Il Castello Della Bestia. Aurora Russell

Il Castello Della Bestia - Aurora Russell


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un rosso glorioso, di arancione e rosa, mescolati anche con un po’ di viola. Si fermò vicino al bordo delle scogliere rocciose e fece un respiro profondo, trasalendo quando sentì il suo telefono ronzare nella tasca.

      Abbassò lo sguardo e si accorse che aveva perso quattro SMS di Katrin.

      Com’è andata?

       Lo sapevo ... Devi aver ottenuto il lavoro! Congratulazioni!

       Va bene. Non ti sto perseguitando, ma è un po’ che non ti fai viva. Non c’è campo??

      Il messaggio seguente, appena arrivato, la fece quasi ridere a crepapelle.

       Se non avrò tue notizie nei prossimi dieci minuti, dovrò presumere che tu sia incatenata nelle segrete del castello, con solo una crosta di pane ammuffito e acqua sporca per sostentarti, diversi ratti come unici amici e compagni, e sarò costretta a chiamare tuo fratello per organizzare un’operazione di salvataggio sotto copertura.

      Veronica digitò la sua risposta.

       Scusa! Ho ottenuto il lavoro. Dovendo iniziare subito, sono andata in città per comprare altri vestiti. La ricezione è un po’ discontinua, qui, ma accettabile in casa.

      Sorrise e digitò un secondo messaggio.

       Avevi ragione. Decisamente gotico. :)

      Memore di tutte le carte che aveva firmato e anche della sensazione che Monsieur Reynard fosse molto riservato, scattò alcune foto del panorama con il suo cellulare evitando la casa, poi si girò per scattarsi un selfie con l’oceano alle spalle. Ne aveva scattate un paio, una delle quali non la faceva sembrare troppo brutta anche se i capelli le volavano da tutte le parti, e aveva appena cominciato a digitare un messaggio per accompagnarla, quando il telefono le venne strappato di mano.

      Monsieur Reynard era arrabbiato, addirittura furioso, aveva uno sguardo ostile e ogni linea della sua alta struttura era tesa per l’ira a malapena contenuta.

      «Per chi lavora? Chi l’ha mandata?» le chiese.

      Cosa? «Io lavoro per lei... o almeno così credevo. Sono stata raccomandata Madame Montreaux.» Veronica era sinceramente confusa e un po’ spaventata, ma cercò di essere paziente. Forse era successo qualcosa che aveva danneggiato la sua memoria nel suo recente incidente? Tuttavia, lo sguardo che le stava rivolgendo le fece scorrere un brivido lungo la schiena. Nonostante le sue ferite, quello era un uomo potente e pericoloso, specialmente in quel momento, quando la facciata solitamente affascinante era caduta.

      «Sì, certo. Quale giornale? Sito web? A chi sta inviando le foto?» Abbaiò le domande, avvicinandosi, così tanto che Veronica poté sentire l’odore della sua colonia speziata e percepire il calore che si irradiava da lui. E come diavolo aveva fatto a scendere da casa così in fretta?

      La sua bocca si aprì. «Non lavoro per nessuno. Stavo solo mandando delle foto a una mia amica. Può controllare», propose, e aggiunse seccamente: «anche se non apprezzo che mi abbia sequestrato il telefono.»

      Lui diede un’occhiata al messaggio parzialmente digitato. «Una prova che è viva?» esclamò, sollevando un sopracciglio.

      «È... ehm... una battuta tra noi» spiegò.

      Alain fece scorrere i messaggi verso l’alto, e lei giurò di vederlo quasi sorridere, suo malgrado. «Rinchiusa in una segreta, eh?»

      Lei agguantò il telefono. «Non avrebbe dovuto vederli.» Chiuse i messaggi e apri le foto.

      «Guardi!» Gli restituì il telefono per mostrargli le foto che aveva appena scattato. «Sono tutte dell’oceano. Ho immaginato che non avrebbe apprezzato che fotografassi la casa.»

      Monsieur Reynard le esaminò, i residui di tensione svanirono dal suo corpo. «Sembra che le debba delle scuse molto sincere. Io, ah, non ho giustificazioni se non che la stampa francese è stata implacabile dopo l’...incidente, e ho pensato.... Quando l’ho vista scattare delle foto, ho pensato che fossero riusciti a raggiungerci anche qui. Voglio solo proteggere Jean-Philippe.»

