Saving Grace. Pamela Fagan Hutchins

Saving Grace - Pamela Fagan Hutchins


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qui,” disse Ava, così curvai velocemente, in direzione all’oceano, anche se a centinaia di metri più in alto.

      Guidammo ancora mezzo chilometro, per poi uscire dalla boscaglia. Il cambio di scenario fu improvviso e spazzò via tutta la calma della foresta. Anche il mio umore cambiò. Ma chi voglio prendere in giro? Le mie emozioni erano grezze e il mio umore oscillava da su a giù più velocemente di Sarah Brightman nel Fantasma dell’Opera.

      “Puoi parcheggiare dove vuoi,” disse.

      Accostai l’auto e parcheggiai, spegnendo il motore e trattenendo il respiro.

      Venire nel posto in cui i miei genitori erano morti era come entrare nelle chiese colorate della Navidad Valley, in Texas. Avevo visitato La Grange mentre ero alle medie, con la mia famiglia. In quelle antiche chiese di legno, sapevo di essere davanti a qualcosa di sacro e potente e che, sotto quei tetti, sofferenza e venerazione andavano di pari passo, proprio come era successo all’incontrarsi della foresta e degli scogli. Dove la vita incontrava la morte.

      Ava era già scesa, di nuovo a piedi nudi, e stava procedendo verso la salita. Mi incamminai dietro di lei. Volevo sentire di nuovo i miei genitori, far loro sapere che ero venuta qui, che per me erano importanti. Che anche se non fossi riuscita a fare altro in questo viaggio, almeno avrei detto loro addio.

      “Vi voglio bene, mamma e papà,” sussurrai.

      Ava raggiunse la vetta della collina e in tre passi era già sparita, accelerai. Arrivando alla cima, mi mancò l’aria e feci un passo indietro per l’improvvisa vertigine. Il terreno scendeva per circa trenta metri, e poi semplicemente svaniva. All’orizzonte, solo il cielo, che si ricongiungeva in lontananza con il Mar dei Caraibi.

      “Non sono i primi a cadere da questo promontorio,” disse Ava, con tono solenne.

      “Oh mio Dio,” dissi, non riuscendo a pensare ad altro. Affondai nell’erba. Mi accovacciai in una collinetta, cercando di schiarirmi le idee. Perché? Perché erano venuti qui?

      “Questo è come un ritrovo per gli innamorati, nel suo modo desolato e inaccessibile. Molte delle ragazze che conosco hanno perso la verginità qui. Alcuni si sono anche buttati per amore. Ha sempre avuto un fascino romantico a cui le persone non riescono a resistere.”

      Rimuginai sulle sue parole. Era possibile che i miei genitori avessero cercato questo posto? Un’ultima avventura per concludere la vacanza? Li immaginai mano nella mano, testa contro testa. Speravo fosse così. Qualcosa dentro di me non ci credeva, ma Dio, se lo speravo.

      “Addio, mamma e papà,” sussurrai. Chiusi gli occhi di nuovo, contai fino a cento, cercando di non pensare a nulla, e offrii il mio cuore al cielo.

      Undici

      Promontorio di Baptiste, St. Marcos, Isole Vergini americane

      18 agosto 2012

      Ce ne andammo dal Promontorio di Baptiste, rientrando nella foresta tropicale, mezz’ora dopo. Il mio umore era in fase di ripresa, tanto che la bellezza dei fiori mi estasiò nuovamente. Sembravano adesso come un tributo ai miei genitori. Un allestimento floreale. La foresta tropicale non era solo un toccasana per i miei occhi, mi faceva sentire più vicina a mamma e papà. Odiavo dovermene allontanare.

      “Sai, un amico offre un tour guidato della foresta. Organizza una navetta proprio dal Peacock Flower. Dovresti andare con lui domani. Lo chiamo per dirgli che ti unisci.”

      “Un’escursione? Non sono un’escursionista. Sono una brava guidatrice, però. C’è un tour in macchina?”

      “No. È un botanico, e adesso chiudi il becco e vai con lui. Ti cambia la vita.”

      L’intero viaggio mi stava già cambiando la vita, ed ero arrivata appena ventiquattro ore prima.

