Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota. Otello Cavara
vicino intervenendo con cenni della mano o con dirette correzioni ogni qualvolta lo scolaro tarda, precipita o confonde i suoi movimenti. Gli idrovolanti partono ad uno ad uno striando lo specchio di spuma, oscillando per sollevare i galleggianti e la coda, poi raggiunta la velocità voluta, saltellano e spiccano il volo. Al ritorno, l'istruttore spiega gli errori commessi dal discepolo e questi li attenua affermando che sono passeggeri e promettendone solennemente la sparizione per il volo successivo. Anche gli altri allievi della sezione presenziano al colloquio per immagazzinare esperienza a spese degli errori altrui.
Il nuovo arrivato osserva i colleghi più progrediti come esseri dotati di misteriose facoltà del cui segreto si vuole impossessare. Timidamente egli procede alla personale conoscenza dell'apparecchio introducendosi nello scafo: con circospezione afferra il volante, lo rigira, lo attrae a sè, lo respinge volgendosi a osservare alle estremità delle ali e della coda i movimenti degli aleroni e del timone di profondità. Si stupisce che i colleghi i quali lo hanno preceduto, spieghino la manovra come una funzione semplice. Poi rimane interdetto udendo il linguaggio d'aviazione fiorito di francesismi. Decollare: manovra per condurre l'apparecchio a staccarsi dallo specchio d'acqua; virare: mutamento di direzione durante il volo; picchiare: abbassare l'apparecchio pure durante il volo; ammarare: far riprendere all'apparecchio il contatto con l'acqua.
Intanto il novizio sente parlare con rispettosa preoccupazione della manovella, il fatale istrumento che serve a mettere in funzione il motore e ad imporre soggezione al novizio: — Attenti ai contraccolpi — lo avvertono gravemente i colleghi che all'esordio conobbero il medesimo patema. — Bada che già vari si sono fratturati il braccio.... — Comincia così la mobilitazione dell'amor proprio: il neofita s'attacca all'insidiosa manovella, non riesce, ritenta e finalmente consegue la sua prima vittoria, girando la nemica con esuberanza trionfale.
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Più è prossimo il momento di volare per la prima volta e tanto maggiormente la sensibilità dell'allievo si paralizza. Pochi istanti prima di salire sull'apparecchio, il novizio, non avvertendo più alcuna emozione, confonde questo stato d'animo con la tranquillità: viceversa è l'effetto di una tensione nervosa, la quale si trasforma in un fenomeno di serena voluttà non appena l'apparecchio si è librato. L'esordiente ha l'illusione che non sia l'apparecchio a sollevarsi, ma il panorama ad abbassarsi, a roteargli lentamente intorno. Una improvvisa, assoluta fiducia lo sorregge: una fiducia ispirata dalla stabilità dell'apparecchio che in volo si rivela solido, imperioso, sonoro e perde l'aspetto fragile osservato da terra. La velocità non è percettibile; pare che l'idrovolante si regga su un solido pernio invisibile. Il vuoto non esiste che per lo sguardo: l'atmosfera si manifesta anche al neofita un elemento consistente, soffice ma tenace, in cui l'apparecchio morde e si regge vittorioso. Ma quando l'idrovolante s'inclina per iniziare la discesa, il novizio si turba. Un rimescolìo passeggero agli intestini, somigliante a quello che dà l'altalena, lo coglie all'improvviso. Il silenzio che segue al fragore del motore — perchè il motore viene fermato o ridotto a una velocità minima — determina una forma d'ansietà. La visione panoramica, che prima era preclusa in parte notevole al neofita dalla punta dello scafo protesa in alto, ora che lo scafo è inclinato, appare in tutta la sua vastità, come osservata da un altissimo balcone, e rivela la quota raggiunta. Si mostra come un'immensa carta geografica a rilievo. Lo specchio d'acqua appare come una enorme lastra metallica bruna e s'avvicina con crescente velocità. Quando mancano pochi metri da esso e l'apparecchio si dispone a posarvisi, si rivela fulminea la rapidità dell'apparecchio stesso: lo specchio gli sfugge di sotto vertiginosamente e il neofita trattiene il respiro in cospetto di questo imprevisto epilogo. Un lieve fruscìo, un impercettibile colpetto sotto lo scafo: l'apparecchio ha preso contatto con l'acqua, solleva intorno biancori di spuma e s'arresta rapidamente.
L'allievo confonde l'ammirazione per il volo con la gioia di averlo condotto a termine: certo è raggiante. Difficilmente le sue impressioni sono da lui espresse in modo genuino, perchè non ha saputo analizzare sè stesso o perchè ritiene obbligatorio ricorrere a una di queste due opposte frasi: «Nessuna impressione» oppure «Impressione straordinaria» accompagnate da un prolungato sorriso ufficiale finchè egli si vede scrutato dai colleghi. Effetti fisici generali: ronzìo alle orecchie paragonabile all'uniforme canto dei grilli, appetito accentuato e richiesta da parte dei colleghi di una bicchierata per festeggiare il primo volo.