      Veronica considerò ciò che aveva detto. Le sue scuse sembravano oneste e lui pareva contrito. Sicura che lui non fosse un uomo abituato ad avere torto, apprezzò il fatto che l’avesse ammesso subito. Ora che il momento di tensione era passato, notò quanto fossero vicini l’uno all’altra. Soli. Sembrava stranamente intimo, e anche lui doveva averlo percepito, dato che fece un goffo passo indietro.

      «Scuse accettate» gli rispose alla fine. «Spero che non la prenda nel modo sbagliato, ma davvero non so chi siate, lei e Jean-Philippe, se non amici di famiglia di Madame Montreaux, o almeno questa è stata la vaga impressione che ho avuto da lei. Non riesco però a immaginare cosa si provi a passare attraverso qualcosa di così... difficile, e poi di dover affrontare il fatto che venga pubblicizzato, per giunta.»

      Lui fece una smorfia. «Penso che sia un buon promemoria che forse non sono così famoso come penso di essere.»

      Veronica sorrise al suo tono autoironico. «Beh, non se la prenda. Di solito non ho tempo per leggere People, e tanto meno Paris Match» disse, nominando una delle riviste più famose in Francia. «Una volta ho incontrato un attore di Hollywood in un bar, e gli ho chiesto se fossimo andati al college insieme.»

      La sua risata di risposta fu tanto improvvisa quanto sorprendente, e suonò un po’ stentata, come se non ridesse molto spesso.

      «Cosa ha risposto?»

      Lei si morse il labbro. «Ha solo detto di no» rise al ricordo. «Non saprei dire chi fosse nemmeno ora, se non per il fatto che un paio di persone si sono avvicinate a lui per chiedergli un autografo subito dopo. Ero mortificata.»

      Lui allungò la mano per restituirle il telefono, premendo il pulsante per tornare alla schermata iniziale, ma si fermò quando guardò l’immagine dello screensaver, che era apparsa. Il respiro si bloccò nella gola di Veronica. Era una sua foto sulla spiaggia, affiancata da due giovani uomini alti e belli. C’era stata una brezza quel giorno, quindi i loro capelli erano tutti scompigliati dal vento, e il sorriso sui loro volti era sereno e del tutto spensierato. Era stato quello che lei considerava "L’Ultimo Splendido Giorno".

      Sperò che lui non le chiedesse nulla, e qualcosa doveva averle brillato negli occhi, visto che lui le restituì il telefono senza fare commenti.

      «Ci vediamo a cena?» le chiese.

      «Senz’altro. A più tardi. In realtà, è meglio che vada a prepararmi» rispose, voltandosi verso la casa.

      «Naturalmente.» Aveva parlato con un tono annoiato, e lei lo riconobbe per il congedo che voleva essere. A quanto pareva, Monsieur Reynard era una somma di contraddizioni, ma ormai aveva scorto l’uomo, nascosto dietro il personaggio affascinante e remoto. In precedenza lo aveva trovato attraente, misterioso, ma in quel momento... in quel momento si rese conto che poteva essere pericoloso. Oh, non pensava che avrebbe fatto del male a qualcuno, anche se non le sarebbe certo piaciuto trovarsi dalla parte del destinatario della sua ira. No, era una minaccia per la sua stessa pace mentale. Era sconcertante, ma per quanto si sforzasse, non riusciva a smettere di pensare a lui e alla sua risata involontaria, al calore del suo corpo vicino al suo. E sarebbe andata a vivere a casa sua.

      Avrebbe dovuto stare attenta.

      Capitolo Quattro

      Alain stava aspettando nel salottino suo figlio e Mademoiselle... no, Veronica, lui l’avrebbe chiamata Veronica. L’informalità le si addiceva. Nell’attesa, si versò un bicchierino di Pastis dal vassoio che si trovava sopra l’armadietto dei liquori. Hormet, che lo conosceva bene, aveva lasciato anche una piccola brocca di acqua ghiacciata da aggiungere al Pastis fino a renderlo della perfetta tonalità giallo chiaro opaco. L’odore di liquirizia del liquore, gli ricordava sempre la famiglia di suo padre che proveniva dal sud della Francia. La Provenza. Affettuosi, genuini e gentili, avevano amato i loro figli e nipoti. E suo nonno aveva sempre offerto loro quella delizia al gusto di anice.

      Era


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