Voli di guerra: Impressioni di un giornalista pilota. Otello Cavara
accertarsi, traverso le proteste dell'allievo, ch'essa esiste veramente.
Se le discussioni in terra sono spesso vane, in cielo sono addirittura dannose. È necessario in volo perseguire un'idea unica, precisa, ferma. Due idee avverse nella testa di un pilota producono il medesimo disordine di due donne in una casa. Purtroppo l'allievo nel suo primo volo da solo reca due, tre idee per ogni fenomeno nuovo che lo interessa. Il suo è il volo dei dubbii. I fenomeni nuovi sono: il motore, l'orientamento e la solitudine. Quando l'allievo volava col maestro questi si occupava di regolare il motore, di indicare la rotta, e con la sua presenza aboliva la solitudine. Accade che l'allievo, dovendo introdurre nella sua psicologia queste nuove responsabilità, smarrisca momentaneamente l'esatto senso del solo elemento di cui era sicuro: la manovra. Assalito da nuove preoccupazioni, diffida anche delle regole che già applicava con disinvoltura da tempo. Le impiega precipitosamente e provoca nell'apparecchio oscillazioni ch'egli si affretta ad attribuire al vento. Tutti i reduci del primo volo affermano che spirava un vento eccezionale.
Ma la crisi culminante del primo volo è provocata dalla discesa: — Quando spengo il motore? — comincia a chiedersi il neo pilota. — Adesso. No, è presto. Toccherei acqua troppo lontano dalla scuola. Però attento a non scendere contro gli hangars. Spengo adesso. No. Sì. No.
Intanto l'apparecchio, quasi avesse udito il dibattito del suo incerto pilota, si è abbassato per conto suo; l'allievo, allarmato, fa uno sforzo togliendo una mano dal volante per chiudere la manetta della benzina, e riportandola urgentemente al volante. Con l'indice destro cerca il bottoncino del magnete, per togliere la corrente elettrica, ed ha l'impressione di non trovarlo. Eccolo. Preme. Il motore tace. L'allievo inclina l'apparecchio. Troppo. Lo richiama. Teme di scivolar d'ala. Ripicchia. Teme d'imbarcarsi: — Calma, calma, se no va a finir male — raccomanda a sè stesso. La discesa finalmente procede regolare con buona velocità. S'avvicina lo specchio d'acqua. Comincia la preoccupazione per l'amérissage. Si tratta di attenuare l'inclinazione dell'apparecchio, ma con dolcezza, con sfumature quasi impercettibili. Viceversa il reduce richiama a sè il volante troppo sollecitamente: è ancora a sei metri dall'acqua. Respinge il volante ma deve richiamarlo quasi subito perchè è ormai a un metro. Qualche esitazione ancora, poi alla fine l'idrovolante tocca l'acqua, un po' bruscamente e inelegantemente, ma senza eccessivi guai. Lungo respiro di soddisfazione dell'allievo il quale, riacceso il motore, fa ritorno alla scuola salutato dai colleghi che sulla rotonda lo hanno seguìto in volo: — Bene, bravo, — gli gridano. Ognuno vuole stringergli la mano. Il trionfatore diventa insincero. Poichè lo lodano, egli assume l'atteggiamento di chi si merita la lode guardandosi dal denunciare gli errori commessi, anche perchè ha la coscienza di non ripeterli più.
— Quali impressioni? — gli chiedono.
— Mi sono trovato molto bene.
— Si vola meglio senza maestro?
— Non c'è paragone.
In questa fase di ascensione, caratterizzata da prove di crescente portata, il neo pilota è suscettibile di impressioni esagerate che derivano dal consumo eccezionale di energie quando ancora i suoi centri nervosi non sono sufficientemente sviluppati. Ma lo sviluppo nervoso nell'allievo di solida costituzione è alacre e gli consente di superare prove che pensate prima gli apparivano insormontabili. Un allievo che scende esausto da un esperimento non raggiunto, porta nel segreto della sua anima uno sconforto che non sa confidare e che ha il colore della sconfitta. Ma all'indomani le sue forze sono gagliarde in una misura insperata. L'esperienza del giorno precedente, anzichè essergli nemica, gli è alleata.
La notevole altezza e la resistenza di volo sono sopratutto un risultato dell'amor proprio. La volontà ferma, orgogliosa di raggiungere la quota designata e di rimanere in aria per una durata stabilita è indispensabile come la benzina al motore. Essa servirà a neutralizzare gli effetti demoralizzanti del freddo, delle inquietudini atmosferiche, del vuoto sempre più profondo e vasto, delle nubi e della solitudine.