Nei voli successivi l'allievo ammesso ad abbozzare tentativi di manovra accanto al maestro, acquista l'improvvisa persuasione che per manovrare siano sufficienti le risorse dell'istinto. La sua convinzione di riuscire diviene tanto più fiera quanto prima dei voli era esitante. Si delinea in lui l'esuberante spirito d'iniziativa: egli scambia per aquilina audacia la propria ignoranza sulle difficoltà del volo. I suoi tentativi di manovra sono senza sfumature. Se il maestro lo frena, egli insiste per ottenere una maggiore autonomia. Non esita ad affermare in piena buona fede che si sentirebbe di volare da solo. Naturalmente pretende di figurare tra gli anziani. In cospetto dei nuovi aspiranti si comporta da vecchio falco, spiega con degnazione annoiata la manovra, concludendo: — È semplicissima!
Ma quando l'istruttore gli affida realmente la manovra, l'allievo entra nella fase di depressione. Egli registra le nuove difficoltà nel suo diario: quasi tutti gli allievi conservano un diario con il numero e le caratteristiche dei loro voli. Oltre occuparsi delle condizioni dell'atmosfera, del motore, dell'acqua, lo scolaro osserva: «Oggi il maestro mi ha dichiarato che se egli non interveniva in tempo ci si infilava nell'acqua». — «Ho osservato che quando reggo io il volante, l'apparecchio disegna le montagne russe; non appena il maestro riprende il volante, l'apparecchio torna in linea di volo. Dunque non è il vento. Il maestro dice che il vento lo faccio io». — «Quando correggo uno sbandamento ne produco uno maggiore. Il maestro dice che faccio fare all'apparecchio ciò che fa il cane quando è gaio; mena la coda a destra e a sinistra».
Se l'idrovolante giunto presso all'acqua non è posto in tempo in linea di volo, toccando l'acqua rimbalza in aria come un ciottolo a forma di piastrella lanciato parallelamente alla distesa liquida. Di qui la denominazione di piastrella a questo tipo di amérissage imperfetto. La piastrella è l'incubo dell'allievo il quale ricorre ai più ricercati sofismi per ripudiarne la paternità. Generalmente spiega che è derivata da un complesso di combinazioni: acqua poco visibile, colpo di vento, vicinanza di una barca, occhiali appannati....
A traverso queste prime esperienze l'entusiasmo del discepolo perde effervescenza: diviene solida meditazione. L'allievo non ha più baldanza loquace, superficiale, nè severità di giudizi. Tace ed osserva. Segue i voli con sguardo da iniziato, rimugina le osservazioni fatte pilotando. Dal modo come si comporta un apparecchio in aria indovina chi lo guida. Anche in aviazione, la personalità, lo stile esistono. L'allievo comincia a comprendere che la manovra non è dettata dall'istinto, ma dalla fulminea entrata in azione di abitudini contratte studiando il volo. È un ricamo di innumerevoli eccezioni intorno a un semplice concetto fondamentale. Ma per conseguire questo senso della manovra occorre vivere la vita dell'apparecchio, occorre che pilota e idrovolante compongano una cosa sola.
La spirale: altra causa di crisi momentanea. L'istruttore la fa conoscere all'allievo d'improvviso ed eccezionalmente stretta per misurare la sua presenza di spirito. L'allievo vede il panorama inclinarsi e sollevarsi obliquamente come agitato da una danza diabolica, vede lago, fiumi, paesi, colli, monti roteare, sovrapporsi quasi fosse giunta la fine del mondo. Quando la spirale cessa di fatto, nella testa dell'allievo continua. Egli rimane rigido, in atteggiamento di difesa, trattenendo il respiro. Scendendo reca il sospetto di non avere attitudine per l'aviazione, ma negli esperimenti successivi si comporta, anche intimamente, con assai maggiore disinvoltura fino a divenire egli stesso un abile autore di spirali, per quanto ampie e caute.
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Affermano in maggioranza i piloti che la loro più acuta soddisfazione derivò dal loro primo volo senza istruttore. Si giunge a questa prova sospinti da un bisogno imperioso di liberarsi dal controllo dell'istruttore. È un'apparente forma d'ingratitudine che ricopre una sostanza di rinascente idoneità. Quando l'allievo in volo si sente spersonalizzato, prova la luminosa illusione di aver sempre volato, considera normale la visione dall'alto del panorama ed è insofferente degl'interventi nella manovra del suo maestro, è evidente che la convinzione di poter volare solo, matura in lui. Ciò che importa assai è la