera, in alta montagna a famigliarizzarsi con l'orrore del vuoto, con le vertigini, con le temperature rigide e con l'ostinazione fisica; fu in aerostato a proclamare dalla quota di 4500 metri la decadenza delle proporzioni geografiche e il miglioramento dell'umanità ridotta a puntini; fu in dirigibile per la gioia di andare, almeno in aria, dove gli pareva; fu in aeroplano a constatare in sè una embrionale vocazione di pilota perchè negli sbandamenti si spostava con la persona per ristabilire l'equilibrio, nelle spirali storceva persino la bocca in fuori per non scivolare in dentro e raccomandava in silenzio, durante i viraggi, «attenti nelle voltate». Con tali precedenti si può quasi asserire che il giornalismo, stazione di transito per le più brillanti carriere, lo è pure per l'aviazione.

      Esistono varie egregie letterature d'aviazione; tra queste una minima di coloro che volano e una massima di coloro che non volano. Alla prima appartengono frasi estremamente laconiche: «Nessuna impressione. — Tutto bene. — Nulla di straordinario». La seconda è un inno: «Sorprendenti acrobazie. — Esseri d'eccezione — ....»

      Tra l'una e l'altra s'insinuano queste note di un giornalista-pilota il quale fra l'altro confesserà d'avere sofferto, tra sensazioni epiche e leggiadre, gravi apprensioni durante certi impicci nei quali procedeva avanti perchè era rassegnato e deciso a non tornare più indietro. Ma la sensazione che maggiormente lo sorprendeva all'insperato ritorno era il desiderio cocente di riprovare l'avventura. Durante il volo drammatico aveva temuto di scendere psicologicamente diminuito, e a terra si scopriva aumentato.

      Di qui il dovere del giornalista, proveniente da una professione che è già scuola del carattere, di rendere omaggio, con questi appunti sinceri, a un'altra eccellente scuola del carattere: l'aviazione di guerra.

       Indice

      Forse l'allievo pilota vive il momento più emozionante quando presenta la domanda per essere ammesso a una scuola d'aviazione. Egli non reca in sè che un elemento certo: la decisa volontà di riuscire. Ma l'attitudine a volare è per lui un'incognita la quale lo pone fra l'avidità di provarsi e il dubbio di fallire nel tentativo.

      La guerra ha creato un tipo speciale di volontario dell'aviazione: il pacifico borghese del tempo beato in cui non si credeva alla conflagrazione mondiale, pacifico borghese che dovendo in occasione della guerra assumersi la sua parte di azione e di pericolo, e avendo una predilezione per gli atti che derivano direttamente dalla responsabilità individuale, sceglie l'aviazione conscio di rendere un servizio militare non meno prezioso e periglioso d'ogni altro, e conscio di valorizzare al massimo grado le proprie attitudini morali e fisiche in un'arma di straordinaria bellezza.

      Ed è per ciò che oggi l'aviazione militare aduna rappresentanti d'ogni ambiente, d'ogni cultura e d'ogni mentalità. Diversi per il loro passato, gli allievi si identificano nell'esuberanza delle loro energie, nella dedizione completa ai cimenti aviatorii, nella fraternità che deriva dal comune mistero della loro sorte. Essi più o meno passano traverso le medesime fasi psicologiche: trepidazioni e speranze della vigilia; incosciente disinvoltura durante i primi voli; poi una successione crescente di depressioni e di rivincite al contatto di difficoltà sempre più intense.

      L'allievo giungendo alla scuola è curioso d'ogni particolare. I motoscafi e gli autocarri che recano gl'istruttori e gli scolari, sembrano colmi di gitanti spensierati: e in realtà costoro si accingono ad effettuare i quotidiani voli con la medesima disinvoltura con cui s'intraprende una passeggiata. La scuola aspetta con i capannoni spalancati innanzi all'ampio specchio d'acqua su cui dovranno svolgersi i voli. Gli idrovolanti sono allineati lungo la riva, ciascuno sulla propria pista di legno che dal capannone scende nell'acqua.

      Maestri e allievi vanno a fare toilette. Ognuno ha i propri indumenti di volo. Chi indossa lo scafandro o la pelliccia, chi un maglione, chi s'avvolge il collo d'una sciarpa, chi s'applica un passamontagna, chi il casco. Tutti fanno uso di occhiali e guanti. La trasformazione è sensibile. Le fisionomie scompaiono sotto le maschere e le lenti. Eleganti ufficiali assumono aspetti strani, apparenze grottesche di palombari, di clowns, le loro linee svelte si ricoprono — specialmente dopo l'applicazione del salvagente — di gonfie gibbosità.

      Ad ogni apparecchio corrisponde un istruttore ed una sezione di allievi. Il primo allievo cui spetta di volare — si segue un turno a rotazione — s'ingolfa nella complicazione di fili dell'idrovolante e scende nello scafo, sedendo a destra dell'istruttore dopo aver messo in movimento il motore con giri di manovella. L'apparecchio si stacca dalla riva e l'allievo, afferrato il suo volante e occupati i


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