In altri ambienti amiamo vincere oltre che per noi stessi anche per il prossimo, ma in aviazione si vince sopratutto per noi stessi. Un pilota che dovesse cedere al vento, recherebbe con sè un incubo che graverebbe nei suoi successivi cimenti. Perciò il volo è un efficace mezzo per misurare, oltre le qualità tecniche, le risorse morali dell'allievo. La cartina del barografo riproduce le peripezie psicologiche dell'allievo. Quella linea che s'innalza sicura, regolare, leggermente incurvata sino a una data quota — 1500 metri, 2000 metri — poi prosegue in una alternativa di tratti rettilinei, gobbe concave e convesse e finalmente ridiscende con una rapida obliqua, narra una serie di emozioni in contrasto: serena conquista della quota di metri 2000, poi lotta col vento, incertezze del motore, soggezione della solitudine, tentazione di scendere, reazione dell'amor proprio e finalmente discesa definitiva.
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Talvolta la sensibilità dell'allievo viene sottoposta a una prova singolare durante una traversata di nubi, l'incontro con le quali presenta varie caratteristiche e non sempre uguali. Può risultare abbastanza placido se sono nubi bianche, i carri, ma spesso è preceduto da un avvicinarsi scapigliato di folate vaporose, dal gelo, dalla rarefazione dell'atmosfera, dall'incrociarsi volubile di raffiche. Poi penetrato l'apparecchio in questo mondo latteo, invisibile, misterioso, il motore diviene asmatico, il pilota perde il senso dell'orientamento.
Splendido è il momento in cui si esce da questa prigionia: splendido dal punto di vista tecnico ed estetico. Ci si accorge che l'apparecchio era sbandato malamente, troppo sollevato; ristabilitolo nelle condizioni normali si può ammirare a rapidi sguardi la nuovissima visione: un mare di immobili onde candide, compatte, raggianti, preceduto da lontani cirri solitari che fanno pensare alle avanguardie di un esercito fantastico. Ma la sensazione del bello è quasi paralizzata dal problema di tornare fra le nubi: problema che si risolve con una discesa a forte velocità, preferibilmente dove s'apre nella massa dei vapori un pertugio che lasci intravedere un pezzo del panorama sottostante.
Vari sono gl'istrumenti che si recano a bordo per controllare la manovra: ma l'istrumento migliore che può ridurre al minimo il numero degli incidenti, è il sistema nervoso del pilota sorretto da esperienza e da perseverante studio. Il pilota affina la sua sensibilità al punto di giudicare in volo col solo udito il funzionamento del motore, col tatto sul volante il comportarsi dell'apparecchio. Solo istrumento di cui non tende a svincolarsi è la bussola che sul mare indica la rotta, mancando ogni altro punto di riferimento. Il pilota prima di partire osserva attentamente con occhio d'iniziato l'apparecchio e il cielo. Dell'apparecchio diffida. Egli ha perduto — a questo punto del suo allenamento — la beata fiducia dei primi tempi che gli faceva ritenere l'apparecchio il più sicuro veicolo. Egli sa che anche l'assenza di un bullone, un cavo non sufficientemente teso, già roso dall'uso, possono determinare la catastrofe. Egli, per volare sicuro, vuole aver controllato il suo idrovolante nei più minuti particolari. E prima di partire legge nel volto infinito del cielo come gli uomini del mare e della montagna; le forme, i colori delle nubi gli rivelano l'altezza, la direzione e la velocità approssimativa dei venti. Un buon pilota sente di non poter manovrare efficacemente se ignora le condizioni dell'atmosfera, dell'invisibile pista su cui procede.
È evidente così come riesca impossibile al pilota esprimere le sue impressioni al profano che lo interroga avidamente. La sua vita quotidiana trascorrendo fra osservazioni sempre più particolareggiate di aerologia, elettrotecnica, costruzioni di apparecchi, topografia, trascorrendo in un mondo — il cielo — che per la grande maggioranza è cosa immensa di sola contemplazione, lo porta a sentire diversamente dall'umanità che non vola.
— Che impressione prova? — gli chiede il profano.
— Non saprei che dirle. Se vuol provare....
— Ma neppure.... Si soffrono le vertigini?
— No, grazie.
— Però lei dimostra un bel coraggio.... E quando c'è vento?
— Si balla e si lavora molto.
— Ah perdinci, non vorrei neanche.... E se scappa un'ala?
— Eh.... allora....
— Che fegato occorre per andare in aria! E chi sa il vuoto che impressione produce!