      Cedetti ad un impeto di sincerità. “Sono qui per questo, sai. Per cambiare la mia vita. O, meglio, dovrei essere qui per questo, il più possibile, in una settimana. Mio fratello ha insistito. Pensa che beva troppo. Sto cercando di ignorare i sintomi per andare dritta alla fonte. Non è l’alcol in sé. Sono i miei genitori. Le mie cattive scelte. Lo struggermi per il ragazzo sbagliato. Etcetera etcetera.” Cercai di sviare il discorso, imbarazzata dalle parole che non potevo più rimangiarmi.

      La mia confessione non turbò Ava. “Quasi tutti stanno scappando da qualcosa quando vengono qui. Spendono la maggior parte del tempo cercando di capire se stanno cercando di scappare dalla cosa giusta, o se la cosa sbagliata li ha seguiti qui.”

      Era una frase profonda. Era stata una giornata abbastanza profonda, così rimasi in silenzio.

      Ma non Ava. “Non hai detto che tuo padre era un alcolista? Penso di aver letto che è una questione genetica,” disse.

      “Sì. Forse.” Ma io non ero un’alcolista.

      “Molte persone che si trasferiscono qui diventano alcolisti,” disse. “Non è un posto facile per smettere di bere.”

      “Me ne sono accorta.” Almeno non si era concentrata sulla parte del ragazzo sbagliato, ma ero pronta a lasciar perdere del tutto l’argomento dei problemi di Katie. Eravamo quasi arrivate in città. “Dove ti porto?” chiesi.

      “Portami a casa, così posso cambiarmi. Ho un appuntamento più tardi, ma sono in cerca di compagnia fino ad allora.”

      “Non canti stasera?” chiesi.

      “Non ufficialmente.”

      Qualunque cosa significasse.

      Accostammo a casa di Ava e mi invitò dentro. Era piccola, ma pulita. Carina, la maggior parte dei mobili erano di vimini, con vaporosi cuscini bianchi. Gironzolai, guardando le sue foto, fino a che non uscì dalla camera indossando un vestito da bambolina color verde acqua con una scollatura a goccia. Indossava anche dei sandali bianchi dove tornava il motivo a goccia, sulla parte superiore in pelle.

      “È chi penso che sia?” chiesi, indicando la foto di una giovane Ava con un bellissimo e famoso attore.

      “Sì, sono andata all’Università di New York con lui. Non dire a nessuno che te l’ho detto, ma è gay. Tutti i più belli sono gay.” Infilò un tubetto di lucidalabbra nella borsetta bianca. “Pronta?”

      “Dipende dalla cosa per cui dovrei essere pronta ma, in generale, sono pronta ad andare.”

      “Sembri un avvocato.”

      “In realtà, sono un avvocato.”

      “Oh, questo spiega molte cose,” disse in un tono di voce che implicava ci fosse molto da spigare.

      “Sì, sì, sì. Ma per cosa dovrei essere pronta?”

      “Per cantare.”

      Scoppiai a ridere. “Così, a caso. E no, non sono pronta.”

      “Va bene. Allora andiamo al casinò. Hanno un open bar di cibo e bevande.”

      Nessuna obiezione.

      Dopo esserci fermate al mio hotel più a lungo del previsto, dovendo io rispondere a delle e-mail di lavoro, arrivammo al Casinò Porcus Marinus. Il casinò si trovava sulla costa sud dell’isola, vicino all’omonimo resort e a pochi passi da una spiaggia di sabbia bianca. La luna piena si rifletteva sulla superficie increspata dell’acqua. Si trattava di un enorme edificio simil-bunker, accompagnato dal più grande parcheggio dell’isola. Salimmo gli scalini per il bunker e passammo sotto ad un grande cartellone sulla porta che leggeva “Serata Karaoke”.

      “Serata Karaoke?” chiesi ad Ava, con sguardo sospetto.

      “È il destino,” rispose.

      Entrammo, e io tossii immediatamente. Una nube di fumo aleggiava sul tetto del casinò. Per la prima volta da quando ero arrivata a St. Marcos, avevo la sensazione di essere in un posto senza tempo. Nessuna finestra. Rumori continui: il rumore bianco delle campanelle delle slot machine


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